LUCCA – Vi siete mai chiesti quanto sia effettivamente diffuso il videogioco in Italia? La percezione che abbiamo della diffusione dei videogiochi è spesso distorta da vari fattori, come le nostre bolle social o quanto vediamo nei canali di informazione a livello nazionale.
Per questo motivo le risposte saranno le più disparate, tra chi pensa che ormai tutti giochino a chi vede questo mondo ancora come qualcosa di nicchia, allo stesso modo di vent’anni fa. Chiaramente questa percezione cambia anche in base all’età e alla zona geografica dell’utente.
L’unica cosa che può riuscire a mettere tutti d’accordo sono i dati, ovviamente fondati su ricerche condotte in modo serio e meticoloso, così che i risultati numerici siano poco opinabili. Hearts & Science ha di recente condotto un’interessante ricerca atta a comprendere le abitudini dei giocatori di ben cinque Paesi europei, quindi non soltanto l’Italia, ma anche Germania, Francia, Spagna e UK, per capire quanto sia diffuso il gaming a livello sociale e non solo.
I risultati sono stati mostrati durante un panel al recente Lucca Comics & Games, dove Emanuele Giraldi (Managing Director di Hearts & Science), insieme a Carlo Barone (Supervisor, Brand Management Riot Games), Antonio Jodice (CEO di Magnet), Valentina Camoni (Head Of Strategy di Fuse) e Giorgio Calandrelli (in arte Pow3r) hanno parlato dei dati mostrati, divisi in cinque punti, e delle abitudini dei giocatori.
Da questo panel è nata poi anche un interessante discussione riguardante non soltanto i dati effettivi del gaming in Italia e in Europa, ma soprattutto la percezione che si ha del videogioco nel nostro Paese, dove spesso questo è ancora visto come molto meno importante di quanto lo sia in realtà, soprattutto dai media più classici come televisione e radio.
I dati sul gaming in Europa
La ricerca ha voluto mettere al centro, più che i soli numeri relativi a quante persone giocano ai videogiochi, le abitudini di chi gioca, dividendo i risultati anche per generazione, partendo dai BoomerX (nati tra il 1946 e il 1980), i Millennial (nati tra il 1981 e il 1996) e GenZ (nati tra il 1997 e il 2012). La ricerca non ha fatto distinzioni tra giocatori hardcore e occasionali: anche chi gioca spesso a un semplice Candy Crush sul proprio smartphone viene considerato a tutti gli effetti un videogiocatore.
Secondo i dati, tra Italia, Spagna, Francia, Germania e Regno Unito, i giocatori sono 123 milioni, circa il 38% della popolazione. Nel 2022 i videogiochi in Europa hanno registrato guadagni equivalenti a quasi 33 miliardi di dollari, rappresentando il 18% della quota a livello globale.
È dunque evidente che i videogiochi siano un medium che è parte integrante delle abitudini di una grande fetta della popolazione europea. Le analisi di questi risultati hanno portato a evidenziare vari punti in comune, sia tra i diversi Paesi europei che tra le diverse generazioni, arrivando ad alcune interessanti conclusioni.
Il gaming risulta sempre più inclusivo e trascende le generazioni. Praticamente una persona su tre è un videogiocatore. Inoltre, contrariamente a quanto si possa credere, il bilanciamento tra uomini e donne è praticamente alla pari, con il 50,3% di giocatori di sesso maschile e il 49,7% di giocatrici di sesso femminile. Anche prendendo i soli dati italiani, si vede una situazione simile: abbiamo infatti il 51% per i giocatori e il 49% per le giocatrici nei BoomerX, il 55% e il 45% per i Millennial e infine la perfetta parità del 50% nella GenZ.
Il videogioco poi non è solo divertimento, ma è anche educativo. Ovviamente il divertimento e la passione hanno sempre i valori più alti tra i motivi per cui si gioca, rispettivamente con il 54% e il 32%, ma sono sempre di più i giocatori che utilizzano i videogiochi per imparare – soprattutto nella GenZ, fetta di utenti che in Italia ha il valore più alto, il 21%, con seconda la Francia al 20%.
Altro punto molto interessante è quanto il videogioco sia attrattivo. Le ricerche hanno dimostrato che gli orari dopo le 18 rappresentano il momento preferito per dedicarsi ai videogiochi praticamente per quasi tutte le generazioni, con un picco che arriva tra le 21 e le 24, il momento definito il “prime time”. I videogiochi stanno sempre più sostituendo media classici come la televisione, un dato che probabilmente in futuro è destinato a crescere sempre di più.
Emanuele Giraldi ci spiega poi come ogni generazione abbia un suo gioco preferito che la identifica, una particolarità che si può riscontrare soltanto per quanto riguarda i videogiochi e non, ad esempio, per i film o la musica, dato che non ci sono un unico film o una sola canzone in cui una generazione possa dire di identificarsi.
La GenZ ha, come gioco preferito e più giocato, Minecraft, che in UK registra il 46% di preferenze, mentre in Italia il 36%. I Millennial invece giocano per la maggior parte a FIFA/EA Sports FC, con la Spagna che arriva al 40% di preferenze totali, mentre gli altri Paesi si attestano intorno al 30%. Il gioco prediletto dai BoomerX è in tutti i paesi Candy Crush, il più giocato dalle vecchie generazioni, specialmente da chi, per giocare ai videogiochi come passatempo, usa soltanto il telefono.
Anche per quanto riguarda le piattaforme utilizzate ci sono differenze: per la GenZ è riscontrabile un certo interesse verso VR e AR, in particolare in UK; i Millennial sono più legati alle classiche console, anche se guardano con interesse alle nuove tecnologie; i BoomerX invece prediligono il tablet.
Infine, risulta sempre più evidente quanto il gaming sia diventato connettivo, innanzitutto perché il gioco in multiplayer è sempre più diffuso, soprattutto nella GenZ, per cui i valori tra single player e multiplayer sono quasi alla pari. In Italia, ad esempio, la GenZ gioca per il 77% ai single player e per il 44% ai multiplayer, valori che in Spagna di attestano su una media del 62% (single player) e 57% (multiplayer) e in Francia rispettivamente di 82% e 64%.
Questi valori sono alti anche per i Millenials che, però, prediligono ancora il single player. In particolare, è da notare come i giocatori della generazione dei BoomerX utilizzino il multiplayer per stare insieme a figli e nipoti, pratica che sta aumentando sempre più.
Il managing director di Hearts & Scienze Emanuele Giraldi ha infine commentato i dati con queste parole:
“Con questa ricerca abbiamo voluto analizzare le abitudini di 5 grandi nazioni europee rispetto al fenomeno del gaming. Lungi dall’essere un’attività legata ad un certo stereotipo di categoria sociale, di sesso o di genere, abbiamo dimostrato come il gaming sia trasversale, pop e perfettamente assimilabile alla cultura di massa. Tutti giocano, anche i più insospettabili.
Il gaming è una lingua universale ed è un agente di integrazione, contribuendo in modo attivo all’avvicinamento culturale tra i popoli d’Europa e sviluppando un habitus europeo in termini di svago. Il gaming è il ‘Giochi senza frontiere’ del nuovo decennio, in grado di avvicinare persone di lingue e culture diverse tra loro.
Lancio una provocazione: e se il gaming, nella sua dimensione virtuale, non facesse che creare nuovi spazi di scambio tra i popoli d’Europa contribuendo alla formazione di una nuova identità europea?
Io ne sono convinto. In questa dimensione virtuale l’Europa esiste già, costruita grazie ai gamer: giovani (e non) di Valencia, Strasburgo, Dresda o Manchester, i quali tra una birra, un trancio di pizza e una partita hanno costruito una comunità transnazionale, priva di confini e barriere culturali.’’
La percezione del videogioco in Italia rispetto ai dati
Per approfondire quanto è stato detto durante la conferenza, abbiamo avuto modo di parlare con Emanuele Giraldi, Antonio Jodice e Valentina Camoni riguardo alla percezione che si ha del videogioco in Italia. Perché se i dati dicono che almeno un italiano su tre gioca ai videogame, in linea generale la percezione non è certo questa – specialmente se si guarda ai vecchi media come televisione e radio, dove l’argomento, quelle poche volte in cui viene affrontato, è trattato con sufficienza.
Senza contare i molti servizi di disinformazione in cui i videogiochi vengono messi alla gogna perché troppo violenti, cosa che ciclicamente si ripete. Abbiamo perciò chiesto ai nostri interlocutori cosa si potrebbe fare per liberare l'opinione pubblica da questa visione del tutto errata del videogioco, così da rendere la maggior parte delle persone consapevole della reale diffusione di questo medium.
Valentina Camoni è la prima a prendere la parola e afferma con convinzione:
«Bisogna hackerare il sistema. Nel senso che al momento ci sono tante realtà individuali legate al gaming che si toccano, ma manca una sorta di coscienza collettiva del movimento. Ne manca una rappresentazione, che possa hackerare il sistema paradossalmente dall’interno.
Perché oggi abbiamo visto un solo contenuto dedicato al mondo dei videogiochi in televisione? Com’è possibile se poi la gente va su Youtube, Twitch o accende una console durante il prime time? Perché questo non è stato ancora capito dai media tradizionali? Perché manca una lobby o una rappresentanza che possa essere la voce di questa coscienza collettiva.
Quando ci sarà qualcuno che sarà in grado di rappresentare al meglio questa forma d’intrattenimento, in maniera forte e decisa, in modo che arrivi anche ai media tradizionali, che ormai sono destinati a cannibalizzarsi da soli, allora ci potrà essere un cambiamento reale».
Alle parole di Valentina seguono quelle di Antonio Jodice, che fa un discorso legato anche alla percezione del gaming nel mondo del lavoro:
«Secondo me, quanto appena detto sul problema della percezione del videogioco in Italia si lega anche a un problema della situazione lavorativa attuale nell’industria videoludica del nostro Paese. Non c’è un centro di potere perché si sviluppano pochi videogiochi e questo perché lo Stato non aiuta a farli. Di recente è nato un cassetto fiscale creato da IIDEA che aiuta gli sviluppatori, ma è nato da pochissimi anni.
Non esiste un progetto di sviluppo del settore promosso dello Stato, che riconosca questa attività come una forma di lavoro che può portare ad avere una carriera in quest’ambito. Ad esempio, fino a 2 o 3 anni fa, né mia madre né i miei amici capivano che lavoro facessi di preciso. Chi lavora in questo ambito, sia esso sviluppatore, pubblicitario o giornalista, è lontano dall’essere riconosciuto un lavoratore come un altro. Se tu sabato prossimo uscissi con i tuoi amici e chiedessi loro che lavoro fanno, quanti ti risponderanno che sviluppano videogiochi? Il problema è che saranno quattro gatti.
In Italia, a creare videogiochi ci sono principalmente Milestone e Ubisoft Milano, più tanti studi indie che sviluppano molti progetti interessanti. In Italia abbiamo la Fiat. Quand’è quindi che avremo un equivalente della Fiat nel settore di chi crea videogiochi?».
Interviene infine, per rispondere alla nostra domanda, Emanuele Giraldi, che ci dice:
«Condivido quanto detto e aggiungo che, al di là del cambiamento generazionale, che avviene pian piano naturalmente, in realtà la percezione del gaming ha subito un’accelerata negli ultimi anni. Prima della pandemia i dati erano significativamente diversi e sono andati crescendo con una grande accelerazione dopo questo periodo.
Secondo me, però, un elemento utile a migliorare ulteriormente la situazione è qualcosa che possa rendere pop quello che al momento viene percepito come di nicchia, e questo può avvenire tramite l’utilizzo di grandi nomi e grandi palcoscenici o contesti».
Su questo punto abbiamo scherzato, immaginandoci i videogiochi a Sanremo, visione che sembra molto lontana dalla realtà attuale (e forse è meglio così).
Poi Giraldi continua dicendo:
«Molta gente poi non si rende nemmeno conto di giocare, specialmente chi gioca ogni tanto con il cellulare, perché lo fa spontaneamente, senza badarci troppo. Anche questo è da tenere in considerazione.
Molte delle multinazionali con cui abbiamo avuto a che fare hanno effettivamente una percezione distorta del mondo del gaming in generale, ma è un aspetto che sta scomparendo naturalmente e, prima o poi, si troverà un volto mainstream che dirà quanto sono belli i videogiochi e tutti, dalla sera alla mattina, seguiranno il suo esempio e diventeranno gamer perché vogliono essere come lui».
Jodice si collega a questo discorso aggiungendo un suo pensiero sul mondo degli eSports:
«Volevo aggiungere che questo è anche uno dei motivi per cui in Italia non esplodono veramente gli eSports. Perché, in un Paese dove siamo stati tutti sciatori all’epoca di Alberto Tomba o tutti motociclisti con Valentino Rossi, quando questi hanno smesso, quegli sport hanno mantenuto la stessa popolarità?
Quello che voglio dire è che il fenomeno sta crescendo, basta vedere al Pala Riot qui a Lucca, dove ci sono mille persone a fare il tifo, ma tornando al discorso dei grandi numeri, per fare concorrenza a sport come il calcio servono persone con la capacità di comunicare e in grado di vincere tornei in tutto il mondo.
Abbiamo un giocatore simile, si chiama Riccardo Romiti detto Reynor, il problema è che vince tornei di Starcraft 2, che ha una capacità di penetrazione dell’opinione pubblica bassissima.
Tutti gli elementi citati finora si dovrebbero incastrare e, soprattutto, noi italiani abbiamo bisogno di vedere qualcuno che ci rappresenta e ci fa sentire soddisfatti di chi siamo. Ci vorrà qualche anno ancora, ma prima o poi cambierà tutto».
Punti di vista molto interessanti, che mostrano come ci sia ancora un po’ di strada da fare per arrivare a rendere il gaming più accettato a ogni livello sociale del nostro Paese.
Senza dubbio, però, la percezione generale è destinata a modificarsi nel corso dei prossimi anni – e si spera che arrivi, come è stato detto, qualche elemento in grado di dare una scossa alla situazione attuale.
Chiudiamo questa chiacchierata augurandoci dunque di vedere, in futuro, ulteriori ricerche simili, che possano dimostrare come il videogioco sia in grado di unire Paesi di culture diverse sotto la semplice bandiera della passione.