Aggiornamento 13 dicembre 2023: dopo la conferma dell'addio definitivo all'E3, che non esisterà più, riproponiamo questa riflessione del 2022 sulle contraddizioni e le difficoltà di quella che fu la più grande fiera di videogiochi al mondo, arrivata alla cancellazione mentre le cambiava attorno il modo di comunicare i videogiochi.
«Non vedo l'ora che esca il numero di giugno», dicevo a mio fratello, «c'è l'E3, sarà strapieno di nuovi giochi». Stavo parlando della mia rivista preferita, che mi veniva consegnata direttamente a casa. L'E3 era la nuova stagione dell'industria videoludica, il momento in cui aspettarsi le grandi novità, gli annunci bomba, quelle finestre di lancio da appuntare sul calendario per iniziare a capire a cosa avremmo giocato da lì in poi.
Era, appunto. Sto parlando dei primissimi anni Duemila, che in un mondo iperconnesso e ipercomunicativo come il nostro sono molto più di una ventina di anni fa. È quello il periodo d'oro dell'E3, quello in cui la fiera rappresentava il punto nevralgico della vita videoludica, la chiave di volta dei grande annunci, il palcoscenico sul quale dovevi arrivare tenendo in caldo i segreti più importanti a cui lavoravi da tempo.
Non è più niente di tutto questo – e non è nemmeno del tutto colpa dell'E3, che è comunque una fiera rimasta cristallizzata nel tempo, incapace di reinventarsi. È che le è cambiato il mondo intorno. E l'Electronic Entertainment Expo non se n'è accorta. Non per tempo, almeno.
Dall'evento dell'anno alla fiera del dimenticabile
Faccio una premessa: sono poco o niente sentimentale. Questo mi rende molto più facile parlare con algido distacco del fatto che alcune leggende dell'ordine videoludico di ieri finiscano accomodate in un cimitero di elefanti. Quando arriva l'annuncio dell'E3 2022 che dice no anche alla sua versione digitale, io alzo le spalle e mi limito a dire «ma non era ovvio?».
È normale, per chi è un po' più sentimentale di così (giusto un po') provare dispiacere per quel grande appuntamento che è andato sfumando, ma che lo aveva fatto già da ben prima della pandemia. Nintendo che si allontanava dal grande showflooor dedicato agli addetti ai lavori scegliendo di digitalizzare il suo palco con un Direct e di proporre a seguire un Treehouse.
PlayStation che, per la prima volta, decideva di non timbrare il cartellino e di tirarsi fuori dalla kermesse. L'ESA che compie un disastro nella gestione dei dati sensibili di quella stessa stampa che è ossigeno vitale per la tua esistenza, che decide di provare una virata consumer per l'evento, simile a quella della popolosissima Gamescom, senza però averne il focus né le strutture.
Il 2020 salta a causa della pandemia, c'è poco da girarci intorno. Ma, visto che il mondo è diventato tutto una finestra digitale aperta su qualcosa nel proprio monitor, nel 2021 si torna in formato virtuale – e probabilmente era meglio di no.
Quella dello scorso anno è la fiera del dimenticabile, dei ritagli di tempo dove si parla del nulla cosmico, in un anno videoludico già estremamente difficile dove troviamo dirette mono-gioco (ricordate quella surreale di Bandai Namco?) ingiustificate e si avverte più che altro una grande confusione.
La conferenza di Xbox+Bethesda è un trionfo dei videogiochi, ma sia Xbox che Bethesda (o, se volete, il cappello che le unisce, Microsoft) sanno benissimo di non avere bisogno dell'etichetta dell'E3 per renderla tale. Se, senza nessun tipo di accordo con l'ESA, il gigante di Redmond avesse dichiarato che «nel giorno X presenteremo una carrellata di giochi in arrivo», tutti saremmo stati sintonizzati lì ugualmente, con interesse, curiosità e impazienza.
Sintesi estrema: in un mondo di eventi digitali, un E3 solo digitale non serve a niente. Considerando che l'E3 era prima di tutto l'occasione per far convergere il mondo degli addetti ai lavori del videogioco, farne un aggregatore di appuntamenti in streaming che vivono benissimo da soli – lo dimostra la Summer Game Fest che si è messa in piedi in modo stabile nel giro di due anni e su cui torneremo a breve – le ha tolto l'anima.
Allo stesso modo, farne un evento fisico che coinvolga publisher di cui hai perso il supporto e una buona parte della stampa che la pensa allo stesso identico modo (avete mai letto i commenti dei colleghi americani, che giocano in casa, sul leak dei dati sensibili da parte dell'ESA?) suona grossomodo come un suicidio. La freddezza e la perplessità di Reggie Fils-Aimé, solo qualche tempo fa, erano indizi più chiari che mai.
L'E3 non riesce più a trovare la sua strada perché probabilmente la sua strada è fuori dal tempo che stiamo vivendo: se è solo digitale, semplicemente, non è più l'E3.
E qui entra anche un discorso di visibilità degli annunci per i publisher, che ormai non vedono più alcuna convenienza nell'addossarsi agli altri nel fare i loro reveal, preferendo la frammentazione. Una frammentazione come quella della Summer Game Fest.
Levati dalla prima pagina, avevo annunciato prima io
Sono il publisher A. Sono medio grande e sto fremendo in attesa dell'E3: nel secondo giorno della fiera, annuncerò il mio prossimo grande progetto e sono impaziente per le reazioni che susciterò.
Sono il publisher B. Sono titanico e sono un platform holder. Nel terzo giorno della fiera, annuncerò quello che probabilmente sarà il prossimo GOTY. Mi dispiace, publisher A, il tuo annuncio tra qualche ora sarà probabilmente una delle tante cose che saranno trangugiate dalla mia potenza comunicativa e dalla mia visibilità. Sarà quello per cui la gente dirà «ah già, c'era anche questo», e non quello che diventerà sineddoche dell'intera fiera di quest'anno: «è stata l'E3 di [nome gioco]».
Va esattamente così, in una fiera fatta di carrellate, dal punto di visita della comunicazione. Siamo bombardati dalle informazioni ed è vitale, per chi deve far conoscere un videogioco, fare in modo che si parli di quel videogioco il più a lungo possibile. I videogiochi sguazzano nella viralità: discussioni, teorie, analisi dei trailer, i celebri memini di internet, tributi dei fan: se non rimani tu, nella cresta dell'onda, se non sei tu l'oggetto dell'attenzione, tutto questo va a scemare.
La visibilità letteralmente gratuita che ti può dare la community nell'epoca del nuovo web è fondamentale. E se sto producendo un gioco medio grande, come faccio ad avere quella visibilità se domani mi annunciano addosso The Witcher 4, o The Last of Us 3, o chi per loro? La community sarà concentrata su di loro o sul mio gioco?
Perché io, publisher piccolo o medio, devo farmi oscurare addossandomi agli annunci degli altri? Perché io, publisher gigantesco, ho bisogno del palco dell'E3, a oggi?
Così, i publisher hanno scoperto una via alternativa che vada di pari passo con la iper-informazione e con la possibilità di parlare a chilometro zero alla community: fare degli eventi specifici anziché accodarsi a una grande fiera. Se devo annunciare qualcosa, decido io quando e come. Non voglio entrare in una carrellata in cui ho due minuti insieme ai due minuti di altri quaranta giochi.
Il risultato è una comunicazione frammentata nell'arco dell'anno, che tiene conto dei periodi di magra e dei periodi di piena, che sfrutta gli annunci come veicolo di interesse anche per gli investitori, come dichiarazioni di intenti – poi la finestra di lancio la troviamo, eh, intanto sappiate che quest'idea esiste e si farà.
È un modo completamente diverso di trattare il rapporto con le novità. PlayStation deve annunciare PlayStation 5 e fissa un PlayStation Showcase in streaming, non sale su un palco con la stampa in praesentia a spiegare le caratteristiche della console tenendola in mano per farla fotografare. Non c'è una Microsoft che esulta dietro le quinte per il prezzo assurdo di PlayStation 3 mentre si sfrega le mani per Xbox 360.
È virtuale, distribuito, pianificato, perché la rivista che esce una volta al mese ricca di novità, dove dovevo giocarmi la copertina e qualche pagina, è diventata solo uno degli approcci possibili all'informazione, non l'unico approccio possibile. I modelli ora sono più istantanei, più distribuiti, più cross-mediali e diretti.
Il mondo le è cambiato intorno e l'E3 invece non ha capito come farlo. L'ESA promette un ritorno in grande stile per il 2023, ma sarà da capire come si possa reinventare una fiera che, se effettivamente reinventata, smetterebbe di essere se stessa – e se rimanesse se stessa sarebbe fuori tempo massimo rispetto all'universo che le si è evoluto intorno.
È un mondo più ricco, con molte più proposte che in passato e che parla a molte, davvero molte più persone. Più freddo, forse. Per chi è poco sentimentale e molto pragmatico non è un grande dramma, per gli altri la lacrimuccia nostalgica ci sta, eccome.
Noi videogiocatori siamo tutti cresciuti con l'E3, noi addetti ai lavori più di chiunque altro. Il problema è che l'E3 ha smesso di crescere con noi.