C’è chi lo chiama GTA V, altri GTA 5, gli chic (e gli accurati) utilizzano il suo nome ufficiale Grand Theft Auto V. Dubitiamo fortemente che, soprattutto su un sito come questo, non conosciate questo videogioco. Avrebbero riso tutti se, nel lontano 1992, qualcuno avesse preconizzato che i creatori dell'innocente Lemmings sarebbero giunti a questo traguardo.
Il pargolo Rockstar North è stata la bomba dell’intrattenimento mondiale a tutto tondo. La sua esplosione è stata talmente estesa da coprire tre generazioni, dall’originale su PlayStation 3/Xbox 360 passando alle riedizioni PS4/Xbox One, fino a quella corrente: tutto ciò succedeva a partire da settembre 2013, ovvero dieci anni fa, sancendo un percorso di successo economico che tutt’oggi è fuori da qualunque concezione umana del marketing (eccolo su Amazon).
Perché, ed è bene dirlo subito, Grand Theft Auto V è il prodotto di intrattenimento più redditizio della storia dell’umanità. Cosa è rimasto, oggi, di quell’esplosione?
Tre vite a spirale
Pure se ormai molti non se lo ricordano (e più avanti capiremo il perché), in realtà Grand Theft Auto V ha una trama, e pure bella corposa. A partire dai suoi protagonisti, tre anziché uno: il nostalgico Michael, il gangsta Franklin e il folle Trevor sono tre cocci del medesimo specchio, ognuno esplorante un diverso ambito di quello che potremmo definire il mondo (o meglio, “il mostro”) del crimine.
Le loro maschere complementari scrivono una storia convoluta, che seppur intensa col senno di poi è anche caratterizzata da una sceneggiatura fin troppo discontinua. Badate bene: con quest’ultimo pensiero non stiamo dicendo che Grand Theft Auto V abbia una storia “brutta” o “pessima”: semplicemente soffre di un ritmo non perfetto.
Del resto, in questo come in molti altri casi, è prima di tutto il contesto che conta; in Rockstar lo sapevano benissimo, tanto da ribadire più volte che hanno creato prima l’ambientazione e solo dopo la storia da metterci dentro.
E su di lei, ancora adesso, non si può questionare: la Los Santos di Grand Theft Auto V è ricreata con una cura che sfiora l’ossessione, dalle strade aranciate dal sole, i grandi viali, i grattacieli luccicanti, pedoni e traffico sempre in movimento ossessivo, gli eventi spontanei.
A distanza di tutto questo tempo possiamo davvero dire che con la Los Santos di Grand Theft Auto V siamo testimoni di uno dei rari casi in cui a far conquistare il salvacondotto della storia sono stati proprio i dettagli e i colori sgargianti – nonché la bravura del dare l’impressione che sia tutto possibile e che la mappa sia illimitata. Quest’ultima, una sensazione di cui Rockstar è maestra fin dal 2004.
Grand Theft Auto V: l’amore non rende più ciechi
Con un po’ di occhio critico però possiamo ravvisare un’altra caratteristica di Grand Theft Auto V, che pur essendo collegato con la mappa non è così immediato: il cambio di tono.
Abbiamo già visto più volte in queste pagine come il gioco si configuri di fatto come una sorta di convergenza narrativa di tutto quello che è stata la saga nei suoi “tempi d’oro” su PlayStation 2, a partire proprio dai personaggi.
Trevor pare una versione invecchiata e impazzita di Claude Speed (muto protagonista di GTA III), Franklin è una versione meno carismatica e più giovane di Carl “CJ” Johnson (il gangsta afroamericano di GTA: San Andreas) e infine Michael è un Tommy Vercetti più assennato, nostalgico degli anni Ottanta, così come i giocatori lo sono di GTA: Vice City.
A un livello più superficiale i tre protagonisti assolvono al compito di raggiungere il maggior spettro di immedesimazione possibile tra i giocatori, una “pesca a strascico” che appunto abbracci il giovincello (Franklin) il consapevole (Michael) e chi vuole solo una fantasia di potere (Trevor).
Con GTA III/Trevor l’ambizione era quella di creare un prototipo di città virtuale che non solo apparisse come “viva” e liberamente esplorabile, ma che fosse anche in grado di reagire alle sollecitazioni del giocatore. Una rappresentazione che in pieno stile da umorismo inglese evidenziasse la propria finzione attraverso le sue esagerazioni.
Una condotta radicalmente virata con il successivo Vice City: abbiamo testimonianze dirette che ai tempi i fratelli Houser volevano fare una vera e propria lettera d’amore agli anni Ottanta e alla loro cultura, dagli eccessi alle follie fino al cinema che li aveva immortalati (non a caso Vice City è di fatto per i videogiochi quello che Scarface è stato per il cinema).
Infine con GTA: San Andreas all’ipertrofia del gameplay, che mischiava il criminal sandbox a meccaniche di personalizzazione estrema del protagonista, c’era l’ennesima virata concettuale orientata al dipingere un triste ritratto della vita di strada e delle sue conseguenze.
Il cambio di rotta è stato quindi voler passare dall’umorismo paradossale ed esagerato, irreale perché simile a quello di un cartone animato, a qualcosa intriso di messaggi più profondi: la realizzazione di ciò era arrivata con Grand Theft Auto IV, nel quale però il cambiamento era stato fin troppo netto e quindi mal accolto dal pubblico ("un grande videogioco ma un pessimo GTA?").
Con Grand Theft Auto V si è in qualche modo voluto recuperare l’eccesso e la parodia, ma l’influenza della parabola di Niko Bellic (ne abbiamo parlato qui) ha lasciato inevitabilmente un segno: i toni sono divenuti non solo eccessivi, ma anche visibilmente incattiviti.
Questo perché ormai non c’è più la lettera d’amore, ma un tipo di satira che odia ciò che rappresenta, e proprio per questo lo porta a schermo in maniera quasi pornografica: mostra tutto e senza filtro alcuno, addossandosi il rischio di passare per glorificazione, al fine di mostrare la follia di una società che non solo è malata, ma ormai pressoché irrecuperabile.
Accontentare tutti, ma proprio tutti
In effetti proprio San Andreas ha suscitato negli anni più di una riflessione accademica, dal sociologico all’etnico, fino all’inevitabile dibattito sul razzismo (più o meno involontario) e alle polemiche su contenuti scabrosi scartati ma non rimossi con quello scandalo di cui facciamo solo il nome, Hot Coffee.
Grand Theft Auto V deve molto a tutto ciò, in quanto lui stesso è un’eredità di quello che era stato messo in piedi nel 2004: lo stesso universo narrativo in cui si svolgono le vicende di Michael, Franklin e Trevor è una realtà alternativa a quella di CJ e compagnia, essendo ambientato nella medesima città (Los Santos) nel medesimo Stato (San Andreas).
Il citazionismo in questo senso si spreca e i veterani se lo ricordano con affetto: nella Los Santos di Grand Theft Auto V non solo è presente Grove Street, ma vi sono persino le due gang principali delle Families e dei Ballas.
Lo stesso Franklin è parte delle Famiglie e a un certo punto, durante una missione, viene detto esplicitamente che le Famiglie «se ne sono andate», a parziale spiegazione di come mai la natia Grove Street sia ora sovrappopolata dai loro rivali.
Ancora: a San Andreas appartengono le caratteristiche di personalizzazione dei personaggi, recuperando il vestiario, le acconciature e i tatuaggi.
Un punto di contatto che però si trasforma presto in apparente fragilità, in quanto le stesse operazioni non sono alla medesima profondità di quanto fatto su PlayStation 2 e soprattutto il mondo in “alta definizione” perde paradossalmente colpi quando paragonato con le piccole cose, misteri, easter egg ed errori involontari che ancora adesso fanno percepire ai fan come San Andreas sia comunque sopravvissuto meglio di Grand Theft Auto V.
Quest’ultimo quindi avrebbe cercato di accontentare un po’ tutti, sobbarcandosi un altro rischio oltre a quello del precedente paragrafo: quello di lasciare tutti insoddisfatti.
Non ci è riuscito? Chiaramente sì, e l’ha fatto alla grande, in quanto il gioco non solo è intrattenimento puro ma è in grado di prendere in giro la società moderna in maniera sublime attraverso il giusto dosaggio di cinismo e cattiveria.
Su alcune cose chiaramente ha claudicato, dalla già citata sceneggiatura alla capacità di offrire finali multipli – alcuni dei quali, specialmente rivedendoli oggi, anche palesemente contraddittori – con tutta la costruzione narrativa operata nelle ore precedenti.
I furfanti corrono sulla linea… telefonica
Certamente però non è stata la trama principale con le sue maschere, per quanto ben scritte, a consegnare Grand Theft Auto V all’Olimpo economico del videogioco.
A farlo è stata la sua componente online, dove un personaggio completamente personalizzabile poteva aggirarsi libero da vincoli per la Los Santos/Los Angeles virtuale alla ricerca di compiti da svolgere, soldi da arraffare, proprietà da acquistare e stranezze per cui ridere.
Dalle condotte pacifiche ai server solo di roleplay, fino agli eventi “strani”, le microtransazioni, la personalizzazione e la condivisione (sia in tempo reale che a posteriori grazie alle funzioni di cattura ed editing), l’esperienza di Grand Theft Auto Online è talmente malleabile e imprevedibile, nonché indubbiamente divertente, che non ha neanche troppo senso mettersi qui a descriverla.
Un punto di contatto inaspettato viene proprio da Rockstar stessa, che per festeggiare i dieci anni sul campo ha deciso di pubblicare alcuni contenuti e personalizzazioni bonus per l’online che richiamano proprio l’avventura principale del titolo.
Grand Theft Auto Online è ancora adesso il grande catalizzatore del pubblico per Grand Theft Auto V, una sabbiera (sandbox) criminale i cui margini sono di creta invece che legno.
Il suo successo ha spinto Rockstar a uno dei supporti più lunghi di sempre, con l'aggiunta costante di nuovi contenuti che dessero loro esattamente quello che i giocatori volevano: non solo un campo da gioco virtuale ma anche l’approfondimento delle vicende di questo universo, tra ospiti illustri per la scena musicale statunitense (Dr. Dre) fino alla ricomparsa dei personaggi secondari della storia principale, con persino indizi su cosa ne è stato degli assenti.
Tra le altre cose è stato persino lasciato intendere quale dei tre finali sia canonico (tranquilli, non ve lo diciamo). E citiamo anche il paradosso per cui molti hanno comprato il gioco esclusivamente per l’online, dimenticando persino sia i protagonisti del single player sia il fatto il gioco possieda effettivamente una trama.
Qual è il rovescio della medaglia? Che per quanto sforni spesso opere perfette o quasi, alla fine Rockstar rimane pur sempre un’organizzazione umana, che in quanto tale è limitata.
Il successo di Grand Theft Auto Online ha portato alla concentrazione della maggior parte degli sforzi produttivi degli studi proprio su di esso, con la conseguenza che è da tanto ormai che non vediamo da parte loro qualcosa che sia veramente “nuovo”.
Davvero bisogna tornare indietro al 2018 e a Red Dead Redemption II (lo trovate su Amazon insieme a un bel saggio che lo racconta) per vedere nuovamente questi sviluppatori creare qualcosa di diverso da GTA?
È una provocazione ma, al netto della qualità, è diventato paradossalmente difficile persino immaginare l’esistenza di un Grand Theft Auto VI. È indubbio e pure scontato che ci sarà, ma cosa dovranno immaginare i nostri Rockstar preferiti per riuscire a scollare il pubblico dal predecessore? E soprattutto, avranno la potenza immaginifica per farlo?
Conclusione: tutto bellissimo… ma dov’è il futuro?
Grand Theft Auto V non è riuscito a resistere al passare degli anni? La domanda è difficile e non accetta una risposta “giusta” o “sbagliata”. Dell’esplosione del 2013 non rimangono frammenti, ma pezzi belli grossi, tanto che è un’illusione sperare sia di poter leggere (nonché di poter comprimere in lettere) tutte le possibilità di Grand Theft Auto dentro a un singolo articolo.
Grand Theft Auto V è arrivato al decimo compleanno ancora in grande forma, dipingendo una società che seppur fittizia non solo rimane ancora di grandissima attualità, ma che sotto lo strato di cinismo e cattiveria è una testimonianza di quello che era il mondo occidentale degli anni 2010 – stracciando la lettera d’amore per un giusto bagno di banalità: la banalità del male, la banalità dell’esagerazione e della società ormai accecata dalla sua stessa ricchezza.
Una visione così totalizzante da oscurare persino se stessa, con un GTA 6 la cui esistenza è paradossalmente sia scontata che incerta. Al netto dei difetti e dei limiti, il consiglio è ancora lì: fatevi un giro a Los Santos con Franklin, Michael e Trevor.
All’inizio magari vi sballotterà un po’, ma poi capirete che ne sarà valsa la pena. È però meglio se ricordate di mettervi la cintura di sicurezza… soprattutto con Trevor.