Viene da una famiglia che colleziona successi a catena, che periodicamente sbanca i botteghini del settore. Era nato anche lui sotto i migliori auspici, eppure non è riuscito a sopravvivere al suo stesso successo; e mentre i suoi cugini vengono rimasterizzati (li trovate su Amazon), lui finisce relegato a un umiliante dimenticatoio.
È la triste storia di Grand Theft Auto IV (GTA IV per gli amici), la “pecora nera” (o bianca, se volete) di Rockstar Games. Siete pronti a riscoprire la sua piccola grande rivoluzione?
Grand Theft Auto IV: niente birre all’interrogatorio
Quando parliamo di Grand Theft Auto IV parliamo prima di tutto di Niko Bellic, emigrato dell’est Europa in America per svariati motivi. Il più ovvio di essi è quello di crearsi una vita migliore e lontana dalla guerra e dal malaffare in cui invece era finito in patria.
L’attrazione viene dalle missive (sia su carta che digitali) di suo cugino Roman, che pare aver fatto fortuna fondando una compagnia di taxi ed è disposto a condividere un po’ del suo benessere con i parenti che vogliano rimboccarsi le maniche. Il modesto sogno di Niko del fare qualcos’altro oltre a uccidere si infrangerà contro i muri di un parente bugiardo, di una società marcita e di un passato ineludibile.
Ecco qua il primo grande taglio con il passato operato da Grand Theft Auto IV: proporre una trama difficile, pesante, ambiziosa. Per la prima (e forse ultima) volta, con Niko la Rockstar ha abbandonato qualunque radice cinematografica per scrivere quella che, più che una storia crime, è un grande affresco, uno spaccato di vita.
Dove fino al 2004 le trame dei GTA parevano uscite dalla bocca di un protagonista che chiacchiera di fronte a una birra, qui siamo davanti alla testimonianza diretta che si incrocia con indagini, inchieste giornalistiche e sentenze giudiziarie. Una narrazione quasi documentaristica, che attraverso le scelte morali del giocatore (verosimili, al contrario di quelle fatte da un certo Franklin) rivendica il diritto di dire “vi posso dire le conseguenze, ma non ho la presunzione di sapere com’è andata veramente”.
I suoi toni volutamente dimessi si fondono con l’atmosfera opprimente della grande città degradata, generando un linguaggio grottesco che assurge a bagno di realtà.
Le bugie hanno le gambe corte… forse
Se esistesse un’immaginaria classifica dei protagonisti Rockstar per cui si può maggiormente simpatizzare, siamo sicuri che Niko sarebbe ai primi posti, affiancando Jimmy Hopkins (Canis Canem Edit) e John Marston (Red Dead Redemption).
In sé, Niko percorre la stessa strada di molti altri suoi colleghi: superare la bidimensionalità, dando al giocatore sia maggiore immedesimazione, sia la possibilità di esplorare assieme a lui parti più recondite e mature dell’animo umano. E l’unico modo per farlo era strappare il giocatore da sceneggiature univoche per costringerlo a decisioni e conseguenze.
Per una volta però non si tratta di invenzioni simultanee: l’epoca di PlayStation 2 e Xbox era stata l’adolescenza del videogioco, in cui si spiluccava il realismo ma (a parte poche eccezioni) tutto rimaneva in termini grotteschi e caricaturali, avvolto dal sogno che niente è imperdonabile e il futuro sarà sempre tutto da scrivere.
La generazione successiva di PS3 e Xbox 360 ha tentato il passo avanti che avviene dopo la fine dell’adolescenza, quando abbozzi un qualche ordine nella tua vita e ti rendi conto che tutto ha una data di scadenza e che le occasioni per ricominciare non sono infinite. E permetteteci pure di notare la crudeltà di nominare Perestroika (перестройка, lett. ricostruzione, ristrutturazione) un locale di cabaret frequentato da malaffare di origine est-europea.
Probabilmente, la parte di Grand Theft Auto IV in cui sopravvive la parodia più tradizionale sta nella mappa: la piccola Liberty City del muto Claude di GTA III lascia il posto a una rievocazione di New York la cui satira passa per riferimenti raffinati, da appositi finti brand (come il già comparso Cluckin’ Bell, equivalente del Taco Bell) fino al nominare quartieri e vie con i nomi delle tribù indiane.
Due per tutti: il distretto di Algonquin, oltre a essere l’equivalente di Times Square, è omonimo dell’etnia cui appartenevano buona parte dei nativi dell’America Settentrionale; nella loro lingua “isola dalle molte colline” si dice Mannahatta, origine del nome Manhattan. La sgangherata azienda di taxi gestita da Roman ha sede in Iroquis Avenue: iroquis in lingua algonchina significa serpente velenoso ed è anche il nome della tribù che nel 1570 fondò la cosiddetta Nazione Irochese.
Sono gli stessi riferimenti sfruttati da Hideo Kojima per la costruzione del personaggio di Iroquois Pliskin in Metal Gear Solid 2. In questo caso, Rockstar Games e Kojima trovano un inaspettato punto di contatto nella sottile denuncia al colonialismo, dove occidentali si arrogano i nomi di tribù che la loro etnia ha sterminato.
Liberty City dai piedi d’argilla
I più schizzinosi potranno obiettare che per apprezzare tutto questo bisogna passare sopra a diversi compromessi, sia tecnici che strutturali. E hanno pienamente ragione: l’inesperienza di Rockstar con le console HD si vede tutta. Gli anni hanno reso Niko Bellic lento e goffo, e le sue stesse interazioni con l’ambiente sono spesso mal calcolate.
Persino le automobili, complice proprio il realismo, hanno una manovrabilità che molti hanno trovato assomigliare più a una barca che a una quattroruote. A volte pare che tutto il sistema sia “pericolante”, sempre sull’orlo del crash della console e del reset brutale. Una tecnologia acerba ma già oberata dal dover gestire un’intera città (interni ed esterni) senza neanche l’ombra di un caricamento.
La scelta di rimuovere da Grand Theft Auto IV tutte le caratteristiche da gioco di ruolo-survival (bodybuilding, abilità con armi e veicoli, fast-food, interazioni estemporanee, battute), per quanto abbia alla base precise motivazioni a livello narrativo, è stato un pesante taglio con il passato che nell’immediato non è piaciuto quasi a nessuno.
La sua maggior conseguenza è stata che l’ambiente è molto meno “vivo” rispetto al precedente San Andreas, almeno a prima vista. Anzi, ha portato molti a maturare l’idea che Grand Theft Auto IV sia stato un grande successo solo perché arrivato dopo l’avventura di CJ, senza la quale i suoi difetti sarebbero emersi ben prima che infrangesse svariati record di vendite.
Per onestà intellettuale riportiamo che comunque c’è stato un po’ di fuoco di ritorno: chiunque bazzicasse i negozi di videogiochi a cavallo tra il 2009 e il 2015 si ricorda reparti dell’usato letteralmente invasi dalle copie di GTA IV.
Grand Theft Auto IV: un grandissimo videogioco ma un pessimo GTA?
Pesantezza grafica a parte, un altro aspetto controverso di Grand Theft Auto IV sono le interazioni virtuali. Diversamente dai suoi predecessori Niko fa i conti con il crimine perché nessuno gli ha mai insegnato un altro modo di vivere; questa sua condotta di vita gli si è attaccata addosso come una malattia e quindi è così scontata e ovvia che appare quasi di troppo.
Ecco quindi che, reinventando quanto fatto ai tempi di GTA San Andreas, Rockstar costruisce un sottobosco di comprimari e amici di Niko che si scolla dal loro semplicemente essere datori di missioni. Certo era anche questa un’idea portata avanti con una buona dose di ingenuità ed eccesso, con Niko che in modalità libera veniva costantemente raggiunto di proposte di andare al bowling/a cena con la fidanzata o al bar/strip-club con Roman o qualche altro amico.
Uno squillare del telefono talmente continuo da divenire una sorta di meme ante-litteram. Facendo un po’ di dietrologia, potremmo vedere dietro questa insistenza l’intenzione dei Rockstar di distanziarsi dal puro e carnale criminal sandbox, genere da loro prima inventato e poi esplorato fino all’eccesso durante l’era PlayStation 2.
Se vogliamo, stravaganza ed eccesso sono stati ripescati nel capitolo successivo (Grand Theft Auto V, lo trovate su Amazon sia per ottava che per attuale generazione) perché era ciò che il pubblico voleva. I temi e la feroce denuncia di GTA V non si discutono, e ne abbiamo parlato.
Ma se mettessimo Michael, Trevor e Franklin su un’immaginaria bilancia e al piatto opposto collocassimo Niko, quale delle due estremità sarebbe più pesante? Chi sarebbe più umano (quindi più empatizzabile) e chi solo una caricatura over-the-top? A chi andrebbe l’idealismo, la disillusione, la convinzione che tutto si risolve a suon di dollari, sesso e fumo negli occhi e nei polmoni?
Conclusione: siamo tori di fronte a un drappo rosso
Grand Theft Auto IV è stato sia una ribellione che una rivoluzione. Rockstar si è ribellata a sé stessa e a coloro che compravano i loro giochi solo come sfogo o violenti luna-park, scrivendo una storia che rabbiosamente voleva la ribalta e non lo sfondo.
Una ribellione che è proseguita con la morte dell’ideale del Sogno Americano, e che è diventata rivoluzione nell’inseguimento di un realismo mai tentato e mai più riproposto perché per l’ennesima volta non eravamo pronti per lui. E se, invece del peggiore, Grand Theft Auto IV fosse in realtà il miglior GTA di tutti i tempi?
Una volta il Sogno Americano c’era, anche se solo nella perversione à la Scarface che si può arrivare in alto solo spingendo tutto sempre al limite. In Grand Theft Auto IV non c’è più niente; o meglio, è diventato solo una bandiera per attirare persone in una nazione già satura e decadente.
I più ottimisti potranno ribattere che, pur essendo una pia illusione, essa fa in modo che le persone cerchino una vita migliore lasciandosi alle spalle tutto il male fatto; ma quante di loro davvero ci riescono? E soprattutto, potranno da soli permettersi questa nuova vita, il cui prezzo non si paga in denaro? Forse non c’è davvero scampo dal passato, e soprattutto il crimine non paga.
E allora, Grand Theft Auto IV si merita davvero l’oblio in cui è stato lanciato? Noi una risposta ce l’abbiamo, ma lasciamo a voi l’ardua sentenza.