Total War: Pharaoh | Recensione - La fine di un'era
Superati i pregiudizi, Total War: Pharaoh è uno dei capitoli più innovativi e profondi della serie, ma difficilmente riuscirà a convincere tutti
Advertisement
a cura di Daniele Spelta
Redattore
In sintesi
- Decisamente più ricco e sfaccettato rispetto ai canoni della serie
- Le invasioni dei Popoli del Mare pongono finalmente una sfida degna di questo nome
- Il numero di fazioni e la mappa contenuta lo distanziano rispetto ai capitoli principali
- Il periodo storico forse non è dei più affascinanti
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: Creative Assembly
- Produttore: SEGA
- Distributore: SEGA
- Testato su: PC
- Piattaforme: PC
- Generi: Strategico
- Data di uscita: 11 ottobre 2023
Total War: Pharaoh è la perfetta esemplificazione della crisi di mezza età che sta attraversando lo strategico sviluppato da Creative Assembly. È una stanchezza quasi fisiologica dopo oltre venti anni di serie, due decenni costellati di indubbi successi e con una crescita commerciale costante, che però ha iniziato a mostrare i primi scricchiolii proprio al suo apice, con Total War: Warhammer III.
Con un pubblico sempre più ampio e suddiviso tra gli amanti della versione storica e quelli più propensi agli universi fantastici, il team di sviluppo si trova ora davanti ad un guado e non sa bene quale strada intraprendere.
Questa indecisione ha caratterizzato prima Three Kingdoms e poi Troy, nomi a cui si aggiunge ora anche Total War: Pharaoh, un titolo la cui vera natura è difficile da cogliere soprattutto per chi, come noi, è proprio cresciuto assieme a questa saga.
Più ombre che luci all'annuncio
Esattamente, cos'è Total War: Pharaoh? Dal punto di vista prettamente ludico, anche questo ultimo capitolo ricalca tutti i capisaldi della serie e vive nella simbiosi tra la componente strategica in cui far fiorire il proprio impero e la componente tattica in tempo reale tipica delle sue battaglie, in cui sono coinvolte centinaia e centinaia di unità.
Oltre a questa generale intelaiatura, ci sono però parecchi quesiti da risolvere. Il primo è più di natura “economica”, se ci passate il termine. Total War: Pharaoh non è infatti nato negli studi principali di Horsham, ma è stato creato dalla succursale di Sofia di Creative Assembly.
Dunque, proprio come Thrones of Britannia e Troy sarebbe uno spin-off, uno di quei progetti più contenuti e sperimentali che fino a poco tempo fa venivano inquadrati con il nome di A Total War Saga.
Il suffisso è stato ora tolto e, con questa mossa, Total War: Pharaoh è stato elevato a rango di titolo principale degno di un prezzo pieno – i “Saga” sono sempre stati venduti a prezzo budget.
Peccato però che i contenuti siano decisamente limitati, come vedremo più avanti. Inoltre, come testimoniato dalla cancellazione di Hyenas, dai licenziamenti avvenuti nel team di sviluppo britannico e dalla politica commerciale sui DLC di Warhammer III, attualmente Creative Assembly sta seguendo delle strategie di business che faticano ad essere comprese dalla sua storica fanbase.
Così, ancora prima del suo arrivo, abbiamo anche per Total War: Pharaoh tutta una serie di piccole espansioni per dei pacchetti estetici difficili da giustificare, svariate versioni con tante promesse future, un accesso anticipato a pagamento e una road map che prevede costanti aggiunte che potevano essere tranquillamente già presenti al lancio.
Una storia sepolta sotto la sabbia
Tutte queste decisioni prese ai piani alti hanno subito fatto storcere il naso agli appassionati, rimasti inoltre spiazzati dal setting “storico” scelto. Le virgolette non sono casuali, dato che Total War: Pharaoh cerca di raccontare i drammatici ultimi giorni dell’età del bronzo, quando dei misteriosi invasori esterni e un susseguirsi di calamità naturali spazzarono via quasi tutte le civiltà più avanzate del Medio Oriente.
Il materiale a disposizione per gli sviluppatori non è dunque vastissimo: una lacuna che è stata sfruttata per creare uno scenario sicuramente interessante per i suoi risvolti sul gameplay, ma che lascia parecchi dubbi in fatto di fedeltà storica e anche per l’interesse che le stesse fazioni possono suscitare.
Ad inizio partita si hanno a disposizione solo tre culture: i regni egiziani, gli ittiti e le tribù cananee. Ciascuna fazione è poi suddivisa a sua volta fra più leader – quattro per gli aspiranti faraoni e due sia per ittiti che per cananei – per un totale di otto potenze sparse lungo le rive del Nilo, le coste del Levante o arroccate sui monti dell’Anatolia.
I vari personaggi non hanno però tutti lo stesso fascino e se tanto conosciamo del futuro Ramesse III o del re ittita Suppiluliuma – sicuramente le due figure più interessanti – ben poco possiamo ad esempio dire di Irsu o di Bay, i due capi fazione cananei, o anche degli altri aspiranti faraoni che si sono succeduti per pochissimi anni sul trono al termine del Nuovo Regno.
Tantissime possibilità
Fatichiamo quindi a definire Pharaoh come un vero Total War di stampo storico, ma una volta superata questa impasse, ci si trova al cospetto di uno dei capitoli più interessanti della serie, capace di sfruttare il suo apocalittico scenario per strutturare un gameplay davvero sfaccettato e molto più profondo rispetto ai canoni dei suoi predecessori.
La flessibilità della campagna si evidenzia ancora prima del turno iniziale, visto che per la prima volta Creative Assembly ha fornito al giocatore un numero decisamente maggiore di opzioni, tramite le quali impostare l’aggressività della AI, il livello di sviluppo iniziale degli insediamenti, la velocità delle ricerche e altri parametri da impostare.
Le varianti aumentano poi con ogni leader, dato che ognuno propone una sfida differente e ha uno stile di gioco unico.
Al contrario, Suppiluliuma è pensato per quei giocatori alla ricerca di una vera sfida, i suoi pesanti fanti coperti di bronzo sono circondati da ogni lato e spesso le sue risorse faticano a sostenere gli eserciti sparsi lungo i confini del regno.
Il vero pregio della campagna di Total War: Pharaoh è il suo andare oltre alla natura di semplice partita sandbox. Il titolo cerca invece di simulare quello che poteva essere il vero contesto storico che, come viene definito da Eric H. Cline nel suo 1177: Il Collasso della Civiltà, non deve essere stato dei più semplici.
Oltre alle già citate incursioni dei Popoli del Mare – decisamente più fastidiose rispetto a quelle dei Mongoli in Medieval II o del Caos in Warhammer – l’instabilità interna è simulata attraverso svariati sistemi, che ricreano la lotta fratricida per la conquista del trono.
Fra costanti guerre civili e sotterfugi, non c’è mai stato un turno in cui non siamo stati costretti a prendere delicate decisioni, uno dei principali metri di giudizio con cui andrebbe pesato uno strategico.
Il governo del proprio impero non passa solo per le classiche catene di edifici tipici della serie, con cui gestire la felicità e la lealtà dei cittadini.
Il controllo territoriale si basa anche sugli avamposti, insediamenti secondari da sviluppare a seconda delle necessità, a carattere economico nelle regioni dedicate alla raccolta delle risorse, a trazione militare lungo i confini. Purtroppo gli avamposti sono però fissi – a differenza di quelli presenti in Medieval II: una staticità che ne limita il peso strategico.
Alto e Basso Egitto
Per ambire allo scettro del faraone o alla corona di re ittita, bisogna poi scalare le gerarchie fra i vari pretendenti accumulando i punti legittimità, una risorsa collegata al possesso di certe terre o alla costruzione di edifici speciali.
Occorre inoltre destreggiarsi fra le varie divinità, da scegliere in base ai bonus da esse garantiti e anche selezionare un mitico retaggio del passato da imitare, che sia quello del costruttore Khufu o dell’eretico Akhenaton.
In base al percorso scelto, l’esperienza di gioco varia in modo evidente, pur restando sempre saldo l’elemento della precarietà, tra assalti improvvisi e costanti calamità naturali in grado di radere al suolo un'intera città. Inoltre, il ventaglio delle opzioni si amplia a dismisura una volta che si occupa una posizione nella corte reale.
Ad esempio, siamo riusciti a ricattare un nostro rivale per ottenere degli sconti sulla costruzione di certi edifici fino ad arrivare infine ad indossare il Khepresh del faraone, ottenendo così la possibilità di aumentare le truppe reclutabili e la qualità delle guardie del corpo reali – un vantaggio non da poco in tempi così tumultuosi.
Il vero pregio di Total War: Pharaoh è il livello di sfida proposto che, assieme a tutte le meccaniche di gioco introdotte, evita il classico effetto a valanga della serie, con gli ultimi turni della campagna che spesso diventavano una passeggiata di salute.
In questo quadro abbiamo inoltre apprezzato molto la scelta di adottare lo stesso sistema di risorse impiegato in Troy.
Al posto di un generico denaro, occorre invece bilanciare legna, pietra, oro, bronzo e cibo, materiali da estrarre dai propri insediamenti, dalle razzie o da scambiare con le potenze confinanti.
Purtroppo la diplomazia è uno di quegli aspetti su cui Total War: Pharaoh è rimasto un po’ indietro. Per fortuna è stata inserito il bilanciamento automatico per le relazioni – sistema che evita di rifare infinite proposte nel tentativo di strappare un accordo – ma le tipologie di accordi disponibili sono ben lontane dallo standard fissato in Total War: Three Kingdoms.
Inoltre, restiamo sempre perplessi dal giudizio della AI, che rifiuta trattati di pace anche quando oramai è chiara la sua sconfitta.
Un futuro tutto da scrivere
La prima campagna in Total War: Pharaoh è una vera e propria prova di resistenza, ma il piacere della scoperta viene meno quando ci si accorge che le numerose meccaniche di gioco sopra descritte sono pressoché identiche per tutte e tre le macro-fazioni.
Il sistema della corte ittita è infatti una copia carbone di quello egiziano, le tradizioni del passato fra cui scegliere hanno molte somiglianze e lo stesso albero delle tecnologie – qui chiamato "decreti reali" – per quanto esteso e con molte ramificazioni, presenta ben poche unicità fra gli otto leader.
Le differenze nelle varie partite sono più che altro dettate dal contesto geografico, solo che la stessa mappa è talmente ridotta che nel giro di qualche decina di turni si sono pressoché esplorati tutti i confini.
Non sappiamo se questa scelta sia dettata da futuri DLC, ma fa davvero strano non scorgere all’orizzonte i deserti della Libia – da dove sono partite in realtà molte delle invasioni verso l’Egitto – o parti delle terre fra il Tigri e L’Eufrate, visti gli stretti rapporti tra le fazioni protagoniste in Pharaoh e gli Assiri, giusto per citare un nome.
Razziatori e soldati
Per molti aspetti, Total War: Pharaoh sembra un'evoluzione di Troy e anche tutta la componente bellica ricorda da vicino il capitolo dedicato all’epopea scritta da Omero.
Le battaglie dell’età del bronzo erano combattute principalmente da fanti e, per aggirare questo limite, ritorna di nuovo la suddivisione delle unità appiedate in tre fasce – leggere, medie e pesanti – ciascuna più utile in determinati in scenari o, al contrario, penalizzata in ambienti ostili.
Ad esempio, i lancieri ittiti, con le loro armature di bronzo, possono essere dei muri invalicabili su un terreno pianeggiante, ma in mezzo al fango rischiano di vedere azzerati i propri vantaggi, a discapito magari di guerrieri dotati di asce e senza pesanti panoplie, che possono al contrario aggirarli e colpirli alle spalle.
Infine, con la loro rarità, i carri trainati da cavalli sono dei veri e propri fattori chiave durante gli scontri e chi ne possiede ha dalla sua una mobilità decisamente superiore rispetto agli avversari.
Inoltre, nonostante l’apparente somiglianza estetica e l’assenza di elementi sovrannaturali – scordatevi magie o singole unità capaci di sbaragliare interi battaglioni – Creative Assembly è riuscita a garantire una certa varietà alla unità di fanteria che calcano i deserti africani o le aspre lande dell’odierna Turchia.
Anche il terreno di battaglia gioca poi un ruolo chiave, visto che le caratteristiche morfologiche hanno un concreto impatto sulle statistiche delle unità e le stesse mappe sono state disegnate per fornire al giocatore più possibilità tattiche – tra erba alta in cui nascondere le unità, alture in cui posizionare arcieri e paludi con cui rallentare l’avanzata dei nemici.
L’unico vero difetto del map design risiede in spazi molto stretti, che spesso bloccano molte manovre e che causano anche evidenti problemi al pathfinding per delle truppe che tendono ad incastrarsi un po’ troppo di frequente.
Tutti questi elementi sono un ritorno rispetto a quanto già visto in Troy, a cui poi si aggiungono un paio di gradite novità. Quella più appariscente è il clima dinamico, con piogge improvvise o tempeste di sabbia che possono mutare lo scenario e influenzare le abilità delle truppe.
Questi cambiamenti toccano entrambi gli schieramenti e, non potendo avere un reale controllo su di essi, finiscono per essere una meccanica dallo scarso impatto reale.
Al contrario, abbiamo apprezzato alcune piccole sottigliezze, come la possibilità di impartire un ordine di ritirata ordinata ad un proprio battaglione, senza che questo dia le spalle al nemico come prima accadeva.
Gli ingredienti per avere battaglie dinamiche e avvincenti ci sarebbe tutti, solo che bastano un paio di scontri per accorgersi del ritmo decisamente fuori scala, con i duelli che durano una manciata di minuti e con truppe che si danno alla fuga alla prima difficoltà.
Inoltre, ancora una volta l’AI fatica a reagire in modo convincente e spesso presta il fianco a semplici accerchiamenti, suddivide in modo poco razionale le proprie unità o, ancora, lascia strada libera durante gli assedi, distratta da quell’unica pedina mandata a fare da esca.
Proprio gli assalti alle città hanno subito qualche necessario e piacevole ritorno. Le armi d’assedio come torri e arieti hanno ora molta più importanza, i semplici fanti non possono più buttare giù in modo misterioso le porte o tirar fuori chissà da dove delle scale – e anche l’assenza dei punti vittoria all’interno delle mura fa sì che non sia più possibile sfruttare le mancanze della AI per conquistare in pochi minuti una imponente città.
Che sia una battaglia campale o un assedio, preparatevi comunque a combattere ogni singolo duello. Purtroppo la risoluzione automatica degli scontri favorisce ancora una volta in modo evidente gli eserciti guidati dalla CPU e anche possedere un maggior numero di truppe e di migliore qualità non garantisce una vittoria rapida.
Solido come una roccia
Al netto di scelte di mercato e marketing difficili da giustificare, Total War: Pharaoh è un interessante spin-off, capace anche di superare i capitoli più blasonati per quel che riguarda l’assenza di bug e un livello grafico che, per quanto privo di effetti speciali à la Warhammer, garantisce un buonissimo colpo d’occhio, sia nelle animazioni delle unità sia nella veduta complessiva della mappa strategica.
L'utilizzo del motore di gioco alla base di Warhammer II al posto di quello decisamente più claudicante – seppur più recente – del terzo capitolo è insomma stata una saggia scelta conservativa.
La stessa direzione artistica contribuisce poi a trasmettere il senso di collasso della civiltà, con la palette dei colori che si fa via via più cupa con il passare dei turni e con l’arrivo delle ultime invasioni dal mare.
Infine, bisogna fare un applauso al team di sviluppo per aver ascoltato i suggerimenti degli utenti in termini di UI, soprattutto per quel che riguarda la introduzione degli stendardi durante le battaglie – indispensabili per distinguere alleati e nemici, soprattutto vista la somiglianza delle unità – e per le schede delle truppe, molto più caratterizzate e vicine ad un gusto estetico tipicamente dell’antico Egitto.
Le Migliori Offerte per Total War: Pharaoh
Voto Recensione di Total War: Pharaoh
Voto Finale
Il Verdetto di SpazioGames
Pro
-
Ci sono davvero tantissime nuove meccaniche di gioco...
-
Le battaglie in tempo reale hanno subito qualche piacevole miglioria...
-
Bisogna giocare d'astuzia per non soccombere dopo pochi turni
-
Un Total War solido sin dal lancio, una novità di questi tempi
Contro
-
... Ma molte si ripetono fra le varie fazioni
-
... Anche se permangono molti dubbi sulla AI
-
La mappa è poco estesa
-
Il periodo storico ha parecchie lacune
-
Forse riprende troppo dal precedente Troy
Commento
Advertisement