C'è stato un momento, non troppo tempo fa, in cui sembrava che non si potesse più vivere o respirare senza che qualcuno tirasse fuori gli NFT e la blockchain. Abbiamo visto videogiochi che correvano verso gli NFT, che a loro volta millantavano di metaversi, con anche i publisher di videogiochi che hanno guardato con interesse in questa direzione.
Direzione che, i videogiocatori sono stati brutalmente chiari fin da subito, non era particolarmente gradita. Così, dopo aver dichiarato di essere interessata a includere gli NFT anche nei suoi giochi, SEGA si era già detta più restia qualche mese fa, precisando che se sono da intendersi solo come «un modo per fare soldi» (e per cos'altro? ndr), allora gli NFT non le piacciono.
Oggi apprendiamo dalle pagine di Bloomberg che l'inversione a U è completa, considerando che Shuji Utsumi, co-chief operating officer della compagnia giapponese, ha dichiarato di ritenere «noiosi» i videogiochi con blockchain e il modo in cui vengono strutturati intorno a essa.
«L'azione nei videogiochi play-to-earn è noiosa» ha detto esplicitamente Utsumi, «se non c'è alcun divertimento, allora il punto qual è?».
Ecco perché SEGA ha deciso di prendere una decisione un po' a metà strada: farà dei tentativi sulla strada dei giochi con blockchain, ma saranno sviluppati esternamente (come nel caso di Virtua Fighter, thanks VGC). Inoltre, non solo non prevede lo sviluppo interno di questi titoli, ma non vuole che siano associati ai suoi personaggi più iconici.
Non aspettiamoci, insomma, un Sonic con blockchain o qualcosa del genere. SEGA continuerà a investire anche sui giochi con blockchain, ma tenendo il tema come focus periferico.
«Stiamo tenendo d'occhio la cosa per capire se questa tecnologia riuscirà davvero a decollare in quest'industria, alla fin fine» ha aggiunto Utsumi.
Sappiamo che diversi altri publisher si sono tuffati subito sulla questione NFT: Ubisoft inseguì immediatamente il trend, creando il suo Ubisoft Quartz, ma finì con il dover regalare gli NFT ai suoi dipendenti perché non interessavano a nessuno. E anche i dipendenti, stando a quanto trapelò, non sapevano esattamente cosa farsene.
Anche Square Enix, per rimanere invece in Giappone, è stata da subito una delle più attive sul fronte degli NFT, includendoli perfino nelle action figure dei suoi personaggi più iconici (pensiamo a quella di Cloud). Anche in quel caso, però, i proclami fatti dai dirigenti si sono al momento scontrati con la realtà: ai videogiocatori non sembra interessare per niente il modello play-to-earn e sebbene il CEO Yosuke Matsuda dichiarasse che i giocatori vogliono «contribuire» ai loro videogiochi preferiti, le reazioni sembrano puntare verso un'altra direzione.
Se, fino a qui, abbiamo parlato una lingua a voi sconosciuta, vi raccomandiamo di dare un'occhiata al nostro approfondimento dedicato ai videogiochi play-to-earn, a cosa sono e come funzionano. E a perché, se ci pensate, a livello teorico (ma oseremmo dire anche pratico) sono giochi di nome ma non di fatto, dato che cozzano con la definizione stessa di attività ludica.