Dare i natali a un videogioco è un lavoro creativo. Qualcuno diceva che ogni videogioco che esce è un piccolo miracolo, perché dall'idea astratta alla sua concretizzazione devono verificarsi tantissime congiunzioni astrali. E, tra queste congiunzioni astrali, devono convergere tanti talenti: da game designer a programmatori, artisti, attori, compositori, tester, comunicatori – sono parecchie le qualifiche coinvolte per dare vita a un videogioco, che si muovono da chi dà vita al concept iniziale a chi studia come comunicarlo al pubblico in vista della release.
Ci siamo seduti a un tavolo, per parlare di professioni del videogioco e dell'importanza di mettere lo sviluppatore nella posizione di esprimere il suo talento, con Kim Tyler – vice-presidentessa della divisione People Practices di Electronic Arts. Tra le sue qualifiche c'è proprio l'esperienza nello sviluppo dei talenti e nel coinvolgimento dei dipendenti.
Come si muove, allora, un gigante come EA, davanti al bisogno di coltivare i talenti e permettere allo loro creatività di esprimersi? E a che punto siamo quando si tratta di ambiente di lavoro inclusivo?
Il lavoro di far germogliare i talenti
Lavora per Electronic Arts da diciassette anni, Kim Tyler, presso la sede di Guildford in Regno Unito, e il suo incarico non è esattamente semplice: adocchiare i talenti non è facile, attrarli e migliorare la loro esperienza quotidiana una volta che sono parte di EA nemmeno.
Da quello che ci racconta, però, le difficoltà non la spaventano, e anzi è «orgogliosa di lavorare per un'azienda che assume persone curiose, creative, collaborative e inclusive».
Quando le chiedo di raccontarmi qualcosa su di sé, come ad esempio il gioco di cui si sente più fiera dopo tutti questi anni in EA, per presentarla a tutto tondo ai nostri lettori – perché mi piace raccontare le persone che lavorano ai videogiochi, non solo le figure – mi confida che è FIFA.
«Ho un figlio di dodici anni che è amante del calcio e dei videogiochi, mi vede come una mamma cool che lavora per EA» mi confida. «Io ci 'provo' a giocare con lui, ma è davvero bravo e mi batte ogni volta!».
Per arrivare a sfidarsi controller alla mano, però, i videogiochi devono prima nascere. Ed è qui che Tyler mi parla dell'importanza delle arti creative, nella realizzazione di un videogame. Spesso si pensa al team di una software house rivolgendosi unicamente alle mansioni più informatiche o di pura progettazione: ma al lavoro certosino di game designer e programmatori si affiancano sempre artisti con background completamente diversi, che mettono i loro talenti a disposizione del gioco.
Come spiegato da Tyler:
«Le arti creative hanno un ruolo cruciale nello sviluppo dei videogiochi, vogliamo che tutti i nostri pubblici lo vedano. Dalla grafica dei nostri giochi alle colonne sonore – i videogiochi sono pieni di opportunità in cui essere creativi!».
A tal proposito, Tyler mi spiega che EA è sempre in cerca di talenti anche in questi ambiti, e con una punta di orgoglio mi dice «che lavorino nel game design o nei team di marketing dei nostri giochi, i nostri colleghi sono i migliori in quello che fanno, e amano quello che fanno».
La cosa che cattura la mia attenzione, al di là della felicità espressa dalla vice-presidentessa, è quando sottolinea, subito dopo, che «stiamo sempre cercando nuovi modi di supportare la creatività dei nostri colleghi in tutto il mondo, per far crescere il nostro team. [...] Ci sono davvero tanti spazi per la creatività e lo storytelling, vogliamo che le persone sappiano che, che abbiate appena terminato l'università o che stiate cercando una nuova carriera, l'industria dei videogiochi è il posto ideale per i creativi».
Dal momento che stiamo parlando di offrire delle opportunità a chi vuole tuffarsi nell'industria dei videogiochi, le domando quale sia l'aspetto più importante che un supervisore nella sua posizione debba tenere a mente, per fare in modo che un nuovo talento si senta nelle condizioni di esprimersi al meglio. È qui che apriamo il tema dell'inclusività.
Un'industria più inclusiva
«Crediamo nel potenziale di ogni essere umano e siamo impegnati nel creare una cultura, nella nostra compagnia, dove le persone portino al lavoro il loro vero io» mi spiega Tyler.
Il bisogno di saper mettere a proprio agio gli altri, in tutte le loro unicità, coinvolge anche chi è in una posizione di gestione: «ci si aspetta che tutti i manager guidino in modo inclusivo e aiutino lo sviluppo delle altre persone, e il modo in cui si comportano da questo punto di vista può avere anche un impatto sui loro compensi».
Un modo corporate di dire che EA vuole essere un ambiente che accoglie tutti, a costo di dover disciplinare la cosa.
«L'inclusione e la diversità sono alla base di quello che siamo, come compagnia. La nostra cultura inclusiva fa da carburante per il nostro processo creativo e ci permette di far arrivare dei grandi giochi al nostro pubblico» aggiunge Tyler.
Sappiamo che dalla diversità di background, di esperienze e di filosofie possono nascere dei calderoni di grandi idee. È una filosofia che comunque EA sta già comunicando da qualche tempo: ne parlammo a lungo anche durante un recente evento a tema The Sims 4, con il gioco sempre più attento all'inclusione, e anche FIFA è spesso stato veicolo di messaggi inclusivi, oggi più necessari che mai.
«Un modo in cui abbiamo reso una priorità la diversità e l'inclusione» aggiunge Tyler, spiegandomi il processo adottato da Electronic Arts, «è stato attraverso un processo di selezione. La selezione inclusiva è stata integrata approfonditamente nel training EA's Hiring for Result, e oltre 300 manager, in aggiunta ai quasi 1.500 partecipanti, hanno ricevuto questo training lo scorso anno».
Questa manovre hanno coinvolto anche diversi cambiamenti già tangibili, anche in tema di differenze di genere.
I talenti femminili, mi spiega Tyler, da novembre 2020 a novembre 2021 sono passati dal 23,9% al 24,5%. Le posizioni da senior vice presidente in su, negli ultimi tre anni, hanno visto la rappresentazione femminile passare dal 16,7% al 25%. Un dato interessante, se pensiamo allo scarso numero di donne in una posizione di responsabilità o dirigenziale, nell'industria dei videogiochi – anche se in Italia abbiamo alcune interessantissime eccezioni.
«Siamo anche orgogliosi di aver raggiunto, in merito alla paga base, l'equità di genere su scala globale» aggiunge Tyler. «Lo abbiamo fatto implementando delle pratiche forti per ogni livello del processo di compensazione, dovendo aggiustare la paga base di solo più o meno l'1% negli ultimi tre anni».
Non è solo una questione di genere, come sappiamo. Tyler mi spiega che sta lavorando anche per dare più spazio e possibilità di carriera a «gruppi sotto-rappresentati» all'interno dell'industria, in maniera che «possano continuare a crescere nella loro carriera». La strategia, ora come ora, sta portando a un aumento nella percentuale di gruppi sotto-rappresentati all'interno della compagnia – comprese alcune posizioni dirigenziali.
Anche in questo senso, insomma, c'è sempre da lavorare: se vuoi basare un'industria sul talento, ma questo talento non si sente libero di esprimersi (o fisicamente non può, perché viene scartato per decisioni a monte) per via del suo genere, della sua provenienza, del suo orientamento sessuale, della sua religione e così via, stai facendo un torto tanto a quella persona quanto a quel talento.
Creare videogiochi, oggi
Purtroppo non sono riuscita ad avere un commento su Tyler in merito al problema del crunch (è un tema all'infuori delle competenze e delle mansioni di cui si occupa, ndr), che sappiamo essere una infelice costante dell'industria dei videogiochi – di recente, finalmente affrontato in modo più aperto dalle grandi compagnie del settore.
Tuttavia, quando le ho domandato quale sia, sulla base della sua lunga esperienza, la differenza più importante vissuta nel processo creativo che fa nascere un videogame, da ieri a oggi, mi ha parlato dell'affermazione dei giochi live service, che ovviamente impongono un flusso di lavoro diverso:
«Penso che il cambiamento più significativo sia il passaggio a dover gestire dei servizi live. In passato, i videogiochi venivano lanciati e a quel punto i team di sviluppo si spostavano sulla produzione del gioco successivo.Ora c'è un focus molto maggiore sullo sviluppare e il gestire dei servizi live, che possano tenere i videogiocatori coinvolti anche dopo il lancio».
Se prima, insomma, il lavoro su un videogioco veniva immaginato con la linea del traguardo posta sulla data di release, trascorsa la quale si passava ad altro, oggi è un po' più simile a una maratona, che si concentra sul lungo (ne parlammo qui, in merito ai modelli di monetizzazione dell'industria AAA).
Si tratta di un fenomeno che i videogiocatori conoscono bene, che influenza anche il modo di vivere il lavoro per gli autori di videogiochi: devi tenere per mano la tua opera anche molto dopo il debutto e riuscirci non è mai facile, se non proponi qualcosa che coinvolga davvero l'utente di mese in mese.
E, parlando di questo, la domanda si pone da sola. Alla luce di un'industria che vuole essere più inclusiva, di videogiochi che coinvolgono più a lungo e di un panorama lavorativo sempre più capillare ed eterogeneo, chiedo a Kim Tyler quale sia la raccomandazione-chiave che vuole dare a chi spera di iniziare a lavorare in questa industria.
«Provateci e create dei progetti» risponde, senza esitazione. «Metti la tua programmazione, o la tua arte all'interno di un videogioco, che sia con un progetto personale o durante una game jam. Questo ti aiuterà a capire le altre aree dello sviluppo di un videogioco, e ti renderà anche più facile da assumere».
La regola aurea, insomma, è sempre quella (ne discutemmo anche con IIDEA), e non cambia nemmeno per un colosso come EA: esprimere il proprio talento sperimentando, creando, non importa quanto piccolo sia il progetto.
Avere in mano un proprio gioco permette di comprendere tutte le difficoltà e le implicazioni che separano l'idea iniziale dall'opera completa, le tappe che vanno dall'appuntare le proprie idee con carta e penna al compimento di quel piccolo, ennesimo miracolo.