Se per l’Italia il 2 giugno rappresenta un festivo, una volta tanto infrasettimanale in questo biennio terribile, all’estero nella giornata di ieri si è lavorato alacremente e si sono forniti annunci più o meno importanti, più o meno attesi, sui destini di due delle piattaforme da gaming più popolari: PS4 e PS5. Mentre tutto sommato possiamo parlare di svolte gradite e di notizie ampiamente previste, ancora una volta nel rapporto tra Sony e i giocatori qualcosa è andato storto.
Ancora una volta, dai piani alti della casa giapponese sono arrivate comunicazioni a mezza bocca su PlayStation Blog, fornite sui massimi sistemi che, senza ironia, dovrebbero definire la strategia per una buona parte della generazione e sui quali Sony continua a non voler prendere una posizione univoca.
Non è mai stato perdonabile e lo abbiamo fatto sempre presente, ma adesso – ora che siamo in ballo, ora che le console vengono vendute nelle maniere più disparate (e spesso strapagate) possibili e i giochi sono piazzati nei negozi con sovrapprezzi difficili da spiegare – la politica ambigua sui titoli cross-gen e sulle finestre di lancio inarrivabili rappresenta un fatto grave di cui rendere conto davanti ai clienti che si è tentato di arraffare whatever it takes.
Il tema del cross-gen
Finché è servito pompare la domanda di PS5, il platform owner non ha menzionato, se non “di lato” e messa ben in ombra dalla massa ingombrante della nuova console, PlayStation 4. Adesso, basandoci anche sugli ultimi dati UK, che la piattaforma next-gen comincia ad essere reperibile ed è in un’ottima posizione con le vendite, da PlayStation Studios arriva la rivelazione: non si può abbandonare una userbase da 110 milioni di utenti.
Naturalmente, e lo diciamo da tempo, il dietrofront sulla questione cross-gen è un’ottima notizia ma – visto che una versione per un’altra console non nasce dall’oggi al domani e, anzi, visti i tempi per lo sviluppo ci sta pure il sospetto che PS4 sia la piattaforma di riferimento per almeno alcuni dei big in uscita – sarebbe stato corretto che i consumatori ne fossero stati messi a conoscenza per tempo, così da poter orientare in modo informato il loro acquisto.
Nel mezzo, c’è stata una pandemia che ha colpito duramente la possibilità di produrre le nuove console e i nuovi titoli da un lato, e di acquistarli dall’altro; l’idea di “allungare” ulteriormente la vita di PlayStation 4 – una piattaforma più accessibile, in ogni senso - è senza dubbio una valutazione corretta e in questo quadro vanno anche letti i giochi gratis di Play at Home che hanno puntato ad aumentarne l’appetibilità.
La decisione in sé di lanciare God of War Ragnarok e Gran Turismo 7, oltre a Horizon Forbidden West, non può venire contestata poiché, peraltro, punta ad ampliare la fetta di giocatori che fruiranno di questi attesissimi (e dalla qualità sicura) titoli PlayStation. Ma, banalmente da un punto di vista temporale, il COVID-19 non può essere la giustificazione per la mancanza di trasparenza che, è parsa paurosa in generale e ancor di più a confronto con l’approccio di Microsoft.
Dimostra, in sintesi, che la casa di Xbox ha avuto il coraggio di essere chiara fin da subito sul tema della cross-generazionalità, persino a costo di sminuire le potenzialità tecniche della nuova macchina agli occhi del pubblico (che, forse lecitamente, si ritrovava confuso dal contrasto con il messaggio sui 12 teraflops) e influenzando negativamente le sue possibilità di vendita ad un day one visto come allettante ma non impellente.
La richiesta di PS5 è stata innegabilmente spinta dalle esibizioni della next-gen, intese sia come primissime release, sia come appuntamenti mediatici che hanno fornito la prospettiva del ciclo vitale a (ora possiamo dirlo) medio e lungo termine; tuttavia, la spinta è arrivata pure grazie alla retorica delle esclusive alimentata in ogni occasione dalle dirigenza del gigante di Tokyo, che ha premuto non solo sul fatto che avrebbe avuto giochi non fruibili altrove, ma ha gridato ai quattro venti che quei titoli non sarebbero stati pubblicati su PlayStation 4 e che sarebbero usciti subito.
Giustamente, sui social, c’è chi si è lasciato raggirare dai bagarini – o, peggio, dai rivenditori autorizzati che li hanno ingolfati di bundle a prezzi gonfiati – solo per non restare indietro e adesso si sente preso in giro da questa politica: a saperlo prima, è una delle posizioni più comuni, avrei aspettato una reperibilità più agevole, prezzi controllati e soprattutto giochi che avrebbero davvero richiesto un nuovo hardware da 500+ euro.
Anche su questa posizione, come sugli eventi e sulle date, Sony sta facendo strategia: sta tenendo attaccate al petto le carte che si giocherà di volta in volta, ai suoi ritmi (non a quelli dell’E3) e nella comfort zone dei suoi “luoghi sicuri” – come gli State of Play con i gameplay coreografati e montati a regola d’arte, o i post su PlayStation Blog in cui le informazioni importanti vanno cercate tra una riga e l’altra su quanto non stia venendo cambiato nel focus sul Giappone e sullo story-driven.
Sono affari ed è scontato che sia così, che si faccia “strategia”: ma più che farlo sui rivali, ora è questo il problema, la casa di PlayStation la sta facendo sui giocatori (e sui consumatori). C’è modo e modo per attirare utenti, e questa maniera – seppur per una sfumatura, così distante da come veniva fatto nella generazione di PS4 – è piazzata fin troppo arditamente sulla linea del fuorigioco per non far sollevare polemiche.
Sulle date d’uscita, ancora peggio
Quando si parla di posizioni attendiste, non si può non menzionare l’aspetto delle date di lancio. Era cosa nota che Horizon Forbidden West avrebbe aspettato fino al reveal di Halo (e di altri big autunnali come Call of Duty) per piazzare la propria data – abbastanza legittimamente, in un certo senso, se consideriamo che si tratta di un prodotto single-player dalla vita limitata rispetto a questi kolossal divora-tempo.
Nel post fiume con protagonista Hermen Hulst di ieri (trascrizione di un podcast più lungo), è stata buttata lì la possibilità di un rinvio per non farsi mancare niente: è evidente come Sony abbia intenzione di prendersi fino all’ultimo secondo per valutare l’ambiente competitivo e la necessità di una console come PS5 di avere un’altra esclusiva in un anno che si sta profilando già piuttosto soddisfacente in termini di vendite.
Ma la situazione è più complessa di così e si rifà sempre al discorso sulla trasparenza: COVID o meno, Sony ha annunciato per il 2021 un numero spropositato di grandi titoli first-party, e in gran parte dei casi sapevamo che ne sarebbe uscita (forse) la metà; ovviamente, il “2021” è stato usato come specchietto per le allodole, per creare artificiosamente un senso di urgenza che, si temeva in PlayStation, le prime uscite e quelle a ridosso del lancio non avrebbero costruito.
“È marketing”, è la risposta più comune dell’utente medio, ed è ovvio che sia così: ma è di un tipo che non ci piace perché – in un’utenza sempre più consapevole dei ragionamenti che si fanno nelle stanze dei bottoni (o almeno che pensa di esserlo, vivacchiando con atteggiamento ondivago tra boccaloneria e complottismo) – ha l’ambizione di raccattare ogni possibile giocatore rimasto fuori dal giro dei siti specializzati, in cui si fa analisi e si riportano commenti di gente che smonta tale strategia comunicativa svelando quello che davvero è. E, dati alla mano, sappiamo che questa fascia di consumatori è strabordante.
Far credere a qualcuno che in un anno solo – e in un anno incastrato nel biennio peggiore che ricordiamo dai tempi del Dopoguerra – sarebbero usciti Returnal, God of War Ragnarok, Horizon Forbidden West, Destruction All-Stars, Gran Turismo 7 (e Kena Bridge of Spirits, Solar Ash, Stray, Deathloop e Ghostwire, andando a pescare, omettendone qualcuno, nelle terze parti di varie dimensioni)… come lo vogliamo chiamare? La lineup di mezza generazione avrebbe dovuto essere concentrata nel giro di pochi mesi, con gli osservatori più attenti che si chiedevano semplicemente “perché?”.
Fatto ancora più grave è che, sempre nella cerchia della stampa specializzata, si è sempre saputo che God of War Ragnarok non sarebbe uscito nel 2021 – quel teaser non aveva la minima credibilità ed è incredibile che fino al 2 giugno fosse stato ancora “calendarizzato” a quest’anno. Ma allora perché tenere all’oscuro di questa verità quelli che in teoria dovrebbero contare di più, i giocatori?
Sony ha sempre fatto degli audaci early reveal un marchio di fabbrica: siamo abituati a non aver date a lungo da loro e c’è da dire che con questo tipo di comunicazione ci hanno regalato alcuni degli E3 che più sapevano di E3 nella storia – perché, a costo di anticipare all’inverosimile una presentazione, non se ne tenevano mezza nemmeno per sbaglio e appena erano pronti la sganciavano (basti pensare la tripletta The Last Guardian, Shenmue III e Final Fantasy VII Remake).
Ma adesso la questione si fa più seria perché, al fine di spingere le vendite – anzi, di aumentare la desiderabilità – del prodotto, vengono fornite delle finestre di lancio completamente irrealizzabili o che, se fossero concretizzabili, non converrebbero in alcun modo ad una compagnia a cui di certo non andrebbe a genio vedere Horizon e God of War pestarsi i piedi nel giro di pochi mesi.
Il punto a cui siamo arrivati è molto diverso dal passato recente. Una cosa è costruire la desiderabilità di PS4 portando alle fiere “sempre gli stessi 3-4 giochi che usciranno tra eoni”, perché nel farlo ti stanno venendo mostrati (pur con tutti i lustrini dell’E3) cose che potranno essere giocate senza date. Qui con PS5 invece, mancando evidentemente la materia prima e cioè i big da portare alle fiere, oltre alle fiere stesse – stai edificando le tue vendite una dopo l’altra anticipando reveal (ancora, ci sta) ma inventando finestre d’uscita ravvicinatissime per stressare i tuoi giocatori e spingerli a recuperare una console next-gen in fretta perché sta per uscire God of War.
È marketing, certo, ma lasciateci dire che è di una fattispecie troppo aggressiva e troppo poco virtuosa – fermo restando che ci si potrà sempre dire che God of War Ragnarok puntava davvero al 2021 e che certe cose rimarranno sempre nell’alveo della speculazione. Quello che PlayStation sta facendo (e quello che, tanto di cappello, ha ottenuto) parla però abbastanza chiaro e la speranza è che, ora che comincia ad avere il conforto delle fabbriche e dei dati di vendita, si calmi e inizi ad avere politiche comunicative più consumer-friendly di quanto non siano state finora.
In conclusione
Sony è una super potenza dei videogiochi (e non solo), e ha tutto quello che serve per trainare il gaming. Abbiamo già osservato come questa sua posizione sorniona sia motivata dal successo nell’era PS4 e dal fatto che debbano essere gli inseguitori ad avere qualcosa da dimostrare, ma vedere un grande marchio lurkare nell’ombra quando avrebbe le potenzialità per dettare la linea non smetterà mai di lasciarci l’amaro in bocca.
Lo faccia, insomma, e non pensi ai giocatori come semplici clienti da arraffare; li rispetti come consumatori che, specie di questi tempi, hanno il diritto di sapere fin da subito come stanno le cose e non scoprirle ad anni di distanza – e ad acquisto next-gen fatto – tra le pieghe di un post su un blog.
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