Transference, recensione del primo titolo ideato dallo studio di Elijah Wood
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a cura di Nicolò Bicego
Redattore
SpectreVision è una casa di produzione cinematografica holliwoodiana fondata dal celeberrimo Elijah Wood. Sul palco dell’E3 2017, era stato annunciato che il team avrebbe collaborato con Ubisoft per la realizzazione del suo primo videogioco, il thriller Transference. Con la promessa di unire il mondo del cinema a quello del videogioco in un’esperienza narrativa coinvolgente, Transference può certamente dirsi un progetto ambizioso: ad un passo dalla sua uscita, prevista su PC, PS4 e Xbox One (con supporto per le periferiche di realtà virtuale Playstation VR, Oculus Rift e HTC Vive) siamo pronti a darvi il nostro verdetto.
La mente di un genio o di un folle?
Appena avviato il gioco, veniamo accolti da un filmato in cui lo scienziato Raymond Hayes ci racconta della sua ultima invenzione: sembra aver trovato un modo per replicare la coscienza umana che consenta ad essa di vivere una vita eterna. Il video di introduzione è stato girato con un attore in carne ed ossa, e durante il gioco troveremo altri filmati di questo genere, che andranno ad esplorare la caratterizzazione della famiglia Hayes, composta dal già citato Raymond, dalla moglie Katherine e dal figlio Benjamin. Subito dopo il filmato, veniamo catapultati in una ricostruzione virtuale della casa della famiglia Hayes.
Non ci viene rivelato niente sulla nostra identità o su dove ci troviamo, ma ci vorrà poco per capire che, in Transference, il nostro obiettivo sarà quello di scoprire cos’è successo alla famiglia Hayes. Qualcosa, durante gli studi di Raymond, è andato storto: la voce di Benjamin che, disperata, ci chiede di trovare sua madre; la presenza di un’ombra misteriosa che sembra seguire ogni nostro passo; la scomparsa di Laika, il cane di famiglia.
Niente, o quasi, sembra essere al suo posto. La storia del gioco non ci verrà raccontata in modo lineare attraverso sequenze preimpostate: frammenti degli eventi ci saranno rivelati nel corso della partita, e starà a noi ricostruire il puzzle. Per questo è difficile parlare del comparto narrativo di Transference: accennare qualsiasi cosa significherebbe rovinare parte della sorpresa del giocatore e, soprattutto, parte del lavoro di deduzione. Quello che possiamo dirvi, infatti, è che il gioco non vi rivelerà mai apertamente la sua storia: per quanti indizi possiate raccogliere, sarete sempre voi a dover mettere insieme i pezzi nell’ordine che vi sembra più congeniale.
Se questo tipo di narrazione non è di vostro gradimento, una volta giunti ai titoli di coda rimarrete gravemente insoddisfatti; in caso contrario, la storia di Transference saprà intrigarvi e vi porterà a costruirvi le vostre teorie su quanto accaduto alla famiglia Hayes. Per chi si aspetta di trovarsi di fronte ad un horror, magari per via del trailer rilasciato di recente, diciamo subito che si è fatto l’idea sbagliata: Transference è un thriller psicologico, che ad eccezione di qualche jumpscare (due o tre in tutto il gioco) non cercherà mai di spaventarvi davvero.
Tecnicamente, il titolo di SpectreVision e Ubisft è soddisfacente: non siamo certamente al livello delle grandi produzioni, ma la ricreazione delle ambientazioni è perlopiù efficace, così come gli effetti di luce. Peccato per alcune sporadiche compenetrazioni dei poligoni che vanno, talvolta, ad incrinare un quadro generale altrimenti pulito. Da segnalare, inoltre, come alcuni oggetti e scenari siano decisamente meno dettagliati di altri. Ottimo invece il comparto audio: gli effetti sonori, soprattutto, vi terranno costantemente all’erta, mantenendo alto il livello di tensione per tutta la durata dell’avventura. Abbiamo testato il gioco anche con Playstation VR: il titolo, fortunatamente, non sfigura sulla periferica Sony, garantendo una resa visiva in linea con quanto trasmesso dalla TV, senza alcun effetto blur a diminuire l’immersione.
Cinema e videogioco, esperimento riuscito?
Nella sua componente ludica, Transference può essere definito praticamente un walking simulator: nel gioco, infatti, ci limiteremo perlopiù ad osservare e studiare le ambientazioni e ciò che nascondono, senza momenti di azione e con la presenza di qualche enigma a spezzare il ritmo. Ci sono delle situazioni in cui è possibile arrivare ad una sorta di game over, ma in questi casi si viene semplicemente riportati indietro di una manciata di secondi, senza che ciò incida davvero sulla prosecuzione dell’avventura. A fronte di un gameplay estremamente semplice, tipico d’altronde di questo genere, l’interattività con l’ambiente è ben sfruttata: nelle stanze del gioco ci saranno numerosi oggetti da raccogliere e studiare per ottenere informazioni aggiuntive sulla famiglia Hayes.
A questo proposito, sono molto utili i documenti video che gli sviluppatori hanno nascosto in giro, gli unici veri collezionabili presenti nel gioco. Non si tratta di qualcosa che vi spingerà a rigiocare l’avventura una volta terminata, ma sicuramente vi daranno un motivo in più per essere meticolosi nella vostra esplorazione. Il connubio tra cinema e videogioco, dunque, funziona, ma non è assolutamente per tutti: il genere dei walking simulator ha sempre attirato su di sé le frustrazioni di molti, e Transference non fa molto per fuggire alle critiche che, di volta in volta, sono state mosse ai suoi predecessori. E questo vale anche per la durata, che si aggira tra le due e le tre ore di gioco, a seconda di quanto tempo vi terranno impegnati gli enigmi proposti. Tutto il pacchetto, dunque, viene retto dal comparto narrativo: fortunatamente, Transference gode di una storia abbastanza interessante da permetterci di consigliarlo a chi non si fa spaventare dagli walking simulator e dalle storie che richiedono un input del fruitore per essere comprese. Per quanto riguarda Playstation VR (o una delle altre periferiche disponibili su PC), l’utilizzo è puramente accessorio: esso garantisce, ovviamente, una maggiore immersione nell’atmosfera del titolo, ma non è assolutamente necessario per godersi al meglio l’avventura.
Buon comparto tecnico, anche in VR
7.5
Transference è un buon walking simulator, retto da una bella storia, che richiede un lavoro attivo di deduzione del giocatore per essere compresa, e da un buon numero di enigmi sparsi a condimento dell’avventura, oltre che da un comparto tecnico più che soddisfacente. Ciò detto, la scarsa interattività propria di questo genere potrebbe scoraggiare molti, rendendo questo titolo, di fatto, un gioco che potrà essere goduto da chi si “accontenta” di sentirsi raccontare una storia, ma non da chi, in un videogioco, vuole “giocare”, sempre e comunque, una parte attiva.
Voto Recensione di Transference, recensione del primo titolo ideato dallo studio di Elijah Wood - Recensione
Voto Finale
Il Verdetto di SpazioGames
Pro
-
Storia interessante Buon comparto tecnico, anche in VR
Contro
-
Si porta dietro i limiti di ogni walking simulator
Commento
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