Super Smash Bros. 64, quando tutto nasce da un’intuizione pericolosa | Smash is here! #1
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a cura di Valentino Cinefra
Staff Writer
Dopo i numerosi, e lunghissimi, Nintendo Direct dedicati a Super Smash Bros. Ultimate, ormai una cosa e chiara: la nuova iterazione della serie di picchiaduro di Masahiro Sakurai vuole essere una sorta di enciclopedia di Super Smash Bros. nella sua totalità. Tutti i personaggi della serie ritornano, il conteggio degli scenari e degli accompagnamenti musicali fa girare la testa, e per l’occasione ritorna anche una nuova modalità single player, La Stella della Speranza, le cui premesse sono addirittura quelle di fornire una narrazione epica con protagonista Kirby. Quindi, considerato che Super Smash Bros. Ultimate segna un punto di arrivo di una saga quasi ventennale, un franchise che ha imparato da ogni capitolo precedente e si è evoluto di episodio in episodio, abbiamo deciso di accompagnarvi all’appuntamento del 7 dicembre – quando il titolo sarà pubblicato ufficialmente – con una serie di speciali che andranno a ripercorrere la storia del franchise.
Super Smash Bros. è infatti una delle IP più importanti in quel di Nintendo, un valore che si è guadagnata grazie ad una struttura ludica attualmente ineguagliata (seppure in molti ci abbiano provato), evolutasi col tempo ed è frutto di quello che potremmo definire un “gameplay a strati” tipico di alcune produzioni della casa di Kyoto: un gameplay all’apparenza semplice, ma che nasconde molto altro per chi ha la voglia e la dedizione necessarie.
Iniziamo quindi con il capostipite: Super Smash Bros. per Nintendo 64, classe 1999.
L’intuizione di Masahiro Sakurai
Capita spesso, in ogni industria dell’intrattenimento, di ritrovarsi di fronte alla classica storia del prodotto nato per caso, da un’idea, un’intuizione, o a volte addirittura uno sbaglio. Se la storia vuole che Splatoon, all’inizio, trovò lo sdegno di Shigeru Miyamoto, anche Super Smash Bros. ha rischiato seriamente di non esistere.
In origine il progetto di HAL Laboratory si chiamava Dragon King: the Fighting Game, un titolo molto banale, per niente accattivante, così come era banale il concept sulla carta: un picchiaduro 2D con elementi 3D per SNES. Nelle intenzioni dello studio di sviluppo doveva essere il primo capitolo di un potenziale franchise, ma c’era bisogno di una scintilla per convincere Nintendo. Il progetto, in quel momento, veniva definito con il nome in codice Ryuoh, il quartiere in cui HAL aveva la sua sede principale, e proprio con delle foto del quartiere come sfondo del gioco venne creata la prima bozza di questo picchiaduro. Non c’erano ancora dei personaggi ben definiti nel gioco, e proprio in questo momento arrivò l’intuizione di cui sopra.
L’idea di Sakurai – aiutato dal mai troppo compianto Satoru Iwata – che fece svoltare il progetto una volta per tutte, era quella di sostituire gli anonimi manichini dei personaggi con i modelli di alcuni personaggi Nintendo, nella speranza di rendere più accattivante il prodotto agli occhi della casa madre. Il rischio era però alto, perché Sakurai temeva che Nintendo potesse non apprezzare la vista dei suoi personaggi darsele di santa ragione, considerata la nota tendenza del colosso nipponico a proteggere l’immagine dell’azienda e di tutto ciò che ad essa è collegata. Così, mentre Dragon King: the Fighting Game veniva spostato su Nintendo 64 per la presenza dello stick analogico (per l’epoca un avanzamento tecnologico avveniristico) e per la maggior potenza di calcolo della macchina che avrebbe agevolato il multiplayer a quattro giocatori, venne preparato un prototipo con Mario, Donkey Kong, Samus e Fox intenti a picchiarsi come forsennati.
Contro le aspettative di molti, Nintendo approvò il prototipo, entusiasta del progetto. Super Smash Bros. era ufficialmente nato, e HAL Laboratory iniziò a lavorare al titolo con un budget limitato. Si trattava pur sempre di un nuovo progetto, in un periodo in cui l’industria videoludica era forse più in salute di oggi in proporzione, ma in cui di certo non giravano la stessa economia che c’è ora. A proposito di questo, Super Smash Bros. venne lanciato quasi con timidezza, con una campagna promozionale appena accennata, senza prevedere neanche l’uscita al di fuori del Giappone. Ma il successo del gioco fu sorprendente per tutti, HAL e Nintendo, che insieme lavorarono al lancio internazionale del titolo, che nel corso del 1999 (gennaio in Giappone, aprile e novembre rispettivamente per USA ed Europa) portò Super Smash Bros. sui Nintendo 64 di tutto il mondo.
Un po’ party game, un po’ picchiaduro
Un videogioco in cui quattro personaggi Nintendo si picchiano in scenari presi dai mondi di riferimento, con oggetti presi da quegli stessi franchise, e si esibiscono in mosse che strizzano l’occhio ai videogiochi di cui sono protagonisti non poteva non essere un successo. Nel 2001, dopo due anni, Super Smash Bros. vendette più di cinque milioni di copie in tutto il mondo, cifre che oggi fanno sorridere pensando ai tripla A più importanti, ma che per l’epoca erano notevoli.
È il gameplay di Super Smash Bros. a rappresentare il suo selling point più importante. L’idea della barra della vita sostituita dalla percentuale di danni fa sì che il gioco sia sempre spettacole, che ci sia ogni volta la possibilità di rimontare ma soprattutto, nella sua modalità tradizionale in cui si vince con il rapporto K/D, tutti i giocatori possono partecipare alla partita fino all’ultimo secondo. Un’idea molto importante a livello commerciale che rende Super Smash Bros. un perfetto party game in cui impersonare il proprio eroe preferito, ma che diventa un titolo molto accattivante ed “addictive”, come direbbero oltreoceano, per chi invece vuole sfondarsi i polpastrelli sull’analogico del pad che artiglia la potenza (questa è per pochi). Un gameplay unico come dicevamo, che è stato imitato da tanti nel corso del tempo, ma che nessuno ha saputo costruire con così tanta cura come Sakurai ed i suoi.
Cosa c’era nel titolo che diede origine a tutto quanto? In Super Smash Bros. 64 erano presenti Captain Falcon, Donkey Kong, Fox, Jigglypuff, Kirby, Link, Luigi, Mario, Ness (che per I giocatori europei era praticamente un estraneo, salvo retrogaming ed emulazione), Pikachu, Samus e Yoshi. Sebbene il multiplayer (locale, rigorosamente) fosse già all’epoca il suo fulcro, nel titolo era presente anche una modalità per giocatore singolo, che era l’unico modo per sbloccare alcuni dei personaggi ed uno scenario aggiuntivo. Si tratta di un classico arcade mode da picchiaduro, in cui affrontare una serie di nemici controllati dalla IA, intervallati da due minigiochi: Break the Targets e Board the Platforms. Nel primo bisognava distruggere tutti i bersagli in un percorso diverso per ogni personaggio, sfruttando ovviamente tutte le sue mosse e peculiarità, mentre in Board the Platforms la gara era nell’atterrare su alcune piattaforme disseminate in una mappa piena di insidie.
Dodici personaggi, nove arene di combattimento (Il Castello di Peach ed Hyrule, Congo Jungle, Pianeta Zebes, Regno dei Funghi, Yoshi’s Island, Dream Land, Settore Z e Saffron City), ed un gameplay che era solo ai suoi primi vagiti, frutto dell’intuizione di Masahiro Sakurai, che capì come rendere i picchiaduro più vendibili ed attraenti anche al di fuori del loro pubblico di riferimento. Nel 1999, su Nintendo 64, esordiva una delle IP più importanti di Nintendo. Mentre tra il 2001 ed il 2002 succederà qualcosa di incredibile su GameCube, con Super Smash Bros. Melee, un capitolo che segnerà la definitiva consacrazione della serie.
Il tutto, curiosamente, per colpa di un glitch.
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