Square Enix ha dalla sua una miniera d’oro e deve valorizzarla

Square Enix ha fatto la storia dei giochi di ruolo giapponesi, aprirà mai il suo vault in stile Playstation Plus?

Immagine di Square Enix ha dalla sua una miniera d’oro e deve valorizzarla
Avatar

a cura di Pia Colucci

Redattrice

È da un po’ di tempo che Square Enix sta guardando l’interno di un forziere delle meraviglie che ha lasciato sepolto per anni. Cerchiamo di analizzare cosa sta succedendo all’interno della compagnia giapponese e quali saranno i suoi progetti futuri per questa generazione videoludica.

L’arrivo della remaster di Chrono Cross e il nuovo Valkirye Elysium hanno un po’ risvegliato gli animi dormienti di molti appassionati della cosiddetta golden era dei videogiochi di ruolo giapponesi. Che questo sia davvero un segnale per il ritorno di molte IP cadute nel dimenticatoio? Se sì, perché Square Enix si accorge solo adesso dei vantaggi che trarrebbe dall'aprire il suo "vault"?

Sin dagli albori delle console casalinghe, i JRPG hanno sempre avuto un discreto successo in Giappone, anche nonostante il passaggio generazionale dal 2D al 3D (Final Fantasy VI e Dragon Quest IV uscirono sul mercato proprio in questa età di mezzo). Nel mercato occidentale, invece, il genere faticava a decollare malgrado le opinioni entusiaste da parte della critica e l’ormai celebre Final Fantasy era inizialmente considerato un titolo di nicchia.

Sin dalla generazione PS3/360, Square Enix ha portato in digitale parte del suo catalogo retrò. Come prima mossa, si è trattato di un semplice porting, con l’aggiunta di musiche rimasterizzate e l’aggiunta di achievement (per le versioni su PC Steam). Via via che la domanda, da parte del pubblico, è diventata più alta, sono arrivati a rimasterizzare i videogiochi di punta del loro parco titoli: primi tra tutti, la gloriosa triade approdata su PS1, ovvero Final Fantasy VII, VIII e IX.

I videogiocatori hanno apprezzato questo ritorno sulle console più recenti e hanno risvegliato la curiosità di tutti quei gamer che – ai tempi – non erano ancora nati o si erano lasciati sfuggire questi capolavori.

Ecco che così, con il ritorno di Chrono Cross, tra l’altro ben accolto da critica e pubblico malgrado qualche incertezza lato tecnico, molti nostalgici appassionati hanno richiesto a gran voce altri capitoli della golden age dei JRPG, molti dei quali appartenenti a Square Enix che, all’epoca, si chiamava semplicemente Squaresoft.

Agli albori della Golden Age: dalla nicchia al successo

Con il progressivo avanzamento tecnologico e l’aumento delle console casalinghe, l’industria videoludica si mosse verso titoli che riuscivano a raccontare storie con forte carico narrativo sorretto da un solido gameplay. Come non raccontare, quindi, il viaggio dell’eroe? I giapponesi furono sin da subito affascinati dai primi titoli role-playing che apparvero sul mercato occidentale. Basti pensare che Hironobu Sakaguchi, divenuto famoso come il “padre di Final Fantasy”, è un grande fan di Ultima.

Gli sviluppatori giapponesi decisero di creare dei videogiochi di ruolo più affini alla loro cultura ed estetica, malgrado fossero comunque influenzati da uno stile tipico dell’Europa cavalleresca e medievale.

Uno dei primi timidi esemplari appartenenti alla nuova categoria di JRPG (Japanese Role Playing Games) fu Dragon Quest, pubblicato dalla software house Enix su NES/Famicom nel 1986. Il videogioco ebbe un grande successo, oltre a diventare, nel corso del tempo, un vero e proprio fenomeno di costume in Giappone.

Proiettato in un mondo high fantasy, il videogiocatore si mette nei panni dell’eroe (o prescelto) solitamente di giovane età, il quale deve salvare il mondo da un nemico potente e malvagio. La trama di Dragon Quest, seppur semplice, era rafforzata da meccaniche estremamente innovative per l’epoca, quali il combattimento a turni e generato in maniera casuale, un sistema di menù chiaro e testuale, una grafica all’avanguardia per l’epoca e un comparto sonoro ricercato.

Diversamente dai giochi di ruolo occidentali, caratterizzati da un avatar creato dal videogiocatore, l’eroe dei videogiochi di ruolo giapponesi aveva (e in alcuni casi continua ad essere così) poco spazio per la personalizzazione, se non per il nome e per risposte a scelta multipla all’interno dei dialoghi.

L’obiettivo dell'autore Yuji Horii era quello di creare un gioco di ruolo semplice e per tutti i tipi di videogiocatori: il primo Dragon Quest è caratterizzato da un gameplay semplice ed intuitivo. L’insieme di un sistema di gioco così alla portata di tutti, l’ingaggio di volti noti dell’intrattenimento giapponese (Akira Toriyama al character design, mangaka di Dr. Slump & Arale e Dragon Ball, e Koichi Sugiyama, compositore per sceneggiati televisivi) e l’arrivo di un nuovo genere videoludico adatto per le console casalinghe fu la chiave del successo dei JRPG.

Oltre ad essere un fenomeno di grande rilievo sociale, tant’è che diventò una killer app della console Nintendo, Dragon Quest ispirò l’intero genere, tra cui il suo vero rivale: Final Fantasy.

Malgrado le cifre di vendita sbalorditive che i titoli del genere iniziavano a macinare nell’arcipelago del Sol Levante, il genere – molto settoriale e influenzato dalla sua cultura d’appartenenza – fece fatica a decollare in Occidente. Stando all’articolo di Never Ending Realm (The Rise and the Fall of JRPGs), il titolo di Donkey Kong aveva venduto circa 9 milioni di copie negli Stati Uniti contro le 290.000 unità (tra Europa e America) vendute da Chrono Trigger, considerato come capostipite del genere e creato dal “dream team” di Squaresoft e Enix: Yuji Horii, Hironobu Sakaguchi e Akira Toriyama.

L’epoca d’oro di Squaresoft, la caduta e la risalita come Square Enix

Con il grande successo su Super Famicom di Final Fantasy VI, Squaresoft diventò la più prolifica software house specializzata in JRPG, tra i vari titoli ricordiamo: Chrono Trigger, Secrets of Mana, Bahamut Lagoon.

Molte altre case di sviluppo nipponiche decisero di seguire le gesta di Squaresoft ed Enix nell’epoca che va a cavallo tra i sistemi da 16-bit e quelli da 32-bit: è doveroso citare Grandia di GameArts, Wild Arms di Sony e Tales of Phantasia di Namco.

È solo su PlayStation però che Squaresoft macina numeri da capogiro, complice la grande potenza dell’hardware dell’epoca e un titolo 3D come Final Fantasy VII che – nel giro di poco – spazzò via i videogiochi che fino ad allora si erano forgiati i primi posti del podio dei titoli JRPG più venduti, ovvero Suikoden e Breath of Fire IV.

Sul finire degli anni Novanta e l’inizio del Duemila, il dominio di Square Enix fu incontrastato, registrando buone vendite anche su PS2.

L’unica – e storica – nota di demerito per la compagnia che macinava successi fino ad allora è stata la decisione di espandersi verso nuovi lati dell’intrattenimento, ovvero il cinema. Fu proprio Hironobu Sakaguchi a partorire l’idea di un film dedicato a Final Fantasy, fondando la Square Pictures. Il film – costato la cifra di 140 milioni di dollari – ne incassò poco più della metà. L’azienda, a fine 2001, chiuse in rosso e Sakaguchi lasciò la compagnia.

Riguardo alla divisione gaming, l’approccio ai titoli più orientati ad un gusto occidentale era ancora molto timido, fino alla fusione con Enix grazie alla quale il colosso di Tokyo decise di puntare parte delle sue strategie commerciali verso l’Occidente e il multiplayer.

Ma la fusione con Enix ha portato davvero dei vantaggi alla vecchia Squaresoft? Forte dei suoi titoli di punta, il progetto fallimentare del Fabula Nova Crystallis e i lenti tempi di sviluppo che hanno impattato sulla creazione del tredicesimo capitolo della “fantasia finale” hanno fatto perdere terreno all’azienda giapponese, che ha cercato di rimettersi in piedi grazie a varie acquisizioni di studi occidentali, come Eidos Interactive.

Nel 2009, Square Enix è diventata proprietaria di titoli cult come Tomb Raider, Hitman e il dimenticato Deus Ex, i quali hanno ricevuto una vera e propria ondata di novità, oltre che critiche perlopiù positive da parte di stampa e pubblico.

Tra novità e ritorni: Square Enix apre il suo vault?

Il mondo dei videogiochi è in radicale cambiamento: nel frattempo, con una nuova generazione di console partita timidamente, complice la pandemia da COVID-19 e la carenza dei semiconduttori,  Square Enix cambierà approccio al suo pubblico? In un mondo in cui le aziende videoludiche puntano agli abbonamenti e i servizi in streaming, ci pare naturale fare l’ipotesi di un ipotetico modello EA Play per la software house giapponese.

È recente la notizia che Square Enix ha venduto per 300 milioni di dollari le sue IP occidentali a Embracer Group. Una cifra considerevole, contando un vasto parco titoli da non sottovalutare.

Malgrado alcuni risultati sottotono (Babylon’s Fall) la software house è senz’altro motivata sul potenziamento di vecchie IP (Kingdom Hearts 4) e sull’arrivo di nuovi titoli inediti come Forspoken.

Occorre tuttavia spostare l’attenzione sul JRPG dal gusto retrò di recente successo: pensiamo a Triangle Strategy (splendido JRPG di fantapolitica che trovate su Amazon a prezzo scontato) uscito in esclusiva su Nintendo Switch. Ci azzardiamo ad asserire una frase un po’ provocatoria: Square Enix riesce ad essere imbattibile sui videogiochi di ruolo old school, una strada in cui non ha pressoché rivali.

È proprio per questo motivo che la speranza, per noi videogiocatori e appassionati della software house, è quella di vedere tutta la qualità di Square in titoli vecchi e nuovi che andranno a popolare, si augura, un vasto catalogo streaming in cui saranno presenti vecchie glorie come Xenogears o Final Fantasy Tactis.

Il potenziale del vault delle riunite Squaresoft ed Enix è immenso, una miniera d’oro da cui attingere per nuove proprietà intellettuali, remake, spin-off, stuzzicando la nostalgia dei vecchi videogiocatori e la curiosità dei nuovi.

Proviamo a fare un esempio: la ri-pubblicazione di un titolo sconosciuto ai più come Xenogears, che non ha mai varcato i confini europei, può stuzzicare la fantasia di tutti coloro che hanno apprezzato la fortunata saga di Xenoblade Chronicles (di cui Xenogears è prequel "spirituale").

Ma non pensiamo solo ai JRPG. Sia Square che Enix possiedono nel loro catalogo titoli che hanno abbracciato diversi generi videoludici: il picchiaduro Ehrgeiz, lo sparattutto aereo Einhader, l'indimenticabile picchiaduro musicale Bust-A-Groove.

Ce n'è per tutti i gusti e il materiale per un vero e proprio catalogo pronto per entrare nelle nostre case può essere realtà. Viste le tante generazioni passate dai titoli più famosi dei due ex colossi dell'industria videoludica giapponese, siamo portati a chiederci se queste vecchie glorie siano invecchiate abbastanza bene da poter essere fruibili a chiunque, oppure è il filtro dei nostri occhi nostalgici a rendere tutto perfetto?

Possiamo riassumere tutto nella somma di circa quattro concetti: accessibilità a contenuti di diverse piattaforme; nostalgia della nostra infanzia o adolescenza; storytelling ben fatto che ti allontana dall'esaminare qualsiasi tipo di tecnicismo; ubiquità, per la possibilità di giocare in cloud da diversi dispositivi.

Non a caso ritorneranno sulle nostre console piccole gemme dimenticate nel tempo come Live A Live, JRPG del 1993 che non superò mai i confini giapponesi, e Tactis Ogre. Nuove uscite influenzate, come ripetiamo, anche dal successo di operazioni à la Triangle Strategy – il quale basa molte delle sue meccaniche sui vecchi titoli di nicchia della software house – e dal fascino delle tante storie di Octopath Traveler.

Non c’è solo Squaresoft: anche il “bagaglio” della vecchia Enix è ricco di tesori: due mesi fa – in esclusiva allo State of Play – è stato annunciato Valkyrie Elysium, il nuovo capitolo dell’action JRPG che affonda le sue radici nella mitologia norrena. Il primo titolo della saga, Valkyrie Profile, è ad oggi considerato un vero e proprio cult e spremeva fino all’ultima goccia l’hardware PlayStation.

Ad aprile è poi ritornato – pur con qualche discussione – il sequel del celebre Chrono Trigger (disponibile ora su PC), Chrono Cross. Il titolo uscito nel 2000 vanta una remaster con qualche incertezza tecnica, soprattutto sull’ammiraglia di casa Sony. Tecnicismi a parte, la volontà di Square Enix di far arrivare un titolo all’apparenza dimenticato può far sperare nel ritorno di tanti altri titoli legati alla golden age, uno tra tutti è proprio Chrono Trigger, che negli anni ha avuto delle riedizioni per Android, PC Windows e Nintendo DS.

Una scelta commerciale ben mirata ai sentimenti dei vecchi appassionati, magari ancor meglio se legata a delle opzioni di abbonamenti in streaming come il nuovo PlayStation Plus Premium, che avrà al suo interno alcune vecchie glorie del passato con nuovi Trofei, grazie ad una tariffa specifica da pagare su canone mensile/trimestrale/annuale e non per i singoli giochi.

Messa in questi termini, la strategia di investire in nuove tecnologie da parte dell’azienda di Tokyo riducendo i costi o affidando le remaster di vecchi capitoli a studi esterni appare sensata, poiché le permette di concentrare la propria produzione su titoli di grande caratura come Final Fantasy XVI – che, seppur solo stilisticamente, ricalca un po’ l’origine dei vecchi Final Fantasy.

Squadra che vince, non si cambia, insomma, e proprio per questo motivo sarebbe interessante vedere una nuova giovinezza, senza stravolgimenti e pure con il solo intento di preservarli, anche per i grandi classici di Squaresoft e di Enix che sono rimasti confinati in soffitta per lungo tempo. Lo sa bene Dragon Quest, che della tradizione fa il suo meritato successo.

Leggi altri articoli