Ogni volta che si parla del videogioco solo come di un passatempo per i giovanissimi, una parte di me si mette le mani tra i capelli. Il videogioco è anche quello, ma non solo quello. Può essere un passatempo disimpegnato, certo, come può essere foriero di potenti messaggi grazie all'interazione, o essere anche un punto di incontro tra universi altrimenti lontanissimi, all'apparenza inconciliabili.
Invece, a dispetto della capacità dei videogame di connetterci, spesso viene sbandierato perfino lo spauracchio del videogioco come strumento di "chiusura", come voler passare il proprio tempo da soli. Al di là del fatto che può essere sensato e rilassante per molti – purché la tendenza a isolarsi non sottintenda qualcosa di più grande di quanto un videogioco possa risolvere – oggi in realtà un videogame può essere anche una fonte di socializzazione.
Avete mai pensato al nostro medium preferito come a una sorta di hub di connessione? Se ci ragionate, parliamo di un mezzo di comunicazione che è in grado di far incontrare, quasi con facilità, mondi che mette in connessione tra loro sia per quanto riguarda gli utenti che giocano, sia tra i professionisti che quei videogiochi li creano.
L'argomento è molto interessante e ci è stato stimolato da Fuorisalone.it, che ci ha chiesto una riflessione sul tema del Fuorisalone 2025, mondi connessi. Qual è allora il rapporto tra i mondi connessi nei videogiochi?
Mondo reale e mondo virtuale
La prima, affascinante connessione resa possibile dai videogiochi è quella tra il mondo reale e il mondo virtuale: è quella che si crea quando io, persona in carne e ossa, mi sento coinvolta all'interno dell'universo di gioco in cui mi trovo.
Nell'interessante Psicologia dei Videogiochi (2013, Maggioli Editore), ricordo che questo concetto veniva spiegato in modo molto efficace: il videogioco è un medium proiettivo, il che significa che noi stessi ci troviamo proiettati nel mondo di gioco.
Quando vestiamo i panni di un personaggio virtuale, quel protagonista è in qualche modo unico, anche nei giochi dove la storia è ben definita e curata dagli sceneggiatori: la mia Ellie di The Last of Us - Parte II sarà diversa dalla tua Ellie, perché nasce dall'incontro tra le caratteristiche di quel personaggio e ciò che di mio – il mio modo di pensare, di agire, di affrontare quei nemici al varco – io porto in-game.
Se questa idea è valida per i giochi dal protagonista definito e, quindi, dalle maglie un po' più strette, lo diventa ancora di più quando ci viene data totale libertà di creare il nostro Io all'interno del gioco.
Pur nei limiti concessi dal gameplay, il Dovahkiin che abbiamo interpretato in The Elder Scrolls V: Skyrim era nostro, e nostro soltanto: ci ha permesso di proiettare all'interno del mondo di gioco le nostre caratteristiche, le nostre fantasie, le nostre idee.
Nel momento in cui giochiamo, quindi, è come se fossimo sospesi tra due mondi: ancorati alla realtà (o alle fantasie che abbiamo sviluppato nella realtà), e al contempo presenti nel mondo di gioco. Concreti e immaginari contemporaneamente.
Mondi reali a chilometri di distanza
C'è anche un altro modo, più ovvio, in cui le esperienze di gioco si fanno hub di connessione, ed la loro capacità di connettere le persone a chilometri di distanza.
Se già dall'avvento del web 2.0 ci siamo tutti abituati all'idea di conoscere e "incontrare" qualcuno in spazi virtuali, tramite la diffusione di internet, i videogiochi sposano pienamente questo concetto – tanto nei multiplayer, dove gli spazi sono necessariamente condivisi, quanto nei single player capaci di creare community forti.
Personalmente, non sono mai stata avvezza ai multiplayer online, ma quando ho passato tante ore su quelli che mi piacevano è indubbio che fossero diventati una sorta di piazza virtuale in cui incontrarsi per giocare insieme.
Essendo una persona nata e cresciuta su un'isola, è un concetto che ha sempre esercitato su di me un certo fascino: all'interno di un Metal Gear Online o di un Ultima Online, di fatto i mari e le distanze non esistevano più. Potevo parlare e interagire in tempo reale con altri giocatori, a centinaia e a volte migliaia di chilometri da me. Quando queste tecnologie erano agli albori, sembrava quasi stregoneria.
Oggi i videogiochi online sono una costante – e una parte chiave dei modelli di business dell'industria – ed è diventato "routine" incontrarsi online per giocare, che sia per cooperare o per sfidarsi. Ci leghiamo a persone che in molti casi non incontreremo mai, che fanno parte dei bei ricordi che creiamo nei mondi virtuali mentre ci svaghiamo, e il videogioco diventa un terreno comune.
Ci sono anche esperienze ibride: Death Stranding (uscito nel 2019, prima della pandemia) parla di un'America frammentata in cui è necessario proprio connettere gli abitanti dopo la fine del mondo. Per completare la missione, il giocatore è chiamato a raggiungere queste persone, sparse per il continente, e a sviluppare con loro un rapporto di fiducia tale da convincerle a connettersi a una Rete che le metterà di nuovo in comunicazione tra loro.
Se già l'idea di un gioco sulle connessioni ha un suo fascino, a questa si aggiunge uno strato metanarrativo: il titolo, della giapponese Kojima Productions, è infatti strutturato come un multiplayer asincrono, in cui molti giocatori abitano la stessa istanza e lo stesso mondo, senza però potersi vedere né poter interagire direttamente.
Ciò che possono fare, però, è aiutarsi a vicenda, e in modo disinteressato: costruire un ponte che faciliti il percorso di chi affronterà il viaggio dopo di noi, lasciare delle risorse utili che potrebbero servire verso la prossima scalata, costruire un riparo dalla pioggia.
Ci si ritrova, così, a essere latori di una connessione tra gli abitanti del mondo di gioco mentre noi stessi ci stiamo in qualche modo collegando ai giocatori del mondo reale. Che poi non incontreremo mai, nemmeno nel mondo virtuale, ma dei quali ci arriva la gentilezza.
Un altro modo in cui il videogioco, anche offline, diventa un ponte tra giocatori lontanissimi tra loro è... la passione. Voi stessi che state leggendo questo articolo probabilmente non sapete nulla di me che lo sto scrivendo, ma a farci incontrare è la passione comune per i videogiochi.
Una connessione tra mondi – dove vivo io, dove vivi tu, incrociati a partire dal mondo virtuale che entrambi amiamo – comune a molti media nell'epoca di internet, ma che per il videogioco può contare sulla marcia in più dell'esperienza interattiva, in cui siamo agenti attivi e non spettatori passivi.
Le persone dialogano di quello che fanno nel mondo di gioco, di quello che provano nel mondo di gioco, di quello che scoprono nel mondo di gioco in cui si proiettano. Qualcosa di più della reductio a passatempo da cervello spento di cui sentiamo spesso parlare: videogiocare non significa necessariamente isolarsi ma, anzi, spesso può significare connettersi, trovare qualcosa in comune con altre persone, al di là delle distanze geografiche.
La mia e la tua arte
C'è un altro aspetto di connessione che trovo interessante, relativo al mondo dei videogiochi, ed è la loro capacità di unire arti diverse.
Non so se ci abbiate mai pensato, ma per rendere realtà un videogioco idealmente hai bisogno di qualcuno che sappia muoversi nel game design, di qualcuno che sappia scrivere una storia, dei dialoghi e dei personaggi, di qualcuno che sappia programmare. E di qualcuno che sappia illustrare il tuo mondo e i tuoi personaggi, qualcuno che sappia modellarli, qualcuno che sappia comporre della musica che li accompagni in questo viaggio. Idealmente, anche di qualcuno che sappia come gestire una regia e, nei casi delle grandi produzioni, come realizzare un doppiaggio.
Se provassimo a ridurre ai minimi termini questi aspetti, ci ritroveremmo con il fatto che un videogioco connette necessariamente il mondo dell'arte figurativa, della musica, della scrittura narrativa, della programmazione, del design, del cinema, della recitazione. E il suo, ovviamente – quello della creazione di interazioni coinvolgenti.
Artisti e professionisti con background completamente diversi si ritrovano a lavorare a un progetto che li connette, che fa loro da punto di incontro, con l'obiettivo comune di renderlo un grande videogioco. Sappiamo tutti che l'incontro tra talenti così diversi – e, va da sé, persone così diverse – è fonte di arricchimento: per l'opera, certo, ma anche per gli individui.
È riduttivo, allora, che di tanto in tanto si parli ancora del videogioco con un'unica sfumatura, o con lo spauracchio che possa essere un medium "isolante". Persone che si sono conosciute negli universi virtuali hanno scoperto di avere molto in comune anche nel mondo reale, quando le distanze da colmare per incontrarsi in carne e ossa non sono state proibitive.
I videogiochi nascono da mondi che si connettono. E, aspetto altrettanto affascinante, spesso sono un punto di incontro che fa connettere nuovi mondi.