Ubisoft crea mondi bellissimi che poi crollano, ed è un vero dramma

Ubisoft ha creato moltissimi franchise, ma non tutti sono sopravvissuti. Come possono essere rilanciati, nel mercato di oggi?

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a cura di Valentino Cinefra

Staff Writer

Se ne possono dire tante ad Ubisoft, soprattutto adesso che si è buttata nel mondo degli NFT insieme a tante altre aziende del settore.

Ma bisogna dare atto ai creativi in forze all’azienda francofona di una cosa: hanno creato alcuni dei mondi più suggestivi che la storia dei videogiochi ricordi.

Vi basti pensare al primo Assassin’s Creed, il franchise in cui Ubisoft aveva scommesso tutto per il rilancio aziendale, vincendo clamorosamente.

Riguardate il primo trailer (lo trovate qui sotto), poi andate a vedere la data di uscita del gioco, se non la ricordate. All’epoca non c’erano tanti trailer di quella levatura, e anche oggi non si riesce sempre a restituire una narrativa così d’impatto.

Il concept della serie, poi, era a dir poco avveniristico. Per i videogiochi, ma anche per il mondo dell’intrattenimento in generale.

Intercettando efficacemente l’ondata della dietrologia storica nella narrativa (il film tratto dal romanzo Il Codice da Vinci uscì nel 2006), il titolo con protagonista Altair era un mix vincente tra storia e fantascienza che andava proprio a percorrere quel filone, quello nato dalla penna di Dan Brown ed espresso poi da tantissimi altri autori in quell’epoca.

Lo sappiamo, poi, cos’è diventato Assassin’s Creed, negli anni. L’emblema del blockbuster videoludico, quel gioco che domina il mercato e che è riuscito, nelle generazioni, ad arrivare ad un pubblico sempre più vasto. Forse il primo titolo a rompere realmente il predominio dei giochi calcistici e del Call of Duty di turno nelle classifiche di vendita.

Tutto questo grazie alla capacità di eseguire un world building che ha pochi rivali. Ci vogliono giusto dei mostri sacri come Hideo Kojima e Death Stranding, o le produzioni Nintendo che escono dagli schemi consolidati delle IP come Super Mario Odyssey o The Legend of Zelda: Breath of the Wild, e pochi altri per eguagliare l’estro creativo dei franchise Ubisoft.

I quali comprendono anche idee brillanti come Steep, For Honor, Valiant Hearts, Child of Light, ed Immortals Fenyx Rising per arrivare alle produzioni più recenti. Quest’ultimo inevitabilmente derivato come concept di gameplay dall’ultima avventura di Zelda citata sopra, ma del tutto genuino e fresco in termini di immaginario.

Lo sguardo di Ubisoft sui mondi

Sono un grande fan dei videogiochi Ubisoft, lo ammetto. Mi è sempre piaciuto il modo in cui i nuovi franchise, o le iterazioni di essi, sono stati presentati al pubblico. Gli story trailer di queste IP hanno una qualità altissima in quanto a storytelling.

Quelli che ritengo più affascinanti sono i franchise più contemporanei, tra cui quelli del filone di Tom Clancy. Mi riferisco a Splinter Cell, Ghost Recon, The Division e Watch Dogs. Per la capacità di scrittura e world building, ritengo questi giochi davvero unici nel panorama videoludico.

Prendiamo ad esempio la logline del primo Watch Dogs, uscito nel 2013:

«Dopo aver perso sua nipote in un tentato omicidio, Aiden Pierce, un vigilante di strada, usa delle app di hacking nel suo telefono per abbattere un nuovo sistema operativo a Chicago, per scovare i criminali che hanno ucciso sua nipote in questo action thriller pieno di grinta.»

Anche in questo caso, Ubisoft fece due cose geniali: intercettare un’ondata e, come ogni buona fantascienza, immaginare un futuro plausibile.

La prima stagione di Black Mirror, la famosa serie britannica che riflette sull’impatto della tecnologia nelle vite umane, uscì nel 2011. Quanto al futuro, beh, vi basta guardare il periodo storico in cui viviamo. Dagli scandali di Cambridge Analytica alle tante domande che esperti, classe dirigente e umanisti si fanno su come è cambiata, e cambierà, la nostra vita di qui a qualche anno con la tecnologia sempre più invasiva.

Dal punto di vista meramente narrativo, la trama di Watch Dogs intercettava anche tutta la filmografia dell’epoca, tra il revenge movie e il thriller d’azione, che ancora oggi sono tra i tipi di narrazioni più diffuse ed apprezzate dall’utenza.

Se Splinter Cell ricorda più uno spionaggio da cinema, difficilmente paragonabile con la realtà sebbene i temi di cui tratta sono molto comprensibili, il franchise di Ghost Recon ha sempre proposto degli immaginari fortissimi da spy movie con una forte impronta bellica, che parimenti a Watch Dogs ha avuto una grande attenzione per il worldbuilding.

L’emblema di questi mondi bellissimi, che – avrete intuito – hanno un fil rouge di cui parleremo tra poco, è sicuramente The Division.

The Division e la distopia

Il cinematic trailer del 2014 di The Division è una meraviglia, ancora oggi. La New York immaginata da Massive è uno dei mondi più suggestivi che i videogiochi abbiano visto nella storia recente.

Il pretesto narrativo è, come per Watch Dogs, quasi una profezia. Partendo dal dato statistico, reale, per cui il 99% delle banconote da un dollaro nel mondo sono portatrici di germi innocui, i terroristi di The Division le usano per diffondere il Veleno Verde, una variante del vaiolo, che porta ad una pandemia devastante.

Il tutto nel contesto del Black Friday, per aggiungere una nota agrodolce al racconto. Oltre alla connotazione politica c’è l’ovvia ricostruzione, sfortunatamente fedele pur nella sua esagerazione bellica, di quelli che sono gli effetti di una pandemia mondiale.

«Il disastro sembra sempre così distante, distaccato. Qualcun altro sta soffrendo in un qualche posto lontano. Fin quando non è nella nostra città, alle nostre porte, che realizziamo quanto siamo fragili. Tutti noi, tutto questo.»

Questa è una delle frasi che aprono il trailer diffuso all’E3 2014, ed è la dimostrazione di quanto, ancora una volta, siamo di fronte ad una distopia molto lucida, capace di leggere la realtà ed interpretarla in un contesto diverso.

Ci vuole talento, e neanche poco, per costruire un mondo con queste premesse, le stesse di Death Stranding quando rifletteva sugli effetti della lontananza sugli esseri umani. The Division 2 fu un’altra dimostrazione di talento, perché spostava il discorso anche sull’impatto del crollo finanziario di una società fittizia, mentre quella reale ne subiva le conseguenze. Per non parlare del grottesco parallelismo con l’assalto al Campidoglio statunitense del 2021.

Mondi fantastici quelli di Ubisoft, unici, che spesso sono finiti per crollare.

Watch Dogs Legion, che raccontava una affascinante Londra post-Brexit, è stato abbandonato definitivamente e questo, nella lingua delle aziende videoludiche, significa un franchise morto.

Se Ubisoft vive con Assassin’s Creed Valhalla che ha saputo reinventarsi e trovare una nuova strada per il successo, The Division, Ghost Recon e Watch Dogs sono mondi che non vedremo più evolversi. E questo, al di là delle considerazioni personali che si possono avere su questi prodotti in quanto videogiochi, è un vero dramma.

Come trovare la formula perfetta

Se questi mondi sono così complessi, ed affascinanti, da corteggiare il mondo del cinema e della tv come l’Assassin’s Creed di Fassbender e la serie TV di The Division per citare due esempi, dall’altro sono videogiochi che in alcuni casi muoiono senza possibilità di redenzione.

Il fallimento di questi progetti spinge Ubisoft a pensare che il futuro di questi franchise siano prodotti come Rainbow Six Extraction e Tom Clancy’s XDefiant che, con tutto il rispetto, non è quello che ci aspettiamo da un’eccellenza del genere.

Le narrazioni che Ubisoft ha costruito negli anni non sono riuscite chiaramente ad imporsi come videogiochi completi.

Perché, alla fine, chi acquista Watch Dogs Legion è un videogiocatore e si aspetta che quel prodotto funzioni bene come tale. Come molti giocatori di The Division non hanno probabilmente visto i filmati nascosti della sorveglianza (alcuni sono da brividi), né letto con attenzione tutti gli elementi testuali della lore.

Questo forse è il grande paradosso dei titoli che ho citato. Mondi dal valore artistico gigantesco, rinchiusi in formule di gameplay che non incentivano né la scoperta, né l’apprezzamento.

Ai giocatori di The Division non serve scoprire il mondo di gioco, se l’obiettivo è quello di fare la build perfetta. Perché appassionarsi alla trama di Watch Dogs, che ad un certo punto parla anche dello schiavismo moderno, se il core gameplay è andare in giro per la città usando all’impazzata l’applicazione di Aiden per fare casino?

Questi franchise potrebbero rinascere come esperienze story driven, ma con la certezza quasi matematica di fallire sul mercato. I videogiochi sono prodotti che vivono nella dittatura della durata, del rapporto longevità/prezzo, dove i proverbiali €80 devono essere una sicurezza di impegno per mesi e mesi, per la maggioranza dei consumatori.

Re-immaginare i titoli citati come dei videogiochi che puntano sulla narrativa è complicato. Il pubblico di Ubisoft di oggi è abituato agli open world e alle esperienze online, e cambiare rotta è difficile e, comprensibilmente, la peggior mossa dal punto di vista aziendale.

Mi auguro che riescano a tornare, vincenti, in una qualche forma, perché non possiamo permetterci di perdere per sempre questi mondi. Perché quelli che ci sono, pur affascinanti come quello di Horizon: Forbidden West prossimo all’uscita, oppure Elden Ring, sono ormai appannaggio di sempre meno studi, che rischiano di ripetersi.

La scena dei videogiochi indipendenti regala sempre soddisfazioni, va detto, ma abbiamo bisogno anche dei blockbuster. Anche a livello estetico e contenutistico serve la potenza di fuoco di aziende come Ubisoft, in grado di sviluppare un world building a tutto tondo, con la qualità di una produzione tripla A.

I trailer che abbiamo citato, così come i testi e i contenuti all’interno dei videogiochi, sono di una qualità così alta perché gli studi possono permetterselo.

Personalmente sono molto amareggiato nel vedere la fine in cui sono incorsi questi franchise.

Ho rispetto delle logiche di mercato che sono sovrane, perché alla fine è il mercato a scegliere cosa funziona e cosa no. A questo punto, spero che Ubisoft possa intercettarlo di nuovo, per capire come riproporre questi mondi in una chiave vincente.

Abbiamo vissuto una generazione di open world tutti uguali, che nel 2021 sono per fortuna calati. Forse stiamo lentamente uscendo dalla dittatura della difficoltà e quella della longevità (i videogiochi “un tanto al chilo”), e il mercato si muove verso i servizi ed i videogiochi-contenitore.

Come possono, i videogiochi Ubisoft che abbiamo citato, ritrovare una ragione di esistere?

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