The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom ci insegna (di nuovo) a videogiocare

The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom presenta uno degli incipit più anomali per la serie e uno fra i tutorial più importanti nel mondo videoludico.

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a cura di Salvatore Pilò

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The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom è finalmente arrivato sulle console di tutti i videogiocatori e, senza troppe sorprese, si è già fatto conoscere come un videogioco che farà la storia e detterà legge segnando un nuovo livello della parola “perfezione”.

Che ci stiate giocando o meno, che vi piaccia o meno, si tratta di un titolo che è destinato a far parlare a lungo di sé, un po’ come ha fatto il suo predecessore con un’eredità che ha dato e sta ancora dando molto al mondo videoludico.

Ma non è di questo che parliamo oggi – o meglio, non vogliamo parlare della “grandezza” del gioco in senso generale quanto soffermarci sulla grandezza delle prime due ore di gioco, quelle del “tutorial” all’interno delle quali Tears of the Kingdom (qui la nostra recensioneriesce a fare scuola in modo molto difficile da descrivere a parole.

Si tratta con ogni probabilità di uno degli incipit più “strani” per la serie e per certi versi molto anomalo nella saga, sia dal punto di vista narrativo che da quello del gameplay che va a discostarsi persino da Breath of the Wild in modo così netto che quasi si stenta a credere a quella sensazione di “casa” che il gioco cerca di comunicare fin da subito.

Ed è proprio durante l’incipit che, oltre a conoscere le vicende che daranno il via alla narrativa di Tears of the Kingdom, il giocatore prenderà familiarità con le meccaniche principali del titolo declinate nelle quattro abilità che abbiamo tutti avuto modo di conoscere durante i vari trailer e gameplay della scorse settimane: Compositor, Ultramano, Reverto e Ascensus.

Ti ho già detto tutto, ora cavatela da te

Se da un lato, però, il titolo sembra proporre una struttura non troppo dissimile da Breath fo the Wild, quindi un’area iniziare con quattro prove da superare per avere accesso ad ognuna della quattro abilità disponibili, dall’altro viene costruito, per il giocatore, un pantagruelico parco giochi di creatività.

Ed è proprio a quest’ultima che il gigantesco tutorial di Tears of the Kingdom punta: non è tanto la forma in cui i poteri vengono rivelati e concessi al giocatore, così come non si tratta del puzzle di turno che cerca di spiegartene il funzionamento. Nintendo in questo caso fa qualcosa di totalmente inaspettato e spiazzante: niente.

Non ho ancora visto nessuno completare il tutorial di Tears of the Kingdom nello stesso esatto modo in cui l'ho completato io.
 Si limita a dare al giocatore quattro informazioni in croce sul potere di turno, gli spiega i bottoni da premere e gli mette davanti una prima, banalissima, esperienza dello stesso giusto per dire “ok, più o meno è questo quello che puoi fare nella pratica”. Poi butta il giocatore a mare e gli chiede di imparare a nuotare.

Non penso di esagerare nel dire che non ho ancora visto nessuno completare il tutorial di Tears of the Kingdom nello stesso modo in cui l’ho completato io, almeno in queste prime ore di disponibilità del titolo per il grande pubblico.

A rendere così speciali e uniche le esperienze di tutti i giocatori è proprio questa educazione alla creatività che il gioco mette in atto fin da subito, rivelando dal primo istante le sue carte: se riesci a pensarlo puoi sicuramente farlo e se non riesci a pensarlo ti spieghiamo noi come devi imparare a pensare.

E questa, senza ombra di dubbio, è un’esperienza che non ha prezzo. Tears of the Kingdom insegna a videogiocare ai videogiocatori e lo fa con tutta la calma e la pazienza del mondo senza mai (o quasi) volergli tendere la mano. La ricompensa è la soddisfazione e l’aver (re)imparato a giocare con un videogioco.

Basta prendere come esempio un qualunque titolo con meccaniche sandobox o simili e guardare i loro tutorial: si tratta generalmente di “livelli” in cui viene messo a disposizione del giocatore uno strumento da dover utilizzare in un dato modo per produrre un dato effetto.

Continuando, poi, livello dopo livello e situazione dopo situazione a declinare ogni possibile sfaccettatura dello strumento così da aver “insegnato” al giocatore come dovrà utilizzarlo una volta completato il tutorial.

Tears of the Kingdom fa esattamente l’opposto: offre un’intera mappa, l’isola delle origini, come parco giochi forzato per dover imparare a pensare con la propria testa e stimolare in modo attivo la propria fantasia.

Con una manciata di ore Nintendo riesce a rispondere a tutti quegli interrogativi e domande proprio inerenti alla natura sandbox del titolo: ma se davanti ad un lago mi metti dei tronchi e una ventola, non è ovvio che devo fare una barca?

Sì, è quello che c’è dopo quel lago che fa, però, esplodere il cervello. Il lago è solo una situazione fra te tante in cui il gioco di mostra, nella pratica, un esempio di quello che puoi costruire. Superato quel lago sei da solo, di fronte ad una montagna ghiacciata che non puoi scalare perché si scivola.

Hai un tempo limitato per pensare per via del freddo che lentamente drena la tua vita e tutta la natura a disposizione per capire come superare quella montagna.

Sta a te, ora. E senza la ventola e i tronchi a tua disposizione per instradarti.

È un po’ come le vecchie scatole dei LEGO all’interno delle quali era contenuto il classico libretto che mostrava come fare determinati incastri per costruire questa o quella forma per poi lasciarti in mezzo ad un mare di mattoncini spaesato: l’unico aiuto era sapere come i pezzi potevano essere incastrati, il cosa fare di questa informazione era tutto relegato alla fantasia del ragazzetto.

Una potenza comunicativa e creativa che, in tutta onestà, nessuno avrebbe mai pensato di trovarsi davanti con una moltitudine di situazioni e combinazioni a cui è seriamente difficile star dietro.

Sperimentare

Sperimentazione è la parola che descrive al meglio quelle che sono le prime ore di gioco che non fanno altro che martellare incessantemente il lato destro del vostro cervello invitandovi a provare, a combinare e a scoprire tutto quello che due bottoni in croce creano sul vostro schermo.

La magia di Tears of the Kingdom (se interessati, potete comprarlo qui) è semplicemente tutta qui: una semplicità d’azione disarmante per una mole di contenuto quasi soverchiante che minuto dopo minuto crea e distrugge la nostra idea di videogioco invitandoci costantemente a definirci nel nostro gameplay, insegnandoci a non aver paura di volare con un aliante o di lanciarci nel vuoto per il puro scopo di voler vedere cosa c’è di sotto – o anche solo se c’è un sotto.

Lo stimolo è costante, dalle armi in mano ai nemici che ci fanno domandare “come”, alle rotaie disseminate sull’isola che continuano a farci chiedere “dove”, passando per i depositi di materiali e i dispenser di dispositivi Zonau che continuano a farci risuonare un “quale”.

Tears of the Kingdom riscriverà senza alcun dubbio il genere, e, iniziando dal tutorial ha già iniziato a riscrivere il nostro essere videogiocatori consapevoli.

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