Alla presentazione di PS5 di pochi mesi fa, ho parlato di un design “prepotente” e, dopo il teardown di ieri, la mia idea al riguardo non è affatto cambiata. La console next-gen di Sony rimane prepotente per due ragioni.
In primis, l'aspetto estetico: con una forma così eccessiva, altissima com'è, e un colore bianco che rompe con una tradizione che puntava al nero dai tempi di PlayStation 2, il suo obiettivo è aggredire lo spazio e non immergercisi silenziosamente, al contrario di quanto aveva fatto una PS4 elegante che mirava a calarsi umilmente in qualunque arredamento anziché dettarci legge.
In secondo luogo, e ne abbiamo avuto un'altra dimostrazione ieri quando il responsabile del reparto ingegneristico della compagnia giapponese l'ha smontata, è prepotente perché se ne frega altamente dei problemi e, presumibilmente, persino degli errori quando ha uno scopo di design che vuole perseguire.
In questa console ci sono tante cose bizzarre che non ci saremmo mai aspettati di vedere nel 2020, per i canoni stilistici che si sono affermati col tempo e le aspettative dei consumatori che hanno plasmato, e PS5 non solo ha tanti nei, piccoli o grandi, posti l'uno sopra l'altro, ma anziché nasconderli quasi ne fa motivo di vanto: perché la sua visione è così e basta, e – forte pure dei 120 milioni di console che ha piazzato nell'ultima generazione – ha così tanta fiducia da pensare di poterla imporre e alla fine convincerci che, sì, questo design è davvero un capolavoro.
La riprova di un prodotto disegnato male
Toccheremo anche il fattore estetico ovviamente, sul quale c'è poco da discutere visto che parliamo di gusti, ma prima di farlo lasciatemi spiegare perché PlayStation 5 ha una serie di anomalie che fanno accendere un punto esclamativo rosso in stile Metal Gear Solid sulla mia testa. Quando ho realizzato il primo articolo sul design della console, sfornato subito dopo il reveal, avevamo ancora una visione parziale del progetto e alcuni particolari non erano emersi nella loro forza dirompente. Adesso, grazie al teardown e alle analisi molto informate che sono fioccate nell'immediatezza della sua uscita, abbiamo uno sguardo completo alla console e non riesco a nascondere la mia perplessità su diverse delle trovate del team ingegneristico di Sony.
La prima spia si era accesa chiaramente alla visione di quell'orrendo gonfiore sul fianco della PS5 con lettore ottico, il modello che la maggior parte dei consumatori si porterà a casa, chi prima o chi dopo. Una protuberanza del genere già è abbastanza antiestetica di suo, perché rompe la simmetria di un prodotto che parte piacevolmente sfinato e si apre gradualmente fino a questo disastro (non) annunciato.
L'aspetto più controverso qui è però rappresentato dal fatto che PS5 Digital Edition non presenti niente di tutto ciò, non avendo, naturalmente, il lettore ottico. Questo vuol dire che il design originale è proprio quello dell'edizione digitale, un modello che si stima una parte irrisoria dell'utenza finale si ritroverà ad acquistare, ma soprattutto implica che, per assurdo, il design sia stato preparato a prescindere dalla componentistica interna, venendo poi applicato senza preoccuparsi troppo del risultato finale su entrambi i prodotti.
Chiunque di noi, insomma, avrebbe alzato un sopracciglio vedendo in fase di progettazione un gonfiore del genere, e invece in Sony ci si era innamorati così tanto di questo design con le ali da ritenere si potesse soprassedere; è anche di questo che parlo quando menziono un design “prepotente”, ovvero un look che se ne importa veramente poco di risultare grossolano fintanto che permette alla console di raggiungere le sue finalità (estetiche, paradossalmente, più che funzionali).
L'avvisaglia più grossa di una PS5 disegnata francamente male era però rappresentata dallo stand, e precisamente dal fatto che la console avrebbe necessitato di uno stand persino per essere posizionata in orizzontale – sia per le paratie concave, sia per quel gonfiore sulla versione con disco. Sostanzialmente, pur disponendola su un fianco, avremo bisogno di un “piattino” su cui adagiarla, altrimenti non starebbe in equilibrio.
Basta questa descrizione per comprendere cosa ci sia di sbagliato, squisitamente sotto questo punto di vista, in PlayStation 5. Non è la prima volta in cui Sony ricorre ad uno stand per tenere ferma la sua console in orizzontale, ma è di certo la prima volta in cui la vediamo richiedere esplicitamente la sua applicazione (l'applicazione di uno stand che, giocando un po' con la lingua inglese, letteralmente vuol dire “stare in piedi”, l'esatto opposto) per fare in modo che la console non si muova continuamente, e pericolosamente, per via di una posizione precaria.
Tuttavia, il teardown di ieri ha aggiunto un paradosso ancora più grande, che è quello che mi ha spinto a tornare del design della piattaforma dopo alcuni mesi in cui avevo tutto sommato ritrovato la mia compostezza (e il desiderio di preordinare entrambe le console next-gen, sperando di riuscire ad averle davvero tutte e due in casa ai rispettivi day one).
Ovvero: lo stand non può essere rimosso e applicato ad incastro, come una banale base, ma necessita di svitare e riavvitare una vite posta al suo centro. Questa pratica sarà necessaria ogniqualvolta avremo il desiderio o il bisogno di cambiare posizione a PS5, magari perché la porteremo a casa di un amico o semplicemente perché dovremo spostare un mobile e ripensare all'arredamento della nostra stanza con la necessità di non averla in verticale per non farla finire davanti al televisore, a coprire l'immagine.
La buona notizia è che lo stand si applica effettivamente con delle clip alla console quando vorremo disporla in orizzontale, per cui avvitamento e svitamento saranno obbligati soltanto una volta nei due passaggi, e che questo stand ha in sé, letteralmente, tutto quello che serve per compiere quest'azione (e ci mancherebbe) grazie ad un comodo vano per nascondere la vite e credo anche il dispositivo stile cacciavite, sebbene si tratti di una semplice vite fissa.
Ma è chiaro come richiedere ad un consumatore di prendere un cacciavite e svitare una vite sia di per sé un'operazione che rappresenta la morte dell'esperienza utente: un giocatore che acquista una console lo fa appositamente per avere un prodotto completo e un'esperienza, se non finale, pratica, una di quelle per cui prendi la console e la metti sotto il televisore, poi ad ogni necessità, se e quando sarà, le cambi posizione in due secondi perché non ti viene richiesta alcuna azione aggiuntiva. Un prodotto console che non respiri quest'immediatezza potrà pure sembrare dirompente ma la prima figura che fa è quella di un oggetto pensato male e corretto ripetutamente in corsa.
Quella di avvitare e svitare è una meccanica evidentemente mutuata dalla scena del PC gaming, un tipo di esperienza in quel caso dove montare e smontare fa parte del divertimento, un momento catartico a cui vuoi unirti e per il quale scopo tu appositamente scegli una macchina simile anziché una console – perché vuoi fartela da sola, non ti piace che sia qualcuno dall'altra parte del mondo ad assemblartela. Ci sta, piace pure a me, ma non è quello che mi aspetto da una console.
Ci sono tante cose che, a cavallo tra la generazione PS360 e l'attuale, sono state assorbite dal PC gaming, in primis il concetto di patch e service game, ma questo non ha richiesto un'operazione manuale completamente avulsa al gaming da salotto, non c'è stato da alzare le proverbiali terga dal divano, per quanto in tanti fatichino ancora a digerire download continui e spesso lunghi in aggiunta alla liturgia ludica consolidata nelle scorse gen. Non vorrò mai e poi mai farlo onestamente su PS5 e, specie per come si è configurata la platea PlayStation finora, tradizionalmente lontana dai dogmi del gaming su PC e anzi avvezza a sfottere la concorrenza che sempre più convintamente li abbraccia, ho l'impressione che sarò in buona compagnia.
L'estetica e la personalizzazione
Questo genere di considerazione non implica necessariamente l'apprezzamento estetico per un prodotto o meno, e infatti a me PS5 – se vista in una determinata luce – piace e pure molto. In verticale e nel profilo in cui non si vede la protuberanza dettata dal lettore Blu-ray, per la precisione. Mi affascina questo profilo quasi da libro, con il marchio PlayStation posizionato così elegantemente in alto a margine della scocca, così come il retro sinuoso con il corpo centrale sezionato come se fosse, perdonate l'immagine forse non felicissima, una colonna vertebrale.
Per quanto mi riguarda, è questa la configurazione di PlayStation 5, la console in casa mia ci entrerà così e farò di tutto per tenerla verticale. Non so se avrò sempre lo spazio necessario per farlo, ed è per questo motivo che me la prendo così tanto con lo stand: sarebbe stato lo strumento ideale per effettuare lo switch al volo, e farmi così chiudere un occhio anche sulle ali concave e sul lettore tanto sporgente.
Ma, così poco pratico com'è, so già che non ci farò mai ricorso e finirò probabilmente, dopo averla sfoggiata il più possibile, col posizionarla in qualche modo in orizzontale sotto la scrivania e amen. Potrebbe sembrare un dettaglio di poco conto ma, considerando che avrebbe potuto essere il potenziale salvatore di una forma per così tanti versi sbagliata, vedete quanti danni fa una vite?
Quello che è trapelato dal teardown è però l'idea di un sistema più personalizzabile di Xbox Series X e, guardando all'idea di eleganza e prodotto fatto e finito quasi imposto delle passate generazioni di PlayStation, la notizia è anche abbastanza sorprendente. Microsoft ha optato per un monolite elegantissimo, a mani basse la soluzione migliore sia per compattezza che per estetica, ma che ha tutto lo stile di un sistema chiuso come ne avrebbe potuto fare uno Apple (colore a parte, ovviamente).
È apprezzabile la facilità con cui si smontano i pannelli laterali, ad esempio, che hanno una meccanica quasi ad incastro o a scatto, e saggiamente non richiedono alcuna vite o smanettamento particolare. Conoscendomi, difficilmente li toccherò mai per paura di romperli/ammaccarli/macchiarli, ma questa è pura soggettività; obiettivamente, permettere di aprirla in pochi secondi fosse pure per una spolverata è un'ottima cosa.
Sotto questo punto di vista, pensando alla questione della potenziale personalizzazione, PS5 mi ricorda molto Xbox 360, che – ricorderete – aveva tentato la strada delle faceplate applicabili in pochi secondi; è ampiamente prevedibile un piccolo business first o third-party di “skin” per la console, specie ora che Sony ha dato una sterzata così customizzabile alla sua piattaforma, una macchina da smontare e rimontare, o almeno questa è l'impressione, a proprio piacimento per piegarla all'esigenza del momento.
Laddove il design punta ad imporsi, la funzionalità rema nella direzione completamente opposta, ed è una dicotomia sorprendente o quantomeno interessante. Un esempio di ciò è la possibilità di espandere lo storage applicando un SSD da acquistare liberamente a parte: ancora, il problema qui è che l'utente deve aprire, installare, svitare e avvitare, mentre su Xbox Series X|S basta inserire una scheda di memoria e basta, ma è innegabile che questo sia un segno di maggiore apertura e probabilmente sul lungo termine una dinamica anche più economica (sebbene bisognerà trovare un SSD della stessa velocità di quello della console per installarci giochi, e per ora parliamo di prodotti che si stanno affacciando solo timidamente e solo adesso sul mercato generalista).
Per esperienza personale non amplierò mai lo spazio per l'immagazzinamento di dati su una console, perché tendo sempre a farmi bastare quello che ho installando e disinstallando cose a seconda delle necessità, e quanto proposto da Microsoft e Sony non mi convince a cambiare idea: la prima ha una scheda pratica ma costosissima, quasi quanto una Xbox Series S, mentre la seconda oltre al prezzo al momento elevatissimo ha di contro pure il requisito di montare e smontare - una soluzione che non so come sia venuta in mente alla stessa compagnia che ha fatto delle memory card un caposaldo della sua iconografia.
Da un punto di vista tecnico
Da un punto di vista tecnico ci sono alcune cose da sottolineare, sebbene i tempi siano ancora prematuri per sbilanciarsi – aspettiamo di avere la console a disposizione in redazione e poi ne parleremo, per quanto pure allora avremo da aspettare che alcune componenti si sedimentino, lo vedremo tra poco, nel corso dei prossimi anni.
Prima di tutto, due parole sul teardown in sé: averlo proposto in Giapponese (lo dico da amante di quella cultura e studente della lingua) è una mossa che conferisce la solita aura di sacralità all'evento ma è francamente improponibile nel 2020. In questo momento, specialmente in questo preciso momento storico in cui non ci sono eventi e siamo tutti tagliati fuori dalla sfera mondana delle console di nuova generazione, è impensabile parlare al mondo in una lingua che non capisce nessuno fuori da un'isola sperduta nel Pacifico.
Ok i sottotitoli, ok che siamo abituati da anni di anime e bizzarrie su Internet, ok che era l'ingegnere capo a parlare e l'ingegnere capo è giapponese, ma immaginare che in una fase del genere si trattasse di un semplice teardown vuol dire avere per l'ennesima volta (dopo lo show di Cerny) aver sottovalutato la portata delle aspettative dei fan e del loro sacrosanto diritto di saperne di più su un dispositivo che nel giro di un mese pagheranno 500 euro.
La console è ancora avvolta nel mistero per tantissimi aspetti funzionali (retrocompatibilità, salvataggi cross-generazionali, e ne avremmo ancora) e ogni occasione – quale migliore di un video in cui letteralmente è stata scomposta in ogni singolo pezzo? - può essere quella giusta per discutere dei pezzi del puzzle che ancora adesso non sono al loro posto. Farlo con un video da Nintendo, sempre senz'offesa e con grandissimo affetto, ovvero non da azienda giapponese più occidentale che ci sia (tale la considerano in madrepatria), non è il modo giusto per affrontare il problema.
Per quanto riguarda l'aspetto ingegneristico, come anticipato, possiamo fare solo qualche breve considerazione in vista di quello che sarà il nostro approccio alla console (e quello che apprenderemo negli anni di utilizzo). PS5 ha innegabilmente qualcosa di avveniristico – su tale fronte il design rispecchia l'obiettivo della progettazione delle componenti e risulta un'ottima mossa -, nella fattispecie il metallo liquido come TIM, ossia materiale di raffreddamento dei chip interni.
Sarà la prima console a sfruttarlo e sono ancora pochi i prodotti tecnologici in circolazione che vi fanno ricorso al posto della pasta termica (usata su Xbox Series X) perché è particolarmente difficile da “ingabbiare” in un posto specifico e ci sono rischi che movimenti bruschi possano spargerlo su tutte le parti interne, causando danni irreparabili ai transistor. Sony ha lavorato due anni solo su questo e propone uno “scalino” prima dell'allocazione del metallo liquido, circondato poi da una gabbia di gomma che dovrebbe prevenire fuoriuscite.
È più costoso della pasta termica, chiaramente, e costituisce insieme al dissipatore a tubo di calore – che si estende per tutto il corpo della console – una soluzione molto aggressiva ai due problemi principali di PS4 e PS4 Pro, la rumorosità e il calore. Non abbiamo certezze su quanto possa durare il metallo liquido, e soprattutto il tipo adottato da Sony in modi che non conosciamo ancora, ma è possibile che abbia una longevità inferiore.
Questo dissipatore potrebbe permettere a PlayStation 5 di scaldarsi meno di Xbox Series X e di conseguenza attivare di meno la ventola bilaterale applicata. Xbox Series X ha una vapor chamber adibita alla dissipazione che è un comparto a parte che si occupa di spingere all'esterno il calore senza il minimo rumore, non di “non generarlo”.
La vapor chamber è una tecnologia più moderna e rara, che ha debuttato su Xbox One X in ambito Microsoft, e garantisce silenziosità e zero problemi per quanto riguarda la funzionalità, quindi niente crash o giochi impiantati per via di surriscaldamenti. Sono due soluzioni molto interessanti e sarà allo stesso modo interessante testarle per capire quale servirà il suo scopo meglio nel corso degli anni, ma già che la battaglia si stia spostando sul calore rispetto alla rumorosità lo trovo un passo in avanti notevole.
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