Non so come sia accaduto, per voi. Per me è stato un po' un caso. Amavo i videogiochi ma, a parte uno stoico computer Atari XE, ci giocavo un po' dove capitava – che fosse il Commodore 64 di mio cugino o quelle console di incerta provenienza che si trovavano ai centri commerciali e che scimmiottavano quelle più famose (e che con la paghetta non potevo permettermi).
La prima volta che sentii parlare di PlayStation, ero in terza elementare e fu per via dell'ultima pagina dell'album delle figurine dei calciatori che collezionavo con mio fratello: c'era una pubblicità di FIFA 99, con alcuni screenshot che ci lasciarono meravigliati: «sembra vero», ci dicemmo. A pensarci oggi fa sorridere.
So che ciascuno di noi ha una storia simile da raccontare: dove era quando è entrato in contatto per la prima volta con una console su cui ha passato tanto tempo, con chi era, con chi ha condiviso quelle esperienze di gioco. Penso siano ricordi irripetibili, non tanto perché oggi l'industria è diversa, ma perché è molto diverso anche il modo in cui si accede alle informazioni, in cui si scoprono le cose.
Chi è della mia generazione, comprava le riviste cartacee per i dischi demo che includevano: dei CD tutti neri dove c'erano bocconcini di giochi, di solito solo in inglese e quindi incomprensibili, che per te valevano come un titolo intero. Non si sorprende nessuno, se vi dico di aver consumato la demo di Metal Gear Solid.
Trent'anni dopo, PlayStation è cambiata, è senz'altro cresciuta – in bene o in male, a seconda della generazione. E anche se su SpazioGames non abbiamo mai nascosto le nostre perplessità circa le recenti strategie operate sul mercato – alcune delle quali suonano così lontane da quello che questo marchio ha rappresentato – c'è una certezza che penso metta d'accordo tutti: su qualsiasi piattaforma giochiate prevalentemente, l'avvento di PlayStation ha segnato un prima e un dopo nel mercato videoludico. E ha regalato al cuore di chi ama i videogiochi, e non le console, alcune delle opere più preziose che questo medium abbia mai generato.
Questo sarà un articolo più personale del solito, che mescolerà ricordi e fatti storici legati a questi trent'anni: una specie di diario di viaggio che attraversa le generazioni delle macchine di Sony, per raccontarvi alcuni dei momenti che sono rimasti impressi a chi vi scrive.
In molti, ne sono certa, vi rivedrete anche voi. E non esitate a condividerne altri, se vi va, nei commenti a questo articolo.
1. La Demo One
Potrei rievocarne la musichetta in qualsiasi momento: con la PlayStation che mi venne regalata in un'estate, insieme a FIFA 99 e a Moto Racer 2 (sì, avevo la fissa per i giochi sportivi da bambina, ndr), c'era anche la Demo One. Era la cosiddetta demo "Underwater", quella diventata così iconica da avere avuto un suo cameo in Astro's Playroom, nel 2020.
Una manta fluttuava nelle profondità del mare, la musichetta suonava, e tu nel menù passavi da una demo clamorosamente bella all'altra: Crash Bandicoot 3, Spyro, Tekken 3, MediEvil, Gran Turismo, Tomb Raider III, Tombi!, tutti insieme.
E, se andavi sui video, c'era il trailer di Metal Gear Solid. Fatico a immaginare un prodotto mediale che possa avere un impatto sulla vita di qualcuno tanto quanto lo ebbe quel trailer di Metal Gear Solid sulla mia.
A suo modo, il disco nero della Demo One era un concentrato di quello che avrebbe offerto quella generazione, un conglomerato di giochi che sarebbero diventati indimenticabili e avrebbero segnato un'epoca. La custodisco ancora gelosamente: fu il prologo del mio viaggio con PlayStation, e sono certa sia stato lo stesso per moltissimi di voi.
2. PS1 e quel senso di stupore
Penso che tra i salti generazionali più imponenti che abbia mai vissuto nei videogiochi, ci sia proprio quello vissuto quando giocai le prime volte con PlayStation. Praticamente non avevo mai giocato titoli in tre dimensioni e per me già il colpo d'occhio di Adventure Island era qualcosa di metafisico.
Il fatto che i giochi fossero uno più incredibile dell'altro, ovviamente, aiutò: credo di aver passato metà della mia vita a Shadow Moses nel primo Metal Gear Solid, saltai Final Fantasy VII perché era solo in inglese ma spolpai (e me ne innamorai) Final Fantasy VIII.
Mi innamorai di Crash Bandicoot (piacere, Naughty Dog) e di Spyro (piacere, Insomniac Games), viaggiai ore e ore nei mondi dei due Tombi!, creai il garage con le auto dei miei sogni in Gran Turismo, ammazzai vagonate di zombie in Resident Evil 2 e 3, mi intestardii fino a capire di essere troppo stupida per riuscire a finire i cinque (stupendi) Tomb Raider senza barare, le diedi e le presi in Tekken 2 e in Tekken 3.
La lista potrebbe allungarsi ancora, ma penso di aver reso l'idea: la ludoteca proposta dalla prima generazione di PlayStation fu un concentrato irripetibile di appuntamenti con la Storia del videogioco. E il senso di meraviglia ti rimaneva addosso. Accogliente. Bellissimo.
3. Ciao, monolite nero
Con quello che mi ha fatto vivere PSX, non c'era nemmeno da discutere sul fatto che sognassi di passare a PlayStation 2 – una paghetta risparmiata alla volta. Nelle riviste a cui ero abbonata si diceva di tutto: si parlava di questo sobrio monolite nero che permetteva di giocare giochi più grandi, più dettagliati, «che sembrano veri».
Anche quello fu un salto generazionale imponente: PS2 su fu una signora console capace di capitalizzare sul successo della sua capostipite, che in molti mercati – come il nostro – divenne sineddoche stessa di videogioco. Quanti di voi sentono ancora parlare di "giocare alla PlayStation" in funzione di "giocare ai videogiochi?".
Il mio primo impatto con PS2 fu particolare, però: ebbi la sfortuna di comprare un'unità difettosa, con il tasto di accensione che non prendeva sempre il comando. La prima sera io e mio fratello faticammo ad accenderla, era luglio 2002. Il giorno dopo tornammo in negozio e ricordo ancora l'empatia del commesso: «non ci posso credere, chissà che delusione!» ci disse, immaginando di aver venduto a due ragazzini una console difettosa. «Ve ne do subito un'altra!».
Arrivati a casa, fu la gioia: e lo fu perché, rispetto alla line-up di lancio scelta per PS1 – voglio dire, dai, chi sceglie due giochi sportivi su due?! – quel giorno noi scegliemmo come primi giochi Final Fantasy X e Metal Gear Solid 2. Non credo serva aggiungere dettagli.
Per esperienze offerte e consapevolezza di sé, PS2 fu un salto nel futuro e un cementarsi delle fondamenta di PlayStation: è la console più venduta di sempre perché aveva non solo tanto da dire, ma anche tanto da dare. E iniziò a consacrare sempre di più software house che oggi sono diventate sinonimo di qualità.
4. Perdersi in un mondo di gioco
Il trucco è non avere fretta. Vale quasi per qualsiasi cosa: non avere fretta. Non ebbi fretta di comprare PS3, anche perché venne lanciata con un prezzo completamente fuori da ogni logica, che era difficile permettersi. Lo ricorderete tutti perché è una tappa fondamentale del viaggio di Sony: per la prima volta, con PS3, Sony mise davvero il piede in fallo con il prezzo esagerato della sua nuova console.
Parlavamo di un gigante nero con il font di Spider-Man, che si comportava da egemone del mercato e si lanciava in uno scontro frontale con la realtà, ritrovandosi a inseguire un'ambiziosa Xbox 360 molto più a lungo di quanto ci si potesse aspettare. Una lezione che Sony imparò sicuramente per la generazione successiva, quella di PS4.
Ma la generazione di PS3, cominciata con la sparata di Sony che addirittura causò i festeggiamenti presso i suoi concorrenti, fu la generazione dei mondi di gioco. Posso spiegarlo con facilità: come giochi, il giorno che comprai la console, insieme a mio fratello questa volta scelsi il primo Assassin's Creed e The Elder Scrolls IV: Oblivion. Penso che questi due nomi rendano l'idea, quando parlo di "generazione dei mondi".
Gli universi creati su questa generazione, riusciti e meno riusciti, segnarono un grande balzo in avanti: è la generazione di Uncharted, è la generazione di The Last of Us, quella dei Batman Arkham, dei Dark Souls, di quella meraviglia di Red Dead Redemption. Mondi: incredibili, spietati, assurdi, accoglienti, ostili, ma mondi.
E con contaminazioni sempre più forti: The Last of Us, lo stesso Uncharted, Metal Gear Solid 4, erano rimediazione pura, la capacità di reinventare il linguaggio filmico in un'esperienza che fa leva sull'empatia dell'interazione.
Il videogioco che abbiamo vissuto su quella generazione prendeva più coscienza di sé, e anche dei toni che era possibile usare per vivere una storia: in un certo senso, c'è ancora oggi un prima e un dopo The Last of Us, che magari rispetto ad altri titoli citati non aveva quella stessa dimensione di "mondo" virtuale in cui perdersi, ma premeva forte il pedale sulla dimensione delle "persone" e non dei "personaggi". Creando di quei legami e di quei ricordi per i quali vale la pena videogiocare.
5. Ti connetti e giochiamo?
Li conoscevo già, i giochi online, perché giocavo anche su PC: ero una pippa, ma il mondo di Ultima Online, ad esempio, lo conoscevo piuttosto bene. E, indubbiamente, l'avvento di PlayStation Network fu una tappa storica nel viaggio di PlayStation.
La prima volta che giocai online su una console fu con PS2, che aveva bisogno di un modulo specifico per la porta Ethernet: giocai a Metal Gear Online dentro Metal Gear Solid 3: Subsistence, ovviamente. E dire che i giochi competitivi nemmeno mi piacciono...
Eppure, era tutto sorprendente: sentire gli amici online su un forum, accordarsi per giocare insieme e "vedersi" nel mondo di gioco. Con PS3, questo divenne molto più di routine, una vera costante, consacrando franchise che ancora oggi hanno costruito la loro fortuna sull'esperienza multiplayer online.
Passai tantissime ore dentro lo splendido Metal Gear Online di Metal Gear Solid 4 e la sua chiusura, anni dopo, per me fu un vero motivo di dispiacere. Quegli spazi erano diventati casa, un parco virtuale in cui incontrare gli amici conosciuti sul web.
Sono nata su un'isola, per molti anni ho vissuto su un'isola, e lasciava meravigliati la possibilità di giocare in tempo reale con una persona dall'altra parte del Paese (o d'Europa) che poteva parlarmi in cuffia. Distanze e mari sono scomparsi.
È un passo cardine per capire i videogiochi di oggi: la connessione immediata è un altro modo di giocare. Quello che facevamo nelle sale giochi, a cavallo tra gli anni '80 e i '90, adesso si può fare anche a distanza: prova a sfidarmi e vediamo come va!, ma magari con 800km di mezzo.
PlayStation Network abbracciò questa concezione e oggi è diventato una parte chiave della proposta ludica (e di business) di PlayStation.
6. Una PlayStation in tasca
Ci sono tante persone che, proprio come chi vi scrive, amano giocare su una portatile. L'idea di avere i tuoi giochi sempre in tasca, il legame in qualche modo ravvicinato che si crea con uno schermo che è solo tuo e che tieni tra le mani, la possibilità di giocare spaparanzata sul letto senza preoccuparti di niente sono tutti ottimi motivi per amare una portatile.
Ecco perché PSP mi fece brillare gli occhi: perché aveva tutte le carte in regola per essere davvero una PlayStation che ti metti in tasca. Sony ci lavorò molto bene, così bene da far passare il messaggio del suo valore anche ai publisher di terze parti.
Su quella piattaforma abbiamo giocato delle vere e proprie perle (è da lì che arriva Crisis Core: Final Fantasy VII, per chi lo avesse dimenticato) e riusciva a offrire esperienze di gioco di valore nonostante un corpo minuscolo, rispetto alle handheld odierne.
Il colpo di magia non riuscì di nuovo qualche anno dopo, invece, con PlayStation Vita. Nonostante l'hardware di tutto rispetto e la clamorosa bellezza del suo display OLED, la nuova piccolina naufragò poco dopo il lancio, quando cominciò a mancarle da sotto i piedi il terreno del supporto third party e first party. Nessuno investiva per sviluppare grandi giochi su una portatile in cui non sembrava credere nemmeno Sony, e fu così che si trovò a essere declassata come secondo schermo di PS4 – una sorta di GamePad di Wii U che si compra a parte.
Ricordo che feci la mia parte e la comprai, sperando in una nuova PSP. Fu una grande delusione, ma la amai e la resi la mia console da retrogaming: rigiocare i classici PSX, che ora si trovavano su PS Store, era clamorosamente bello. Ci recuperai anche Final Fantasy IX, che per qualche motivo a suo tempo saltai.
Ma il destino di Vita rimane un vero peccato, per una storia che però potrebbe continuare presto: indiscrezioni suggeriscono che, dopo lo schermo remoto PlayStation Portal, nei piani di Sony ci sia anche un ritorno alle PlayStation portatili. E chissà se i dolci ricordi di PSP troveranno una erede con una ludoteca all'altezza...
7. 4 the players
Quel percorso salito sotto le luci della ribalta con PS3 si è decisamente consacrato nella generazione di PlayStation 4. Le produzioni di casa Sony, più che mai, hanno abbracciato con convinzione la voglia di essere avventure cinematografiche, che unissero al loro interno quei mondi di cui abbiamo accennato e il coinvolgimento narrativo da "grande schermo".
Questo ha portato molti studi interni a concentrarsi su opere di questo tipo: God of War rinasce come avventura narrativa tutta azione e paternità, con un Kratos padre tormentato alle prese con il mondo norreno. Guerrilla Games sposa Horizon e consegna al mondo Aloy, una nuova icona PlayStation tutta al femminile.
Sucker Punch firma Ghost of Tsushima, un videogioco che strizza con convinzione l'occhio al cinema di Kurosawa, replicando quei valori produttivi da AAA story-driven ma aperto che sono diventati una costante.
E Naughty Dog si consacra con il capolavoro The Last of Us - Parte II, un paradigma della narrazione interattiva e il colpo di coda della generazione.
In tutto questo, quando nasce la nuova Kojima Productions, Sony si fionda subito sul team e si porta a casa una perla piena di significato come Death Stranding. E quando stringe un idillio con FromSoftware, ne viene fuori un capolavoro come Bloodborne.
PS4 conquista il pubblico, approfittando anche di una generazione Xbox One piena di passi falsi in partenza – un po' come era accaduto a PS3 in quella precedente – e diventa più egemone e consapevole che mai. La sineddoche raggiunge un nuovo picco: "PlayStation" e "videogiochi" sembrano di nuovo sinonimi.
È il momento in cui Sony sembra davvero attenta al suo slogan, "4 the players", per i giocatori. La qualità dei giochi è davvero alta e la console si rivela la chiave che apre la porta di mondi coinvolgenti e bellissimi, di quelli in cui costruire nuovi ricordi videoludici.
Guardandosi indietro, sono tantissimi i grandi giochi che abbiamo vissuto nella generazione PS4, si farebbe fatica a elencarli qui senza rendere questo diario ancora più lungo. Molti sono arrivati proprio sotto l'egida degli odierni PlayStation Studios.
8. Ritrovarsi
Tutto quello che è venuto dopo, in questi ultimi quattro anni, è un ricordo più fumoso. In realtà, gli anni dal 2020 in poi lo sono un po' in generale – ma è un concetto che si applica anche alla generazione PS5.
Lanciata in mezzo a una pandemia con tanto di quarantena, senza la possibilità di andare in un negozio fisico a vederla, provarla, toccarla con mano, la più recente generazione è senz'altro quella più nuvolosa.
Tra dichiarazioni d'intenti contraddittorie, cambi di management, ritrattazioni, nuovi modelli di monetizzazione e politiche dei prezzi che fanno alzare un sopracciglio, i tempi del 4 the players sembrano lontani.
In questa confusione, però, c'è un bagliore che fa da luce guida, e che chiude benissimo questo viaggio nei ricordi: quello di Astro's Playroom prima e di Astro Bot poi.
Il successo dei grandi giochi della generazione PS4 non significa che ogni gioco debba avere quelle proporzioni (e quei costi) per essere degno di avere in copertina la firma PlayStation.
All'interno di PS5, si poteva così trovare una "tech demo", Astro's Playroom, che introduceva alle unicità del controller DualSense. E lo faceva proprio celebrando la storia del franchise.
Astro Bot ha costruito ed elevato questo concetto: puoi essere un grande gioco anche concentrandoti su questo – essere "solo" un gioco spensierato, avere leggerezza – e ricordandoti della tua storia.
Nei viaggi del piccolo Astro c'è di nuovo tutto: abbiamo rincontrato gli eroi della nostra infanzia e ne abbiamo riso. Abbiamo dovuto grattarci la testa per capire dove ci siamo persi uno dei pezzi del puzzle o uno dei camei. Abbiamo incrociato quei dischi neri e ci siamo chiesti quanto siamo vecchi, ora che ci siamo abituati ai videogiochi immateriali.
Abbiamo scorrazzato nell'hub per rivederli tutti, assurdamente fianco a fianco – Lara Croft, e i personaggi di Resident Evil, e quelli di Metal Gear, e quelli di Castlevania, e quelli di The Last Of Us, e quelli...
Un viaggio nei ricordi, insomma, in quelli tatuati nel cuore lungo trent'anni e che ti fanno dire «allora ve lo ricordate anche voi, cosa ha significato PlayStation per tutti questi anni!». È quello che ho detto a me stessa anche quando, nelle scorse ore, è stato pubblicato il video celebrativo creato da Sony.
In quei mondi abbiamo tutti lasciato un pezzetto di noi. E la cosa più bella è che dentro di noi c'è anche un pezzetto di tutti quei mondi. È stato così per trent'anni, dal trailer nella Demo One a Solid Snake che si nasconde nella sua scatola di cartone in Astro Bot.
Non saranno stati trent'anni perfetti, ma sono stati trent'anni davvero belli per chi ama i videogiochi.
Grazie per tutti questi bei ricordi.
Buon compleanno, PlayStation.