E rieccoci qua a parlare di Rockstar Games. Questo colosso dell’intrattenimento mondiale macina miliardi e tira milioni di copie, eppure neanche lui ha resistito alla tentazione di riproporre o restaurare tutte le vecchie glorie su ogni piattaforma oggi in circolazione. Tutte… o quasi: a mancare all’appello è quell’anomalia divenuta capolavoro chiamata Red Dead Redemption.
Un’assenza eccellente a cui i fan di tutto il mondo da anni sperano si possa rimediare.
Ma in tutta questa girandola di riedizioni, siamo davvero sicuri di aver bisogno di Red Dead Redemption Remastered? La risposta è no, e adesso vi spieghiamo il perché.
Angeli custodi di colore viola
Se frequentate un po’ questo sito già sapete che non poche volte abbiamo parlato di Red Dead Redemption e di tutto quello che lo circonda. Quindi, pur sapendo che un minimo di background storico è necessario, cerchiamo di essere brevi.
Red Dead Redemption nasce come evoluzione di Red Dead Revolver, action-western uscito su PlayStation 2 e Xbox nel 2004. I suoi creatori erano gli Angel Studios, che da sotto l’ombrello della CAPCOM vennero comprati da Rockstar Games, che li ribattezzò Rockstar San Diego e gli fece tenere il colore sociale (il viola).
Purtroppo il cambio di editore fruttò ad Angel Studio sia successi che sfortune in egual misura. L’inevitabile superlavoro su Red Dead Revolver portò a numerose dimissioni nello studio e alcune controversie finirono anche in tribunale.
Alla sua pubblicazione il gioco fu accolto in maniera positiva ma non eccellente, ma tanto bastò perché in azienda sopravvivesse l’idea del “videogioco western”. Nel 2006, mentre debuttava il controverso Canis Canem Edit (a cui abbiamo dedicato un succoso approfondimento), Rockstar San Diego venne rimessa a lavoro sul western, per quello che diverrà appunto il primo Red Dead Redemption.
Red Dead Redemption: figlio unico di madre vedova
Dalle testimonianze di praticamente tutti, lo sviluppo di Red Dead Redemption fu “un gran mal di testa”. Nato come un «GTA coi cavalli al posto delle auto», subì un’evoluzione repentina verso qualcosa di più audace, consapevole e graffiante.
Come molte altre volte fu la contingenza storica ad aiutarlo in questa direzione: nel 2008 sarebbe uscito Grand Theft Auto IV, forse tra gli ultimi tentativi di crescita intellettuale per la serie di punta della Rockstar (ne abbiamo parlato qui).
I due videogiochi condividevano tra l’altro il motore grafico (il RAGE) che mentre per GTA IV disegnava grattacieli grigi di smog, con RDR dipinse un West malinconico e orgoglioso.
Lievitato nei costi e nei tempi, il gioco era tuttavia visto come un rischio calcolato da parte della compagnia madre, che aiutò lo studio di San Diego con alcune personalità di spicco.
Due per tutti: Leslie Benzies (storico produttore di tutti i GTA) si mise a capo del design insieme a Christian Cantamessa; quest’ultimo scrisse inoltre la sceneggiatura insieme a Dan Houser e a Michael Unsworth.
Nonostante le controversie lavorative sempre più enormi e un duro crunch-time, Red Dead Redemption vide la luce nel 2010, segnando un successo commerciale da 13 milioni di copie. Il resto come si suol dire è storia: nel 2018 è uscito l’acclamatissimo Red Dead Redemption 2, che a dispetto del numero è un prequel.
Che fine ha fatto John Marston?
Red Dead Redemption 2 è sicuramente la parte di storia più riconoscibile da molti lettori (trovate il gioco su Amazon).
Al di là della sua natura di prequel e di tutto ciò che comporta, quello che appare strano agli occhi di molti è come questo secondo capitolo sia stato reso disponibile su ogni piattaforma dei suoi tempi: PlayStation 4, Xbox One e PC; una disponibilità che, grazie alla retrocompatibilità, si è poi estesa anche all’attuale generazione di PlayStation 5 e Xbox Series X.
Senza rispolverare le console di settima generazione, al momento in cui scriviamo invece si può recuperare il primo Red Dead Redemption solo su PlayStation Plus Premium (il fu PlayStation Now, ) e con la retrocompatibilità di Xbox One.
A parte questi due artifizi il primo RDR pare essere stato dimenticato, quasi lasciato indietro. Certo è che, pur nella loro natura surrogata, le due soluzioni appena citate hanno evitato al gioco la totale obsolescenza.
Ma si tratta anche di situazioni dall’intrinseca fragilità: il PS Plus Premium è un servizio di streaming, quindi non garantisce una fruibilità a oltranza e presenta l’altro potenziale ostacolo del richiedere una connessione permanente.
Dal canto suo la retrocompatibilità di Xbox One ha avuto ai tempi qualche inciampo, cosa che ha portato il gioco a un temporaneo ritiro qualche anno fa dal programma. Ultimo tocco: le recenti notizie di chiusura dei server da parte di Ubisoft anche di videogiochi importanti gettano l’ennesima pesante ombra sulla persistenza dei contenuti online, solo in parte mitigata dal successivo ripensamento della casa francese.
Red Dead Redemption: tra conversioni mancate e remastered
Senza dubbio la cosa che lascia più spiazzati anche a più di dieci anni dall’uscita è il fatto che Red Dead Redemption non sia mai stato pubblicato su PC.
Ovviamente anche in questo caso i fan hanno trovato altre vie (leggi: emulazione), ma la mancata uscita di Red Dead Redemption dal mondo console rimane una delle cose più inspiegabili (non) fatte da parte di Rockstar.
Forse ai tempi si poteva giustificare con la fragilità del codice o la sua pesantezza, difetti condivisi con il già citato Grand Theft Auto IV; ma se pure quest’ultimo alla fine ce l’ha fatta ad arrivare su PC, perché RDR è rimasto al palo? Come detto, questa domanda rimane senza risposta.
Alla mancanza di conversioni si contrappone tuttavia un altro fatto recente: le Definitive Edition. Basta tornare agli ultimi mesi del 2021 per ricordarsi come i tre capitoli dell’era PS2 di GTA siano stati soggetti a un restauro approssimativo (per i più nostalgici o temerari, ecco anche lui su Amazon).
Proprio per la loro importanza nella storia del medium, l’operazione Definitive Edition è stata al centro di aspre polemiche (e pure con tutta la buona volontà, il supporto post-lancio non può far miracoli).
Riuscite a pensare una cosa del genere capitata anche al primo Red Dead Redemption? Noi sì, e non è una bella immagine.
Al netto di tale burrasca, perlomeno quei tre videogiochi ci hanno fatto comprendere che Rockstar non è tanto brava con le remaster. Le loro vecchie glorie sono state fondamentalmente solo redistribuite, con cambi marginali e relativi adattamenti a seconda della piattaforma su cui venivano pubblicate.
Se ci pensiamo, RDR non ha neanche bisogno di riadattamenti grafici o ripensamenti di controlli, essendo tuttora un prodotto assai moderno. Continuando su questa china, forse l’unica console su cui potrebbe aver senso un Red Dead Redemption Remastered è Nintendo Switch. E non neghiamo che proveremmo tale edizione con notevole curiosità.
Conclusione: di cosa abbiamo bisogno?
Red Dead Redemption rimane ancora oggi tra le proprietà intellettuali più inspiegate e inspiegabili, non solo di Rockstar. Sono tutte esperienze videoludiche che vanno provate almeno una volta nella vita, ma che il pubblico moderno finora ha potuto conoscere solo a metà.
Ai tre infatti manca proprio il capitolo più importante, il primo.
Senza nulla togliere alla vicenda di Arthur Morgan in Red Dead Redemption 2, l’esordio di Rockstar nel western rimane un videogioco di importanza fondamentale.
Il pubblico ha bisogno di riscoprirlo per via della sua natura indipendente e di intelligente ribellione. Esattamente come il suo coetaneo GTA IV, RDR appartiene a quel momento in cui Rockstar ha davvero fatto un’evoluzione che fosse culturale ancor prima che tecnologica, dipingendo un’altra storia di vita che usasse gli stereotipi non come parodia ma come specchietto per le allodole, con il fine di veicolare messaggi più importanti e graffianti.
Ma allo stesso tempo conta anche il modo con cui queste pietre miliari del medium vengono riproposte e conservate.
E gli ultimi trascorsi in questo tempo non sono incoraggianti, visto che le recenti Definitive Edition si sono dimostrate tutt’altro che tali. Ci permettiamo di pensare che non sia una questione di soldi: se hai alle spalle il prodotto di intrattenimento più redditizio della storia dell’umanità (GTA V) di certo la pecunia non manca.
A questo punto è una questione di voglia. Abbiamo nuovamente bisogno che Rockstar riprenda a fare le cose non solo per profitto ma anche e soprattutto per passione. Del resto è una delle (tutto sommato) poche aziende che ha il privilegio di non doversi preoccupare troppo di far quadrare i bilanci, perché grazie ai successi che ha conquistato non vive certo sul filo del rasoio.
Speriamo solo che non si faccia sedurre dalla prospettiva di un GTA 6 che già si preannuncia elefantiaco.
Non abbiamo bisogno di Remastered, abbiamo bisogno di porting.