Videogiocare non è più per pochi. Non lo è da tantissimi anni, in realtà, ma rappresenta un fenomeno globale in continua espansione che, anche in un periodo delicato come i due anni di pandemia affrontati, ha trovato un numero sempre maggiore di sostenitori. Parliamo di un mercato la cui crescita, di riflesso, si evidenzia anche nel Bel Paese attraendo uomini, donne, giovani, adulti o anziani senza distinzione alcuna.
Il videogioco si mescola alla quotidianità delle persone, stimolandole e incuriosendole con naturalezza e disinvoltura grazie alle sue infinite rappresentazioni. Si tratta, ovviamente, di un fenomeno culturale considerabile al pari di una qualsiasi altra forma artistica come la musica o la cinematografia – senza dimenticare pittura, architettura o letteratura.
Proprio per questo motivo, la mostra Play – Videogame, arte e oltre realizzata nella splendida e maestosa cornice della Reggia di Venaria (in provincia di Torino), visitabile dal 22 Luglio 2022 al 15 Gennaio 2023, rappresenta un’ottima occasione per portare il livello di consapevolezza del medium verso nuove prospettive.
Abbiamo avuto l’occasione di passare tra le sale e i giardini che hanno fatto la storia della dinastia dei Savoia – ospitando eventi culturali dal grande rilievo e respiro internazionale – per vivere in prima persona Play – Videogame, arte e oltre. Una mostra che lungo ben dodici sale stimola gli appassionati e incuriosisce i neofiti, indagando i videogiochi come “decima forma d’arte” praticata da 3 miliardi di persone nel mondo.
Non è solo un videogioco
Tutte le attività realizzate o programmate nel 2022 presso la Reggia di Venaria ruotano intorno al tema del gioco sia per riferimenti storici sia per il mondo contemporaneo, con il minimo comune denominatore della scoperta delle pratiche che da sempre conferiscono spensieratezza e svago.
Nel fitto calendario di attività realizzate appositamente su questo tema lungo tutto l’anno corrente, Play – Videogame, arte e oltre è la mostra che rappresenta uno degli eventi più importanti, considerando il tema trattato.
Elemento ribadito non solo per l’importanza del medium videoludico al giorno d’oggi come industria affermata e riconosciuta, ma soprattutto perché mette in chiaro come il videogioco sia sempre stato il punto di contatto tra le varie forme artistiche e culturali che fin dagli albori hanno invaso le sale della Reggia di Venaria.
Musica, scultura, architettura, letteratura, pittura, cinema, fotografia, scultura e fumetto influenzano le produzioni videoludiche e – in modalità e percentuali diverse – ne diventano elementi cardini, in grado di far risaltare le capacità dell’artista stesso.
D’altronde fin dalle prime sale attraversate nella mostra viene ribadito come l’obiettivo di Play – Videogame, arte e oltre non sia quello di invitare a giocare, ma quello di mettersi in gioco. Perché bisogna andare oltre la celebrazione di quella che è considerabile una delle industrie creative più importanti al mondo, lasciando spazio a una riflessione collettiva più profonda e personale circa il ruolo dei videogiochi nella quotidianità.
Ovviamente, per fare ciò non si può non partire da una riflessione sull’ispirazione apertamente dichiarata ai lavori di De Chirico, Calder e le serie animate americane degli anni ’30 per la realizzazione di lavori come ICO, Gris e Cuphead (per gli appassionati di quest’ultimo e del collezionismo vi consigliamo una piccola chicca su Amazon). Si tratta solo di alcuni esempi – tra i numerosi presenti – che rimarcano con fermezza come i grandi maestri dell’arte abbiano influenzato sia i videogiochi ad alto budget sia quelli indipendenti, e tra i quali citiamo anche un parallelismo tra Shin Megami Tensei III e i quadri surreali di Alberto Savinio.
Da questo momento si passa a una naturale evoluzione del concetto di videogioco, da semplice forma d’arte che attinge dalle altre del passato a vera e propria fonte di ispirazione per artisti e linguaggi contemporanei.
Nello specifico, Play – Videogame, arte e oltre evidenzia nella sala denominata “Play Art” come il videogioco sia stato fondamentale per la creazione di alcune opere da parte di artisti contemporanei come lo scultore Jago o il collettivo AES + F, senza dimenticare di menzionare il “non-fungible token” di Federico Clapis oppure le installazioni digitali di Tabor Robak.
Si tratta di elementi che, in un cambio di prospettiva, confermano il nuovo ruolo attivo da parte del medium videoludico nell’influenzare il mondo culturale contemporaneo. Il tutto sfruttando in modo geniale i lavori realizzati da Andy Warhol nel 1985-1986 sul Commodore Amiga 1000, poco prima di morire, come ideale anello di congiunzione tra le opere dei maestri del passato e quelle degli artisti contemporanei.
Successivamente il dibattito si sofferma sull’evoluzione di tutti quei progetti videoludici che hanno contribuito alla sperimentazione in prima persona degli spazi abitativi ed urbani. Parliamo di intere generazioni cresciute con i mattoncini Lego che negli anni ’90 hanno gestito vere e proprie città in videogiochi come SimCity, passando negli anni più recenti a piattaforme digitali come Minecraft o The Sandbox.
Da qui nasce e si diffonde la prerogativa, per molti studi, di vedere sempre più spazi reali riprodotti all’interno dei videogiochi, tendenza poi riflessa nel fenomeno in continua ascesa del turismo videoludico; un esempio pratico presente nelle sale di Play – Videogame, arte e oltre è il caso di Monteriggioni con i capitoli di Assassin’s Creed legati ad Ezio Auditore, così come alcune aree urbane degli Stati Uniti presenti nel videogame Mafia.
Su quest’ultimo, inoltre, viene data particolare enfasi grazie alla riproposizione in sala di un bellissimo scatto in-game dell’appassionato Pierfrancesco Olianas, ribadendo l’importanza della photo mode per mettere in mano ai videogiocatori la possibilità di immortalare le proprie esperienze su schermo.
Non mancano nemmeno delle aree che trattano la forza narrativa della scrittura nel medium videoludico, attraverso produzioni complesse ed emotivamente d’impatto come Death Stranding, The Last of Us e Life is Strange. Così come è impossibile non menzionare quelle sale dedicate alla scoperta delle grandi menti – musicisti, designer, artisti o programmatori – che costituiscono un vero e proprio mercato creativo alla base del successo sia dei titoli AAA sia di numerose produzioni minori.
Interazione e futuro per il medium
La mostra Play – Videogame, arte e oltre si è rivelata un’occasione unica nel suo genere che conferma quanto anche in Italia il mercato sia maturato rispetto al passato. Considerazione che non riguarda solo il numero crescente di videogiocatori, ma che riflette – come ribadito in questo articolo di più ampio respiro – opportunità soprattutto in ambito lavorativo e professionale.
La seconda parte della mostra, invece, si pone l’obiettivo di smuovere le coscienze premendo il pedale dell’acceleratore sulla tematica dell’interattività. Videogioco e società interagiscono in un rapporto di scambio reciproco di segnali e stimoli, volti a mutarli entrambi.
Nelle sale di Play – Videogame, arte e oltre ciò si riflette sulle identità individuali ai tempi delle infrastrutture online e degli avatar, con questi ultimi che abilitano interazioni e conversazioni negli universi digitali. Considerazioni amplificate con il fenomeno degli e-sport, capaci di generare comunità ibride divise tra server dei videogiochi, canali come Twitch o Discord, senza dimenticare le arene dove fare il tifo dal vivo come cornice sia in contesti competitivi sia in quelli cooperativi.
Non può nemmeno mancare un’area dedicata al linguaggio politico del videogioco. Dal messaggio antinucleare di Metal Gear Solid fino a postazioni di gioco dove testare con mano tematiche sociali più delicate come gli orrori della guerra di This War of Mine, le rivolte popolari di RIOT - Civil Unrest o l’immigrazione con Papers, Please.
Si torna poi su toni più leggeri volti a unire le generazioni di appassionati attraverso delle aree giocabili che alternano alcuni storici cabinati come Space Invaders e Street Fighter II, passando per una cameretta di fine anni ’90 con tanto di PlayStation e Tekken 3, fino a un moderno salottino dove divertirsi con Xbox Series X e il suo ricco catalogo Game Pass.
In queste aree abbiamo assistito a diversi momenti tanto semplici quanto toccanti: pensiamo alla naturalezza con la quale un papà racconta ai figli dei soldi continuamente spesi su Street Fighter alla sala giochi del proprio paese mentre cerca di insegnare loro i comandi, e subito dopo questi portandolo nel salottino moderno vicino lo invitano a giocare insieme a Fall Guys, tra una risata e l’altra di partita in partita.
Momenti di quotidiana spensieratezza, così come di confronto naturale tra generazioni, che ci hanno colpito e ben descrivono che la passione per il videogioco unisce le generazioni.
Nelle ultime sale viene ribadito il tema dell’Homo Ludens, tratto dall’omonimo saggio dello storico e linguista olandese Johan Huizinga che definiva il gioco come "base della civiltà umana". Definizione fondamentale per il curatore della mostra Play - Videogame arte e oltre, Guido Curto, che si è basato su questa per dare esposizione alle varie sfaccettature del medium videoludico, tra passato, presente e futuro.
Futuro quanto mai incerto, ma che spinto sempre sulle onde della creatività e dell’innovazione si baserà sulla realtà virtuale, così come sul progresso della connettività e del cloud, per puntare sul comfort e accrescere il gaming mobile senza limiti.
E, anche in questo caso, vedere file di curiosi testare alcuni visori posizionati in un’area apposita, affacciandosi per la prima volta a questo nuovo mondo ricco di potenzialità, fa uno strano e positivo effetto. Perché il mondo – come i videogiochi – è in continuo mutamento.