Dal 25 febbraio, il catalogo di Nintendo Switch Online + Pacchetto Aggiuntivo è andato ad arricchirsi di un altro importante tassello della storia di Nintendo 64.
Stiamo parlando, ovviamente, di The Legend of Zelda: Majora’s Mask. Questo episodio occupa un posto molto particolare all’interno della serie: non solo è il sequel diretto di uno dei capitoli più amati di sempre (Ocarina of Time), ma presenta anche delle caratteristiche che lo rendono, ancora oggi, davvero unico all’interno della serie.
In occasione di questa nuova vita per Majora’s Mask, dunque, abbiamo pensato di dedicargli uno speciale per raccontarvi cosa c’è di diverso in questo episodio e perché vale la pena giocarlo ancora oggi.
La pesante eredità di Ocarina of Time
The Legend of Zelda è una serie in cui ogni episodio racconta una storia a sé stante, senza legami diretti con gli altri. Certo, nel corso del tempo i fan hanno provato a ricostruire una timeline della serie per dare un senso a tutto all’interno dello stesso universo, e alla fine la stessa Nintendo ha fornito un canon ufficiale in uno dei volumi dedicati alla serie, ricorrendo a molteplici linee temporali per dare un senso a tutti i giochi all’interno dello stesso universo.
I sequel diretti, però, quelli con forti legami narrativi sono davvero rari. Majora’s Mask è uno di questi, perché le vicende qui narrate avvengono appena due mesi dopo quanto visto in Ocarina of Time.
Non vogliamo qui andare ad approfondire l’argomento Ocarina of Time; non ci sarebbe abbastanza spazio, e d’altronde non è il capitolo che vogliamo celebrare oggi. È però necessario ricordare l’impatto che quel gioco ha avuto sulla serie.
Ocarina of Time fu l’esordio di Link nel mondo 3D, un successo di critica e di pubblico raramente replicato nella storia del videogioco. Non è un caso se ancora oggi molti fan lo mettono in cima alla lista delle loro preferenze, anche coloro che magari erano troppo piccoli per giocarlo al momento dell’uscita.
Questa piccola premessa serve per capire qual era la situazione all’uscita di Majora’s Mask: i fan avevano ben scolpito nella mente un episodio che aveva letteralmente scritto la storia, e qualsiasi cosa fosse venuta dopo avrebbe dovuto fare i conti con questa pesante eredità. E, in effetti, Majora’s Mask ha per lungo tempo pagato caro il suo posizionamento temporale nella serie.
Da una parte, c’era Ocarina of Time, l’episodio che tutt’oggi rappresenta il “classico” capitolo di Zelda in 3D; dall’altra, invece, Majora’s Mask, il sequel strano, oscurato dal suo predecessore e spesso ritenuto inferiore per via di alcune sue caratteristiche.
Soltanto con il tempo è cominciata un’operazione di rivalutazione di Majora’s Mask: oggi il titolo ha un vero e proprio cult following, che va anche al di là dei fanatici della serie. E sempre più spesso compare nelle classifiche dei migliori titoli della saga.
Ma che cos’aveva di così diverso Majora’s Mask dal suo predecessore? Non si tratta di un titolo che tenta di rivoluzionare il gameplay, come aveva tentato di fare Adventure of Link su NES; a dirla tutta, dopo aver giocato Ocarina of Time ci si sente a casa fin da subito anche qui. La grande diversità sta nell’atmosfera che permea Majora’s Mask, nelle sensazioni che è in grado di suscitare nel giocatore, totalmente atipiche per questa serie.
Il capitolo più lugubre della serie
Sicuramente uno dei motivi per cui la serie di Zelda è tanto amata, è che ogni episodio è in grado di evocare sensazioni differenti, pur condividendo lo stesso gameplay di base. Pensate soltanto ai capitoli usciti su Switch: Breath of the Wild, Skyward Sword e Link’s Awakening. Tutti e tre accomunati da meccaniche perfettamente familiari, ma al contempo profondamente diversi tra loro.
Ecco, lo stesso vale per Majora’s Mask. Sostanzialmente, il gameplay di base viene ripreso da Ocarina of Time con ben poche modifiche, ma il tutto diventa completamente diverso grazie ad alcune novità, piccole sulla carta, che danno al gioco un sapore completamente diverso.
Innanzitutto, il fattore tempo. L’avventura di Link qui comincia con una fine del mondo già annunciata, con la luna pronta a causare la fine di Termina, la misteriosa terra in cui Link si è ritrovato a vagare, così simile ad Hyrule eppure così diversa, così strana, come se qualcosa fosse perennemente fuori posto.
Nel tempo di gioco, Link ha 72 ore per salvare Termina dalla distruzione, che corrispondono a poco meno di un’ora nel mondo reale. Questa meccanica è conosciuta come il ciclo dei tre giorni: ogni giorno, l’inquietante Luna si farà più vicina a Termina, ed un pressante orologio si farà vivo sullo schermo durante le ultime 6 ore.
Certo, Link imparerà ben presto a riportare indietro l’orologio fino al primo giorno, in modo da poter guadagnare tempo (i progressi compiuti rimangono infatti salvati), ma questo non toglie che il giocatore è costantemente accompagnato da un’opprimente senso di angoscia per l’imminente fine del mondo.
Vi basterà alzare lo sguardo nel cielo per vedere come tutto stia presto per finire, ed il fatto che a Termina tutto scorra normalmente contribuisce a creare una sensazione straniante. È tutto a posto, ma allo stesso tempo niente è come dovrebbe essere.
Indirettamente, così, viene introdotta la tematica della morte, rafforzata fin da subito dalla presenza dello Skull Kid; questo misterioso personaggio, che indossa una maschera in realtà già vista in Ocarina of Time, nasconde la chiave per capire il segreto che si cela dietro Termina.
Non vogliamo farvi spoiler sulla storia, ma è chiaro fin da subito che questo personaggio è chiaramente collegato al tema della morte, così come in generale lo sono le maschere.Nel gioco, sono presenti 24 maschere, tre delle quali sono in grado di trasformare Link in altre creature, come un Cespuglio Deku, un Goron o uno Zora. Ed è qui che le cose si fanno interessanti e, al contempo, inquietanti: le maschere non rappresentano, infatti, generici membri di quelle specie, ma appartengono a dei personaggi specifici, morti molto tempo prima della nostra storia.
In altre parole, Link prende possesso del corpo di personaggi ormai defunti, e grazie a loro può superare diversi ostacoli nella storia. La sequenza di trasformazione, in effetti, è tutt’altro che allegra e gioviale.
Quando Link indossa una maschera, la scena che segue presenta colori cupi, col volto di Link (sotto la maschera) che appare inquietantemente sfigurato, mentre il nostro eroe emette un grido che sembra quasi di dolore.
Insomma, Majora’s Mask è un titolo dalle tinte cupe e fosche, che abbandona il racconto epico di Ocarina of Time per raccontare una storia che appare più intima e “personale”, pur avendo sempre in gioco il destino del mondo (in questo caso di Termina).
L’atmosfera che si crea ricorda quella del racconto “La maschera della Morte Rossa” di Edgar Allan Poe, in un certo senso: soprattutto a Clock Town, la città principale del gioco, dove tutti sembrano percepire che qualcosa (la fine, la morte) sta arrivando ma nessuno sembra volerlo ammettere.
Proprio per questo vale ancora la pena giocare a Majora’s Mask oggi. Non solo perché il gameplay, seppur invecchiato, è ancora estremamente godibile e divertente; ma soprattutto perché il gioco ha conservato il suo posto di unicum all’interno della serie.
Nessun altro episodio, finora, ha voluto riprendere le sue tinte cupe, la presenza opprimente di un orologio che è il nostro principale antagonista, la sensazione di un destino terribile che sta per abbattersi sul mondo di gioco. E credeteci, è qualcosa che vale la pena provare almeno una volta.
Il lascito di Majora’s Mask
Come vi abbiamo già detto, Majora’s Mask ha avuto una fortuna molto diversa da quella di Ocarina of Time. Il gioco vendette molte copie in meno e non ebbe lo stesso trasversale di pubblico e critica. Soltanto con il tempo l’opinione dei fan sul gioco è cambiata.
Basti pensare che nel 2011, dopo il rilascio del remake di Ocarina of Time su Nintendo 3DS, i fan dettero vita ad Operation Moonfall, chiedendo a gran voce a Nintendo l’arrivo di un remake di Majora’s Mask.
Il desiderio dei fan venne accontentato nel 2015 con l’arrivo di Majora’s Mask 3D, che dette ad una nuova generazione di giocatori l’occasione di provare con mano questo storico titolo. Questa fu l’occasione, per Majora’s Mask, di vivere e propria seconda giovinezza, di cui forse aveva molto più bisogno rispetto ad Ocarina of Time.
Tuttavia, non è questo l’unico lascito del gioco nell’immaginario comune. Oggi come oggi è impossibile parlare di Majora’s Mask senza almeno accennare alla creepypasta (evolutasi in ARG) di Ben Drowned. Si tratta probabilmente di una delle creepypasta più famose in ambito videoludico, e non senza motivo: l’autore, Jadusable, è riuscito a creare una storia angosciante ed intrigante, a partire dall’immaginario di Majora’s Mask.
Meno persone sanno che la creepypasta di Ben Drowned è in realtà la prima parte di una trilogia, che si è chiusa di recente con un ultimo arco narrativo, pubblicato nel corso del 2020. Vi invitiamo a recuperarvi questa storia, perché ne vale assolutamente la pena; magari dopo avere finito il gioco, in modo da cogliere tutti i riferimenti e le simbologie presenti in essa.
Rimanendo in ambito videoludico, l’impatto di Majora’s Mask è certamente stato minore di quello di Ocarina of Time; quest’ultimo ha scritto la storia degli action-adventure in 3D, e rimanendo all’interno della serie di Zelda ha funzionato da archetipo per molti dei capitoli successivi, su tutti Twilight Princess.
Majora’s Mask, invece, è rimasto un unicum nella serie. Motivo per cui vale la pena giocarlo ancora oggi, come vi dicevamo già in apertura. Ciò non toglie, però, che non ci dispiacerebbe, un giorno, vedere un capitolo della serie ispirato a questo episodio così atipico eppure così affascinante.
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