Negli ultimi decenni, il concetto di "videogiocare" ha subito una trasformazione profonda: se un tempo il videogioco era semplicemente un passatempo limitato a un'interfaccia e a un obiettivo ludico, oggi rappresenta un'esperienza che può espandere la realtà, arricchirla e persino modificarla.
Videogiocare non è più soltanto "giocare", ma può diventare un mezzo per esplorare mondi alternativi, sperimentare nuove identità e trovare appagamento in attività che nella vita reale potrebbero essere percepite come banali o ripetitive.
Ed è proprio con concetti come questo che, ogni tanto, mi trovo a confrontarmi durante le pause a lavoro con i colleghi (quasi tutti videogiocatori): perché se passo otto ore della mia giornata dietro uno schermo a scrivere codice, poi arrivata la sera e tornato a casa sono stimolato ad avviare un videogioco che simula il mio lavoro di programmatore? Che problemi ho?
E mi rendo conto, nel confronto, che non ho esattamente dei "problemi" perché c’è chi, tornando a casa la sera, si diverte a guidare un camion su EuroTruck Simulator, chi a guidare taxi, chi a pulire cose su Power Wash Simulator e via discorrendo.
Insomma, non proprio quelle attività che possiamo associare, ad un primo impatto, al "videogiocare": non stiamo parlando di guidare una vettura sfrecciando in una città virtuale per raggiungere il puntino luminoso sulla mappa per poter ottenere una missione, no. Parliamo proprio di guidare su strade reali, fermarsi agli stop, mettere la freccia e così via.
E parliamo proprio di gestione di task di programmazione reali con tanto di documentazioni vere da dover studiare per capire le attività, o di strumenti (circa) reali per pulire pareti e oggetti domestici.
Il fascino della simulazione
Ecco, perché ci dedichiamo, quindi, ad attività virtuali che simulano più o meno bene e in modo più o meno realistico attività di vita quotidiana (che magari sono proprio attività che facciamo tutti i giorni come nel mio caso) e che nella nostra quotidianità magari reputiamo noiose e poco appetibili? Perché, banalmente quindi, giochiamo ai simulatori?
Per provare a trovare una risposta ad una domanda (che spero di non essermi posto solo io) ho quindi contattato la dott.ssa Viola Nicolucci, una psicologa molto attenta al mondo videoludico, che si è interessata al tema proprio durante il boom mediatico di Power Wash Simulator – che, come apprendo dal materiale che mi ha inviato e dalla piccola chiacchierata di approfondimento che abbiamo fatto insieme, è diventato proprio un caso studio sul tema.
Partiamo quindi dalla definizione (di Wikipedia) di videogioco di simulazione – secondo la quale «i videogiochi di simulazione cercano di replicare attività reali per vari scopi: addestramento, analisi, previsione o puro intrattenimento. A differenza di molti altri generi videoludici, spesso non hanno obiettivi rigidi e permettono ai giocatori di interagire liberamente con il mondo virtuale».
I simulatori si dividono in diverse categorie, tra cui le simulazioni di gestione (SimCity, RollerCoaster Tycoon), le simulazioni di vita (The Sims, Animal Crossing), le simulazioni sportive e quelle veicolari (Flight Simulator, SnowRunner). Alcuni, come il già citato PowerWash Simulator, si focalizzano su attività specifiche e dettagliate, offrendo un'esperienza coinvolgente e spesso rilassante.
Ognuno di questi “sottogeneri” riesce a dare al giocatore un certo tipo di gratificazione, diverso da persona a persona in base alla sensibilità di ognuno, proprio grazie al tipo di attività che il prodotto offre.
Uno degli elementi segnalatomi dalla dottoressa Nicolucci che prova a dare una spiegazione a questo processo è la teoria del flow, introdotta da Mihaly Csikszentmihalyi.
Il flow è uno stato mentale in cui un individuo è completamente immerso in un'attività, sperimentando una sensazione di controllo, concentrazione e gratificazione.
I simulatori di vita reale favoriscono questo stato mentale perché offrono compiti chiari e strutturati, con un livello di difficoltà gestibile che evita sia la frustrazione che la noia, per cui si viene a generare uno stato di benessere particolare che favorisce la voglia di continuare questo tipo di attività.
Al flow possiamo accostare la Self-Determination Theory secondo la quale l'autonomia e la competenza sono fattori chiave nella motivazione intrinseca (applicabile anche al perché ci piace giocare giochi difficili).
Nei simulatori, i giocatori sperimentano un senso di competenza nel completare compiti precisi (ad esempio, pulire un'area in PowerWash Simulator o guidare un camion in Euro Truck Simulator), aumentando il loro benessere psicologico.
Secondo questa teoria, l'esperienza di gioco può quindi soddisfare tre bisogni fondamentali:
- Autonomia: i giocatori hanno il controllo su come e quando svolgere i compiti, senza vincoli rigidi.
- Competenza: il completamento di incarichi fornisce un senso di crescita e miglioramento.
- Relazionalità: sebbene alcuni simulatori siano esperienze solitarie, la condivisione dei progressi con altri giocatori o la partecipazione a community online può rafforzare il senso di appartenenza.
Altri due studi, come mi suggerisce la dottoressa Nicolucci, ci aiutano a capire come i simulatori possano essere particolarmente efficaci nel fornire una pausa mentale e un senso di realizzazione immediata, per via della loro peculiare natura.
Il primo è lo studio di Vuorre del 2023, nel quale viene evidenziato come i videogiochi possano avere un impatto diretto sulla regolazione dell'umore, che migliora sensibilmente già nei primi quindici minuti di gioco.
Il secondo è la Teoria del Mood Management di Zillman (1988), che sostiene che le persone scelgono di usufruire di un medium allo scopo di regolare il proprio stato emotivo. E se siete tra coloro che giocano Power Wash Simulator per rilassarsi a fine giornata, capirete di cosa si sta parlando.
Un mondo senza rischi
Un giocatore, quindi, che vuole prendersi una pausa dal mondo – semplicemente per cercare un senso di relax e di evasione immediato e semplice – dovrebbe trovare molto più “conforto” e piacere nell’avvio di un simulatore rispetto ad un qualsiasi altro genere di gioco.
C'è anche un altro livello di lettura che possiamo inserire all'interno di queste analisi: la gestione del rischio all'interno dei videogiochi. Sbagliare una manovra di volo in Flight Simulator ha conseguenze meno gravi che nel mondo reale (e ci mancherebbe), così come i miei errori di scrittura e analisi del codice hanno un impatto diverso nel mio lavoro quotidiano e in quello simulato.
Così, i giocatori ottengono piacere sia che vogliano generare una situazione caotica all'interno di un contesto quotidiano senza subirne le conseguenze, sia nel provare appagamento da un'attività gradita (come la scrittura di codice o la guida) senza subire lo stress e le pressioni delle loro controparti reali.
Il piacere della simulazione
Insomma, per concludere i simulatori di vita reale funzionano perché offrono un'esperienza prevedibile e strutturata, promuovono il senso di competenza e autonomia e forniscono un'immediata gratificazione.
La loro capacità di migliorare l'umore li rende strumenti di relax efficaci, paragonabili ad altre forme di intrattenimento come la musica o la lettura, ma con un livello di coinvolgimento maggiore dato dall'interazione diretta.
Che si tratti di guidare un camion attraverso l'Europa o di pulire una terrazza con un'idropulitrice, questi giochi ci permettono di trovare soddisfazione in compiti apparentemente semplici, trasformando azioni quotidiane in esperienze piacevoli e appaganti. Ed è proprio per tutto questo che ci piacciono i simulatori.
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