Per il suo bene, Assassin's Creed dovrebbe tornare alle sue origini - e restarci

Il futuro di Assassin's Creed ha tante proposte, ma per noi il miglior approccio sarebbe riappropriarsi della formula originale.

Immagine di Per il suo bene, Assassin's Creed dovrebbe tornare alle sue origini - e restarci
Avatar

a cura di Nicolò Bicego

Redattore

Assassin’s Creed è ormai diventata una delle colonne portanti di Ubisoft. La saga, nata nel lontano 2007, è giunta al dodicesimo capitolo (contando soltanto gli episodi principali) e qualche settimana fa Ubisoft ha dedicato un intero evento al futuro della serie, testimonianza di quanto sia diventata importante per la compagnia.

Nel corso dell’evento sono stati annunciati numerosi progetti in arrivo. Il più vicino in ordine cronologico è Assassin’s Creed Mirage, un episodio che si propone come un ritorno alle origini per la serie, recuperando quegli aspetti che avevano caratterizzato gli episodi precedenti al rilancio rappresentato da Assassin’s Creed Origins.

Proprio questo annuncio ha fatto scaturire, almeno in noi, una riflessione – cioè che Assassin’s Creed, per ritrovare la sua identità, ha bisogno di tornare alle sue origini. Non solo: per salvarsi davvero ha bisogno di rimanerci.

Un rilancio inaspettato

Per capire perché pensiamo che Assassin’s Creed debba tornare alle sue origini, è necessario fare i conti innanzitutto con il perché la saga ha avuto bisogno di un rilancio in primo luogo. Questo significa tornare a parlare, almeno brevemente, del duo Unity e Syndicate.

Il lancio di Unity fu un vero e proprio disastro, senza mezzi termini. E non stiamo parlando tanto delle vendite o della ricezione della critica; il titolo, tutto sommato, non registrò risultati pessimi, ed anche tra i recensori furono molti quelli che seppero cogliere il valore del gioco, chiudendo un occhio sulle sue magagne tecniche (e non solo, perché Unity era tutt’altro che un titolo perfetto).

Il danno maggiore venne fatto all’immagine del brand Assassin’s Creed. La cadenza annuale dei nuovi titoli da tempo faceva storcere il naso a molti giocatori, che chiedevano a gran voce novità per la formula di gioco.

Unity fu la classica goccia che fa traboccare il vaso. Era palese che il gioco non era pronto per essere pubblicato – e la colpa venne addossata (giustamente, badate bene) ad Ubisoft e alla sua volontà di spremere il più possibile la sua gallina dalle uova d’oro.

Per Ubisoft fu immediatamente chiaro che si era giocata, in un sol colpo, la fiducia dei fan verso una delle sue serie più remunerative. Cercò di correre ai ripari come meglio poteva, sistemando quanto possibile Unity, ma la reputazione del gioco era ormai irrimediabilmente rovinata.

Il problema, però, non si limitò a Unity. La vera vittima della pessima gestione del franchise di Ubisoft fu il capitolo successivo, Syndicate. Anziché prendersi un anno di pausa, Ubisoft decise di lanciare il nuovo episodio già nel 2015, probabilmente consapevole di avere tra le mani un gioco molto più solido del predecessore e, soprattutto, privo di tutte le magagne tecniche che lo avevano afflitto.

Purtroppo, non bastò a Syndicate essere un buon gioco per risollevare la reputazione della saga (se non ci avete giocato, fatevi un favore e recuperatelo su Amazon). Il danno ormai era fatto, e fu in questo momento che Ubisoft prese una decisione drastica: per cambiare il futuro di Assassin’s Creed era necessario cambiare anche le carte in tavola.

Ubisoft sapeva bene di non poter sbagliare di nuovo, perciò cercò di capire come poteva ridare attrattiva alla sua serie. E la risposta arrivò probabilmente guardando verso quello che stavano facendo i concorrenti: cominciava infatti ad imporsi il dominio degli action-adventure open world, che dura tutt’oggi. Ed ecco quindi arrivare Origins, il primo capitolo della nuova vita del franchise, nonché il primo episodio ad abbandonare le radici della serie, basate sullo stealth e sul parkour, in favore di dinamiche tipiche degli action gdr.

Sempre meno Assassini

Non fu quindi dovuta a ragioni creative la scelta di reinventare la saga, ma banalmente a ragioni di mercato. Ubisoft temeva un nuovo fallimento dopo gli insuccessi (soltanto relativi, ricordiamolo) di Unity e Syndicate, così decise di tentare il tutto per tutto rendendo Assassin’s Creed la sua proposta nel campo action-gdr open world.

E le cose andarono bene; innanzitutto, Origins non era affatto un pessimo gioco. Pur allontanandosi decisamente dalla struttura originale della saga e dalle sue tematiche, la storia raccontata nel titolo era intrigante, e le meccaniche action gdr sembravano una ventata d’aria fresca dopo che la serie non era riuscita a rinnovarsi per anni.

Già con Origins, però, la serie avrebbe potuto tranquillamente fare a meno del nome Assassin’s Creed, perlopiù utile solo da un punto di vista del marketing. Il collegamento narrativo con il resto della serie era molto labile, con ben pochi riferimenti ad Assassini e Templari (e se anche questi fossero stati tagliati, l’esperienza sarebbe cambiata di poco).

Non solo: oltre al cambiamento radicale di gameplay, fu proprio la natura stessa del gioco a cambiare. Anziché avere città da esplorare, con Origins venivano introdotte intere regioni dove, come da tradizione negli open world Ubisoft, l’obiettivo non è quello di esplorare la città o le singole location, ma esplorare la mappa per completare innumerevoli attività secondarie.

Anche il focus sulla ricostruzione storica scomparve. Sia chiaro, Assassin’s Creed non è mai stato una ricostruzione accurata, ma la serie aveva sempre mantenuto un margine di credibilità nel presentare gli eventi storici a cui si ispirava. Con Origins, l’attenzione non era tanto sulla ricostruzione di eventi storici, quanto più sul permettere al giocatore di esplorare un determinato mondo.

Può sembrare una differenza minore, ma l’impatto lasciato sul giocatore dalle due esperienze è profondamente diverso, perché diverso è l’intento del gioco.Queste differenze, già presenti in Origins, non fecero che allargarsi con l’arrivo di Odyssey e Valhalla. Con l’aggravante che questi ultimi due titoli hanno perso anche la focalizzazione sulla narrativa che pure in Origins era rimasta, perché qui è stata diluita in un’esperienza da 50+ore.

Questo appunto potrebbe portarci ad aprire un’altra interessante discussione sulla narrazione all’interno delle esperienze open world (ne parlammo, ad esempio, qui), ma lasciamo da parte la questione e concentriamoci sull’impatto che ha avuto sulla serie.

Prendendo Assassin’s Creed Valhalla ed un qualsiasi episodio pre-Origins, è davvero difficile credere di trovarsi di fronte alla stessa serie. È piuttosto chiaro che la saga di Assassin’s Creed è arrivata a sviluppare due anime: la prima è quella iniziale, basata su ricostruzione di eventi storici, confronto tra Assassini e Templari, stealth e parkour; la seconda è quella nata nel 2017, focalizzata su ambientazioni da esplorare, storie autoconclusive (o quasi) e meccaniche da action-gdr open world. E noi crediamo fermamente che Assassin’s Creed debba ritornare alle sue origini, e restarci.

Perché tornare indietro?

Ci sono molte ragioni da analizzare per favorire il ritorno alle origini di Assassin’s Creed. Non vogliamo concentrarci sulla qualità di Odyssey e Valhalla, anche se la loro eccessiva lunghezza e la loro tediosità potrebbero essere comunque indizi di qualcosa che non va nella nuova formula.

La motivazione principale, però, è che Assassin’s Creed ha perso la sua identità. E non solo: per cercarne una nuova, ha finito per somigliare alla pletora di titoli action-gdr open world che popolano gli scaffali fisici e virtuali dei negozi.

Se prima Assassin’s Creed, pur nella ripetitività della sua formula, rappresentava qualcosa di unico, oggi la serie ha davvero poco di originale da proporre. Non solo: quello che cerca di fare, finora è stato fatto molto meglio da altri. Banalmente, né Valhalla, né Odyssey potranno mai riuscire ad essere ricordati come, ad esempio, The Witcher 3.

La scelta di gettarsi nella mischia degli action-gdr poteva sembrare una buona idea inizialmente, ma a lungo andare il rischio è quello di perdere l’attenzione dei fan, concentrati su altre uscite. La nuova versione di Assassin’s Creed ha poco di originale da offrire rispetto ai concorrenti, perché ha perso qualsiasi cosa lo rendesse davvero un Assassin’s Creed.

E qui veniamo ad un altro punto. Dopo sette anni dall’ultimo episodio “classico”, potrebbe essere il momento giusto per riprendere le fila del discorso abbandonato con Syndicate – perché nessun’altra saga è andata ad occupare quello spazio lasciato vuoto dal “vecchio” Assassin’s Creed, una serie che aveva saputo rendere lo stealth popolare anche tra i non avvezzi al genere. E nessuna saga, oggi, è riuscita a presentare in chiave videoludica il romanzo storico così bene.

Pensate un attimo a come potrebbe essere un Assassin’s Creed “classico” fatto oggi. La cattedrale di Notre-Dame di Unity è ancora  impressionante, figuriamoci quale livello di dettaglio sarebbe possibile ottenere nelle ricostruzioni delle città grazie alla potenza offerta da PlayStation 5 e Xbox Series X|S.E lo stesso discorso vale per altri aspetti, su tutti l’IA dei nemici, uno degli aspetti più criticati dei vecchi episodi, e che potrebbe essere sistemato grazie alla prestazione dei nuovi sistemi.

In poche parole, ci sarebbero molti estremi per migliorare quella formula, e la serie andrebbe ad occupare uno spazio che non è occupato da nessuno. Certo, avremo Assassin's Creed Mirage proprio per darci un assaggio di questo (potete già prenotarlo su Amazon), ma è il fatto di averlo presentato come una parentesi a lasciare l'amaro in bocca.

Sono casi molto diversi, ma pensate a Capcom. Il colosso nipponico fece virare la sua saga più celebre, Resident Evil, verso il genere action con il quinto ed il sesto capitolo, nella speranza di aumentare il volume di vendite della sua creatura.

Erano gli anni di massima popolarità di Gears of War, degli sparatutto in cooperativa, e Resident Evil sacrificò la sua identità in nome della popolarità. E i due episodi sopra citati non vendettero neanche male, ma furono un grande costo per l’immagine della serie. Capcom ha invertito la rotta proprio tornando alle origini della saga, prima di scontrarsi con una stanchezza crescente da parte dei fan.

Ecco, Ubisoft dovrebbe cominciare a pensare alla stessa cosa. Continuando a inseguire la moda del mercato, non farà che accelerare l’inevitabile stanchezza dei fan. Il successo commerciale, soprattutto con Valhalla, ha premiato l'operazione, ma chiunque bazzichi la community dei fan del franchise può raccontare di quella sensazione di "stanchezza" che i fan provano, in attesa di capire come saranno i futuri episodi – dato che Assassin's Creed: Codename Red promette di seguire il modello di Valhalla.

Quanto visto a tema Assassin's Creed qualche settimana fa, in tal senso, è stato quasi "preoccupante": troppi annunci, troppa mancanza di direzione, per una serie che avrebbe invece bisogno di prendere un attimo di respiro e capire bene che aria tira davvero tra gli appassionati, ora e negli anni a venire.

Le vendite di Valhalla certamente sono state positive, ma proprio Assassin’s Creed ha insegnato quanto velocemente può cambiare il vento. E proprio per questo sarebbe importante definire una direzione netta e identitaria, che permetta agli Assassini di brillare di quella luce propria che ha fatto innamorare i fan e che imponeva il suo modo di essere videogioco, senza accontentarsi di inseguire le tendenze altrui a qualsiasi costo.

Leggi altri articoli