Palworld è il caso videoludico dell’anno. Anche quando i videogiocatori si stancheranno e i content creator si butteranno sul nuovo titolo del momento per macinare abbonamenti e follower, a Palworld rimarrà sempre il merito di aver dimostrato in maniera inequivocabile come saranno i videogiochi del futuro.
Che tra una settimana Palworld scompaia dai radar oppure no, i numeri registrati negli ultimi giorni non spariranno affatto, così come il record ottenuto su Steam con la terza posizione del videogioco più popolato di sempre. Arrivare a vendere 5 milioni di copie in 72 ore con un videogioco in accesso anticipato non è cosa da tutti e, anzi, è cosa da pochissimi.
Farlo con un videogioco assolutamente mediocre, poi, è da veri maestri.
Per chi è arrivato a leggere fino a qui, e dopo l’ultima frase non ha scrollato fino ai commenti a spiegarmi perché è stato fondamentale spendere €26,09 per acquistare Palworld nella speranza di non fermarsi a riflettere su cosa sia davvero il titolo di Pocketpair, facciamo una superflua ma necessaria premessa perché so già dove andrete a parare.
Come videogiocatore non ho particolare interesse nel mondo Pokémon. Anche l’avessi non ho intenzione di difendere Game Freak e The Pokémon Company, quest’ultima un’azienda miliardaria che potrebbe campare di rendita con il marchio “Pokémon” anche smettendo di produrre videogiochi. Come analista e critico l’interesse è puramente diplomatico e professionale, ma se da domani non esistessero più i videogiochi Pokémon credo che potrei vivere in serenità il resto della mia vita.
Lungi da me, quindi, appellarmi alla lesa maestà verso l’opera di Satoshi Tajiri. È evidente che Palworld si sia ispirato alle creature collezionabili (per stessa ammissione del CEO di Pocketpair), e il rumorosissimo “no comment” di Nintendo e The Pokémon Company la dice lunga su quanto ci sia uno stallo dal punto di vista legale. C’è chi ha provato a trovare con una grande fantasia anche una sorta di significato metaforico in Palworld, una satira anti-capitalistica che Pocketpair avrebbe inserito all’interno del gioco in maniera più o meno esplicita.
Ma la verità la racconta proprio il CEO di Pocketpair, Takuro Mizobe, in una intervista di qualche anno fa rilasciata a Wired Japan.
Parlando dei giochi Nintendo (l’ironia) e di come la Grande N provi sempre a creare strutture di gioco e idee sempre nuove, Mizobe ha parlato del tema dell’originalità:
«Ho un desiderio profondo che il mio lavoro possa essere apprezzato da quante più persone possibile, e a tal fine, se ci sono buone idee nel mondo, le raccolgo, e non necessariamente bisogna essere particolarmente attenti all'originalità. Ci sto pensando. Voglio farlo in modo più casual. Penso che sarebbe una buona idea creare cose in un modo che si adatti a ciò che è trendy.»
E che cosa c’è di più “trendy” del momento storico in cui i fan Pokémon sono più infuriati che mai con Game Freak e The Pokémon Company per il risultato finale degli ultimi videogiochi principali della saga?
Curiosamente, poi, il vero Palworld è ben lontano da ciò che ha sempre raccontato attraverso i suoi trailer. Il gameplay non è lontanamente paragonabile ad un classico gioco Pokémon ma è un semplice survival, con dinamiche prese in prestito e già viste in più occasioni e un’esplorazione, quella sì, che ricorda vagamente quella di Leggende Pokémon: Arceus (che trovate su Amazon, se proprio vi va di tuffarvici).
Anche le famigerate armi da dare in mano ai Pal arrivano dopo tante ore di gioco passate a farmare per ottenere i materiali necessari a costruirle. Per altro non sono dei veri e propri oggetti ma delle abilità che si ricaricano con il tempo, e non tutti i Pal possono trasformarsi in guerriglieri. Poi il tempo si moltiplica esponenzialmente se parliamo della creazione delle armi che possono impugnare i giocatori.
Palworld non è “Pokémon con le armi” ma è ciò che Pocketpair ha raccontato negli ultimi anni prima del lancio, quando poi i giocatori hanno capito che era tutt’altro.
Ironico a dirsi nello stesso settore in cui i videogiocatori chiedono chiarezza, onestà e di essere rispettati, ma Palworld è sostanzialmente un videogioco clickbait.
Oltre ad essere un prodotto grezzo anche per un titolo in accesso anticipato, con diversi problemi e tutte le dinamiche tipiche di un titolo sviluppato un po’ in fretta e furia, tra cui: un’interfaccia di gioco confusionaria (giocando con il controller su PC mancano le indicazioni di molti tasti), traduzioni mancanti e generate in automatico, problemi con il multigiocatore online e una sequela di più o meno innocui glitch.
Nonostante tutto questo, i feedback dei giocatori sono estremamente positivi.
Oltre all’inequivocabile successo commerciale, Palworld sta davvero piacendo ai giocatori che inondano la loro stima per il titolo nelle bacheche online. Le critiche non mancano e sono numerose, ma il sentimento generale è molto positivo e soverchiante rispetto a chi non ha gradito il lavoro di Pocketpair (che l’abbia provato oppure no).
C’è poco altro da constatare se non che Takuro Mizobe ha vinto e l’originalità ha perso. Forse per sempre.
Allargando lo sguardo al mondo videoludico, in crisi come non mai dal punto di vista economico, un gioco come Palworld che genera questo volume di vendite (ovvero soldi, quindi risorse appianate e stipendi pagati) è un segnale molto importante. Non del tutto positivo, ma fondamentale.
Se un prodotto come Alan Wake 2 fa una fatica enorme a vendere nonostante i premi ricevuti, con che coraggio possiamo chiedere creatività ed originalità agli sviluppatori di fronte agli incassi di un lavoro come Palworld?
Un lavoro senza arte né parte che, però, centra perfettamente l’obiettivo nella stessa settimana in cui un colosso come Riot Games licenzia più di 500 persone e chiude l’etichetta Riot Forge, dedicata a titoli single player più “creativi” nel mondo di League of Legends.
Abbiamo avuto Genshin Impact che è stato per molto tempo il clone di The Legend of Zelda: Breath of the Wild, con l’aggravante di essere un gacha, ed oggi è diventato un successo inarrestabile.
Poi c’è stato il clone di Bloodborne, quel Lies of P che è riuscito a vincere anche dei premi e si è guadagnato un sequel per via del suo successo.
Infine il clone di The Last of Us più The Division, ovvero The Day Before che è finito nel baratro più oscuro ma, nelle prime ore dal lancio, è riuscito ad ottenere i suoi proverbiali 15 minuti di celebrità, dimostrando di aver se non altro accalappiato l’interesse dei giocatori.
Palworld è Platinette.
Non lo pseudonimo di Mauro Coruzzi ovviamente, ma la Platinette raccontata nel più iconico e sempreverde monologo della terza stagione di Boris:
Se un videogioco grezzo, con elementi rubacchiati e/o copiati qua e là, dichiaratamente creato con il solo scopo di intercettare un trend senza proporre qualcosa di nuovo, venduto a prezzo budget riesce a riscuotere un tale successo e raccogliere anche la soddisfazione del pubblico allora Pocketpair ha capito perfettamente cosa vuole realmente il mercato dei videogiocatori.
Un divertimento fine a sé stesso, qualcosa che faccia sentire la coscienza a posto tra una filippica e l’altra sui videogiochi di una volta che erano meglio di quelli di oggi.
Se Palworld manterrà questi numeri e l’interesse del pubblico allora sarà il primo di una nuova schiera di altri cloni che tenteranno di bissare il successo di Pocketpair. Lo sviluppatore sta per altro già lavorando ad un altro clone, stavolta di Hollow Knight: dategli un’occhiata prima che diventi virale.
Anche Palworld sparisse presto ha già mandato un messaggio importante, con buona pace di tutti i bei discorsi sulla cultura dei videogiochi: si possono fare i soldi veri con la locura.