È passato qualche giorno dalla notte di venerdì in cui abbiamo assistito ai The Game Awards 2024, dove Astro Bot è stato incoronato gioco dell'anno e dove abbiamo scoperto un po' del futuro che attende i videogame – tra Fumito Ueda, The Witcher 4, il ritorno di Okami e cosa bolle nella pentola di Naughty Dog.
A mente lucida (e dopo aver finalmente dormito un po' nel weekend!), vogliamo proporvi un simpatico pagellone per raccontarvi cosa ci è piaciuto e cosa ci è piaciuto meno dello show e dei messaggi che ha trasmesso. Vogliamo quindi farlo identificando alcuni temi visti sul palco e assegnando a ogni tema una valutazione in decimi: ovviamente, più è alto il voto, più abbiamo apprezzato quell'aspetto.
Sentitevi liberi di dire la vostra nei commenti, anche se nel sondaggio siete già stati molto chiari e, come noi, avete trovato che (finalmente) quello organizzato da Geoff Keighley e dal suo team sia stato un ottimo evento, capace di equilibrare premi, annunci e pause pubblicitarie con un buon ritmo.
La bastonata presa dai giochi bigger and better per forza - voto 9
È un ritornello sulle nostre pagine, perché è una mia fissa e penso che sia un tema importante: i videogiochi sempre più grandi a tutti i costi non sono sostenibili.
Open world sempre più enormi e piene di diluizioni che propongono la longevità un tanto al chilo, comparti tecnici che mettono le paillettes e gli effetti speciali in vetrina – a volta a discapito della giocabilità. Progetti giganteschi che fanno tabula rasa degli sviluppatori una volta conclusi, in una logica di profitto delle grandi compagnie che non ha né capo né coda, perché i licenziamenti non sono direttamente correlati a momenti di crisi, ma a "ottimizzazioni" delle risorse. E dei dividendi.
Durante i The Game Awards sono stati incoronati pochissimi progetti AAA tradizionalmente intesi: perfino Astro Bot, pur nascendo da Sony, è un "progetto minore" rispetto ai colossi della compagnia giapponese, e Metaphor: ReFantazio è tutto meno che un gioco di massa che punta al fotorealismo e all'approccio facile per fare soldi. E sono stati i due giochi più premiati.
A loro si è affiancato Balatro, creato da una persona sola, con Black Myth Wukong: una produzione cinese che di certo ha speso tanto, ma che anziché optare per un mondo aperto a tutti i costi ha contenuto le sue dimensioni e i suoi scenari, per concentrarsi sull'intensità dell'esperienza.
È un messaggio interessante e importante, al di là del fatto che il 2024 non sia stato magari particolarmente ricco di proposte AAA titaniche.
I ritmi dello show - voto 8
Su questo posso essere molto sintetica: ogni anno, lo show inizia all'1.30 del mattino e finisce alle 5 (con la prima mezz'ora che è un pre-show). Se già l'orario non è dei più comodi per le redazioni italiane (non è agilissimo essere svegli e scattanti in quegli orari, a scrivere tempestivamente), la durata così mostruosamente lunga dell'evento e i ritmi con cui veniva gestito facevano in modo che sembrava durasse otto ore anziché tre e mezza.
Quest'anno, con mia sorpresa, non è stato così: nonostante i tanti intermezzi pubblicitari e una parte centrale un po' più altalenante, per la prima volta i The Game Awards sono riusciti a tenersi sul pezzo per quasi tutta la durata, senza carrellate infinite di giochi-spaziali-tutti-uguali, senza intermezzi pubblicitari troppo confusi, senza un eccesso di siparietti ingiustificati che facevano ingrassare il cronometro.
Per la prima volta, ho avuto la sensazione di un evento che durava davvero tre ore, e questa è stata una grande conquista: per la piacevolezza, per seguirlo per lavoro, per non alzare gli occhi al cielo ogni volta che guardavo l'orologio e gli anni scorsi dicevo «ma cosa significa che è passata solo un'ora?».
Meno polvere sotto il tappeto - voto 8
Un aspetto imbarazzante dell'edizione 2023 era stata la gestione del tema dei licenziamenti che... in realtà non era stato gestito affatto. Per tre ore abbondanti, lo show di Keighley aveva "celebrato" i videogiochi con la corsa agli annunci e ai premi, mettendo la polvere sotto al tappeto in un anno di licenziamenti record e di problemi intestini all'industria che hanno colpito trasversalmente migliaia e migliaia di quelle persone che i videogiochi li rendono possibili.
Non solo: come vi raccontammo, gli sviluppatori che salirono sul palco a ritirare il loro premio avevano 30 secondi di tempo per il discorso di accettazione, trascorsi i quali il gobbo iniziava a mostrare un messaggio che invitava a darsi una mossa, con il famoso «please wrap it up».
Quest'anno, conscio delle tante critiche arrivate in merito, lo show gestito da Keighley ha mosso qualche passo nella direzione giusta: ha creato la categoria game changer per premiare chi si impegna per un'industria migliore e, al di là di chi riceve o non riceve questo premio, anche solo il fatto che ci sia una categoria apposita – che viene premiata sul palco – fa in modo che l'argomento finisca necessariamente sotto i riflettori.
È un primo passo e, sentito o spinto dalle polemiche che sia, è importante: i videogiochi sono il medium che tutti amiamo e che ci fa sognare, ma non esisterebbero senza le persone che li creano. E fingere che l'industria in questi anni non sia "malata" mina quelle persone – e, se volete essere egoisti e per qualche motivo di quelle persone non vi importa, mina anche i videogiochi stessi.
La presentazione del nuovo gioco di Ueda - voto 7
Assegno un voto tiepido alla presentazione dell'attesissimo prossimo gioco di Fumito Ueda, più che altro per la sua... fumosità. Dopo tanti, tantissimi anni dai suoi precedenti capolavori – da Shadow of the Colossus a The Last Guardian – sappiamo che Ueda è passato sotto l'egida del gigante Epic Games.
Da allora, sta lavorando a un progetto misterioso: il teaser che abbiamo visto ai The Game Awards ci ha confermato le atmosfere contemplative e lo stile inconfondibile e identitario dell'autore giapponese. Ma, per il momento, purtroppo non c'è ancora altro di concreto.
Giusto che Ueda presenti con i suoi tempi il prossimo, potenziale capolavoro, anche se un pochino tutti ci siamo detti, alla fine del teaser, qualcosa come «no, già finito?! Voglio saperne di più!».
Speriamo di poter dare presto una sbirciata più da vicino a questo nuovo progetto: l'industria ha bisogno di menti visionarie e creative come quelle di Ueda tanto quanto abbiamo bisogno dell'ossigeno.
La chiarezza degli intenti - voto 8
Vivo sotto l'antica regola del patti chiari, amicizia lunga: sapere cosa aspettarsi, con sincerità, è sempre la cosa migliore rispetto al rimanere sospesi. Per questo, ho apprezzato che fin da subito Keighley abbia chiarito e premesso che avremmo visto giochi in arrivo anche in un futuro lontano, e non solo nel 2025.
Di solito non mi piace tanto l'idea di vedere trailer che sono più che altro "promesse" di ciò che giocheremo, ma ho trovato che fosse molto in tema con il decennale dei The Game Awards: dal momento che da dieci anni l'evento premia i videogiochi dell'anno, aveva senso trasformarlo nel palco di ciò che potremmo vedere nei prossimi dieci anni.
Apprezzabile, per me, che questo sia stato spiegato subito, perché para possibili polemiche come «questi giochi arriveranno tra tantissimo!|»: lo sapevano, lo hanno premesso fin dal primo istante, e abbiamo potuto dare una sbirciata alle idee che stanno covando compagnie come CD Projekt, Capcom e Naughty Dog, oltre a SEGA e svariate altre.
Non sono videogiochi che toccheremo con mano domani o dopodomani, ma in qualche modo sono il domani dei videogiochi. Mi è piaciuta l'idea di concentrare questo anniversario speciale su questo aspetto.
I premi a raffica fuori dal palco - voto 4
Purtroppo, una delle brutte abitudini dei The Game Awards è tornata anche in questa edizione: considerando la mole dello show e le tantissime cose che ci finiscono dentro, non tutti i premi riescono a salire sul palco.
E se questo da un lato è comprensibile, purtroppo rimane triste vedere comunque riconoscimenti importanti, come miglior art direction, venire premiati in una carrellata rapida dove si apprende solo il nome del vincitore, senza costruzione del momento e senza un attimo affinché quell'art director magari salga sul palco.
Immaginate di avere lì uno Yoji Shinkawa, un Tetsuya Nomura, o magari un Shigenori Soejima e non avere "tempo" da dedicargli.
Un vero peccato, che non so come potrebbe venire risolto – perché le categorie sono davvero tante e i tempi dello show diventerebbero ancora più pachidermici, se tutte avessero il loro momento sul palco.
Avrebbe senso, però, quantomeno non tagliare fuori le categorie realizzate alla realizzazione artistica dell'opera: come non sono state tagliate fuori narrativa e musica, insomma, avrebbe senso dare spazio all'art direction, e magari tenere fuori dal palco solo le solite premiazioni per genere (gioco di ruolo, action adventure, sportivo e via dicendo).
Il discorso di Swen Vincke - voto 10
A riprova che la mamma di chi non capisce tre righe in croce si dedica solo a parti plurigemellari, a quanto pare qualcuno se l'è presa per il discorso con cui Swen Vincke, alla guida di Larian Studios, ha introdotto il premio di Gioco dell'Anno, passando così il testimone da Baldur's Gate III ad Astro Bot.
Vincke, che lo scorso anno aveva dovuto fare i conti con il monitor del "please wrap it up" mentre cercava di ringraziare il suo team (membri defunti compresi), si è preso lo spazio per ricordare perché i videogiochi vengono creati e qual è il senso di quest'industria, per chi ci lavora e per chi la consuma. Il modo migliore di assegnare quella statuetta e di mettere il punto a un'edizione dei The Game Awards che è riuscita a mettere il videogioco al centro, e non solo la FOMO e la sua corsa produttiva.
Vi traduco le parole di Vincke, che ha detto scherzosamente di sapere già che gioco vincerà il GOTY 2025 e anche quelli successivi:
«Un oracolo mi ha detto che il gioco dell'anno 2025 sarà realizzato da uno studio, uno studio che ha trovato la formula per salire su questo palco. È stupidamente semplice, eppure si continua a dimenticarla: lo studio avrà creato questo gioco perché volevano creare un gioco che loro stessi avrebbero voluto giocare. Lo avrà creato perché non era stato fatto prima.
Non lo avrà creato per aumentare le quote di mercato, o per farlo diventare un brand. Non avrà dovuto sottostare a target di vendita arbitrari o per la paura dei licenziamenti se quegli obiettivi non fossero stati raggiunti.
Inoltre, le persone alla guida avranno proibito al team di infilare nel gioco quelle cose il cui solo scopo è aumentare le entrate, e che non sono al servizio del game design. Non avranno trattato i loro sviluppatori come numeri su un foglio di calcolo.
Non avranno trattato i loro giocatori come utenti da spennare, non avranno preso decisioni prive di visione in prospettiva, con lo scopo di inseguire i bonus o le politiche. Avranno agito sapendo che, se metti il gioco e il team davanti a tutto, gli incassi arriveranno.
Saranno stati guidati dall'idealismo e dalla volontà di far divertire i giocatori. Si saranno resi conto che se gli sviluppatori non si divertono, allora non si divertirà nessuno.
E avranno capito il valore del rispetto. Che se si trattano bene gli sviluppatori e i giocatori, quegli stessi sviluppatori e giocatori li perdoneranno anche quando le cose non andranno come pianificato.
E, più di ogni altra cosa, vinceranno perché gli importa del loro gioco, perché amano il loro gioco.
È davvero così semplice».
Non penso serva aggiungere altro, le parole di Vincke sono potenti e auto-esplicative: se un autore non ama la sua opera, se non si divertono gli sviluppatori (laddove con "divertono" si intende uno spettro semantico più ampio, che include il coinvolgimento, l'entusiasmo, la curiosità, la creatività, l'emozionarsi e tutto ciò che un titolo ci può dare), allora nessuno si divertirà con quel gioco.
È così semplice, eppure viene dimenticato di continuo. È bello che ci sia stato modo di dirlo davanti a milioni di persone, in chiusura ai The Game Awards 2024.