Nell'industria dei videogiochi, se non sai come farlo puoi sempre comprarlo

L'acquisizione di Bungie da parte di Sony apre a una riflessione in cui per il bisogno di ampliare il portfolio si ricorre alle spese. Non sai come fare giochi di ruolo? Comprati ZeniMax e Blizzard. Non sai fare GaaS? Comprati Bungie.

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a cura di Stefania Sperandio

Editor-in-chief

Sei un gigante che si occupa di videogiochi da decenni. Da vent'anni hai deciso di crearti anche una tua piattaforma, le cose stanno andando decisamente bene, hai una strategia chiara, ma hai delle mancanze. Devi migliorare nelle avventure narrative, ad esempio, la punta di diamante della piattaforma "rivale" della tua. Devi migliorare nelle proposte dei giochi di ruolo. Devi presidiare il forte del mondo mobile. Sei estremamente forte in simulazioni e soprattutto in epici shooter in prima e in terza persona.

Ti chiami Microsoft e, per completare il tuo ventaglio, ti guardi intorno e compri Ninja Theory, Obsidian, ZeniMax Media intera (che include Bethesda Softworks). In una strategia che punta alla capillarità, ti butti anche su una Activision Blizzard (che include King) da rimettere in sesto dal punto di vista organizzativo.

Sei un gigante che si occupa di videogiochi da decenni, più o meno da quando hai deciso di creare una tua piattaforma. Le cose stanno andando decisamente bene, la domanda per la tua piattaforma è così alta che non puoi tenere il passo, ma hai delle mancanze. Sei fortissimo nelle avventure narrative, ma le avventure narrative hanno la coda breve e a te servono anche le code lunghe. Ti serve sapere fare i game as a service, ci provi ma non ti viene benissimo. I tuoi shooter sono finiti praticamente tutti in soffitta, ma Call of Duty è puntualmente il gioco di maggior successo sulle tue console – e, sì, è proprio uno shooter.

Ti chiami Sony e, per ovviare alla cosa, ampliare il tuo ventaglio e muoverti in direzione delle entrate più cadenzate, acquisisci Bungie. Se i giochi persistenti e gli shooter non li sanno fare loro, dopotutto chi potrebbe?

Avventure single player + giochi persistenti

Giusto qualche settimana fa, ci siamo ritrovati su queste stesse pagine a chiacchierare dell'acquisizione di Activision Blizzard. Parlavamo di una mossa che, anche dopo la questione Bungie, sottolinea il diverso approccio di Microsoft e di Sony al gaming: Microsoft si sposta verso l'utente, rendendo capillare la sua offerta ludica e puntando a una base installata nell'ordine dei miliardi, grazie al cloud. Potenzialmente, l'idea di Xbox potrebbe raggiungere chiunque abbia uno smart device, partendo dal cloud di Game Pass per arrivare fino alle proposte mobile di Zynga.

Sony, dal canto suo, vuole spostare l'utente verso il suo hardware, che è al cuore dell'ecosistema: proposte forti per condurti verso PlayStation 5 e tu che ti sposti verso PlayStation 5. L'unica eccezione, a oggi, è rappresentata dai timidi vagiti di PlayStation Now e dall'uscita posticipata delle grandi esclusive anche su PC – come il recente God of War, preceduto da giochi come Horizon: Zero DawnDays GoneDeath Stranding.

Questo non cambia, però, il fatto che tempo addietro Sony dichiarò di dover lavorare maggiormente per creare dei videogiochi persistenti. Nel maggio del 2021, il CEO Jim Ryan, di Sony Interactive Entertainment, dichiarò davanti agli investitori:

«Abbiamo intenzione di costruire sulla nostra crescente esperienza ed ambizioni nel settore dei giochi come servizio, in modo complementare alla nostra continuativa forza nelle avventure narrative che i fan di PlayStation conoscono e amano».

Una visione, insomma, in cui Ryan immaginava nel futuro di PlayStation un maggior equilibrio: continuare a creare le avventure fortemente narrative à la PlayStation, come i The Last of Us, gli Uncharted, gli Horizon e via dicendo, e affiancare a queste dei GaaS, i cosiddetti game as a service a fruizione continuativa.

Questo perché c'è un nodo nella produzione di avventure single player come quelle di PlayStation, e lo dimostra il caso Days Gone: sono incassi a coda corta. Puoi ottenere il massimo dell'incasso nel momento del lancio e poi, da lì, i numeri vanno a scemare, finché il gioco non risulta "vecchio", viene acquistato perlopiù in sconto e proposto su PlayStation Plus.

Diverso, invece, il discorso per i giochi come servizio: con i contenuti stagionali, gli aggiornamenti e il continuativo supporto, le entrate da questi videogiochi sono costanti. Simili, sì, a quelle di un servizio in abbonamento come potrebbe essere PlayStation Plus. O Xbox Game Pass.

A rimarcare che l'acquisizione sia stata dettata proprio dall'esperienza di Bungie nei giochi come servizi è stata direttamente PlayStation. Come vi abbiamo riferito nella nostra notizia, Jim Ryan ha commentato:

«Questo è un passo strategico per continuare a evolvere le esperienze di gioco che noi stiamo costruendo. Le competenze di Bungie nel lanciare un servizio di classe mondiale e nel coinvolgimento delle community a lungo termine sono estremamente avvincenti e supporteranno lo sviluppo di futuri giochi live service di PlayStation Studios».

Questo, ovviamente, funziona anche nel senso opposto: se PlayStation acquisisce il know-how di Bungie su shooter e persistenza, Bungie acquisisce i segreti di Sony per la caratterizzazione di mondi virtuali che rimangano nel cuore. In che modo questo avrà un impatto nelle future produzioni del trentennale studio lo scopriremo solo con il tempo.

Oltretutto, è una manovra a cui Sony è arrivata non senza aver provato lei stessa a sperimentare con i giochi come servizio. Proviamo a pensare a Destruction All-Stars: prima annunciato come gioco a prezzo pieno del day-one, poi rinviato, poi infilato in PlayStation Plus, infine rumoreggiato come futuro free-to-play.

Il titolo che si ispirava alla distruzione a quattro ruote di Destruction Derby, rendendola una competizione online, non ha riscosso affatto il successo che la casa giapponese sperava, non traducendosi in una forma di incasso persistente e non ritagliandosi una ricca e fedele community nell'arco dei mesi.

Un passo da cui era importante cominciare a migliorare – e sicuramente si potrà migliorare, considerando che con il 100% delle azioni di Bungie Destiny diventerà materiale di PlayStation.

L'industria delle acquisizioni

La sensazione, insomma, è che l'industria dei videogiochi sia arrivata a dimensioni tali per cui non per tutto puoi permetterti di lasciar sbocciare quello che hai seminato. PlayStation, ricorderete, adocchiò Naughty Dog e la mise sotto la sua ala protettrice ben prima che diventasse quella da copertina di The Last of Us. Potremmo dire qualcosa di simile anche su Housemarque, per citare un altro esempio: adocchiata da Resogun (2013), presa per mano con Returnal (annunciato nel 2020), acquisita in attesa di farci scoprire verso quali altre lande videoludiche ci condurrà in futuro (29 giugno 2021).

Sulla necessità di rendere persistenti le entrate, però, non si poteva aspettare. Laddove c'era una mancanza, Sony ha deciso di andare a integrare direttamente con una software house fatta e pronta, da schierare subito come titolare. È un po' la sua faccia della medaglia della riflessione citata in apertura su Microsoft e il suo bisogno di aprirsi, come first-party, a generi come il gioco di ruolo e l'avventura story-driven che non confluisca semplicemente in uno shooter.

I videogiochi sono un business da $200 miliardi con addosso gli occhi di sempre più giganti: pensate a Netflix che continua ad avvicinarsi, pensate agli esperimenti di Amazon e, anche se nella confusione, pensate al tentativo di Google con Stadia. I videogiochi sono ovunque ed è fondamentale per i player storici mantenere la loro unicità, la loro peculiarità, ma anche l'eterogeneità della loro offerta.

PlayStation deve continuare a fare quello che sa fare meglio: bei videogiochi. E, nel farlo, ha deciso di puntellare la sua atavica voragine sui game as a service mettendosi al fianco Bungie, ma tenendola indipendente. Suona quasi come un modo per dire "è Bungie che volevamo, così com'è. Non la prendiamo per cambiarla".

In quali altre vie potrebbe cambiare l'approccio di Sony per il futuro, conscia che non può accontentarsi di due o tre grandi uscite annue dalla coda breve, lo scopriremo solo quando ci saranno più dettagli sul rumoreggiato servizio Spartacus. Sappiamo già che Sony riteneva «non sostenibile» un lancio fin dal day-one dei suoi giochi maggiori in un servizio in abbonamento. A questo punto, quindi, rimane da capire in cosa consisterà la sua proposta, se sarà davvero fortemente orientata al retrogaming oppure no.

Per il momento, sappiamo che le entrate saranno aiutate da un maggior focus sui giochi come servizio, con Hermen Hulst (a capo dei Sony Worldwide Studios) che dichiarò che solo perché sono multiplayer «non significa che non possano raccontare grandi storie» (qui l'intervista completa). Il futuro di Sony affiancherà i suoi grandi universi narrativi, che per sua volontà dovrebbero avere uscite più frequenti, a più multiplayer online? La direzione sembra quella.

Non va dimenticato, però, neanche il capriccio di Jim Ryan di qualche tempo fa, quando definì a sua volta le console «frustranti», proprio perché riducono la base installata a un ordine di milioni, mentre il videogioco è ubiquo. Ubiquo, come il modello che ha costruito invece Microsoft, staccandosi dall'appetibilità della mera console. Come lo fai, però, se tu stesso lo hai definito non sostenibile, al punto che i prezzi di lancio dei tuoi titoli, col cambio generazione, sono arrivati a 79,99 euro?

Per ora, l'unica certezza, è che in un'industria che corre veloce e con sempre più occhi addosso, se non sai fare qualcosa puoi sempre farti due conti in tasca e andare a comprartela. Il tempo, poi, ci farà capire se questi accentramenti saranno stati un vantaggio o no per gli amanti del videogioco.

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