Immaginate di chiamarvi Sony, di aver costruito nel corso degli anni e delle generazioni un meritato seguito grazie a serie iconiche e action-adventure di primissimo livello, e poi decidere d'improvviso di entrare a capofitto nell'incerto mondo dei live service come cambio di strategia per tentare di rafforzare stabilità economica aziendale e marchio a livello globale.
Rileggete nuovamente il cappello di questo articolo e riflettete con attenzione su quanto sia completamente sbagliata questa strategia, soprattutto se i live service in sviluppo diventano addirittura una dozzina e si dirottano team di sviluppo (anche rinomati e piuttosto importanti) su progetti da salto nel vuoto mentre si tolgono risorse ai giochi di spicco e si convogliano quasi tutti gli sforzi sull'inseguimento di una chimera.
Che la gestione di Jim Ryan sia stata fallimentare, al punto da condizionare l'intera generazione PS5 (probabilmente la peggiore in assoluto), è sotto gli occhi di tutti. Lascia però basiti la miopia dell'ennesimo alto dirigente che con poche mosse scellerate brucia puntualmente milioni di dollari e mette in crisi un'azienda che costruisce un impero con fatica nel corso degli anni.
Dopo il terremoto Concord e dopo un'inversione di marcia necessaria, che però continuerà a produrre i suoi effetti negativi per anni, quale sarà davvero il futuro di Sony?
Inversione di tendenza totale?
La decisione di virare verso i live service non è totalmente campata per aria e non è – per lo meno in senso assoluto – una mossa da totali sprovveduti. Coi crescenti costi di sviluppo da affrontare è normale per le grandi aziende andare alla ricerca di nuove fonti di guadagno per poter rendere sostenibili i cicli di produzione, il marketing e il benessere dei propri lavoratori.
Da questa esigenza, e naturalmente da costanti impulsi espansionistici, nasce la volontà di seguire una tendenza dalle alterne fortune e in larga misura già morta, che solo in pochi casi eclatanti è riuscita a creare veri e propri fenomeni in grado di macinare milioni di dollari e un numero impressionante di utenti attivi.
Come insegna la storia di questo settore e come ben sanno alcune delle aziende che attualmente se la stanno passando piuttosto male, seguire delle tendenze che hanno già esaurito il proprio fuoco anziché crearne di nuove è l'anticamera di un suicidio annunciato, chiaro a tutti tranne che alle aziende stesse.
La loro speranza, in questi casi, è quella di avere la fortuna di ritrovarsi tra le fila della propria scuderia uno o più giochi che diventano talmente popolari da generare costante liquidità, ma le possibilità che questo avvenga dopo anni dal boom di un trend si misurano inevitabilmente tramite percentuali sempre più basse.
Ciò che nemmeno Sony si aspettava sono i danni economici causati dallo schianto di Concord, che ha fatto perdere all'azienda una quantità di milioni di dollari da far girare la testa e che ha portato in seno – almeno quella – la consapevolezza di dover cambiare seduta stante la strategia basata su live service multipli.
Ecco dunque che ne saltano due su cui stavano lavorando team importanti come Bend Studio e Bluepoint Games (tra cui un progetto a tema God of War), con tutti gli altri che probabilmente verranno cancellati o quanto meno ridotti sensibilmente come numero. Aspettarsene più di due o tre sarebbe poco realistico e i movimenti sottobanco, il silenzio e il ridimensionamento di Bungie fanno comprendere come lo spauracchio di un altro grosso fallimento sia reale, con conseguenze potenzialmente devastanti per gli assetti economici aziendali.
Guardiamo anche allo State of Play di mercoledì sera: questi giochi sembrano essere spariti dall'agenda di Sony e, la sorpresa dell'ultimo momento, quel Saros già in sviluppo durante il periodo sciagurato in cui venivano prese le decisioni sbagliate, fa capire che un barlume di speranza per il futuro ancora c'è.
Al vertice, dopo l'addio del controverso Jim Ryan, anche Hermen Hulst retrocede e non è più il co-CEO, pur rimanendo in controllo della gestione dei team PlayStation. Hideaki Nishino diventerà presidente e CEO a partire dal prossimo primo aprile e l'intenzione di accentrare tutto in Giappone diventerà a breve una realtà, con tutta una serie di conseguenze che potrebbero finalmente far rinsavire l'azienda.
Quale futuro per Sony?
Dicevamo qualche riga fa dei costi crescenti per lo sviluppo dei tripla A a cui ci ha abituato Sony. Ebbene, tutto questo discorso su quanti siano sciagurati i live service si lega a doppio filo proprio alla sostenibilità dei grandi giochi marchiati Sony.
Riconosciuta a livello globale come l'azienda leader mondiale quando si parla di action-adventure single player, Sony non può in nessun modo fare a meno delle sue punte di diamante né può abbassare la qualità media delle sue produzioni. Tuttavia, per mantenere quello status così elevato ha bisogno di una quantità di investimenti più importanti, oltre che di un volume di vendite nell'ordine di decine di milioni (che a volte non bastano, se pensiamo all'emblematico caso di Days Gone, che è appena stato riproposto in versione remastered in barba a ogni ipocrisia).
Per ovviare parzialmente a questo problema non da poco, Sony si è molto ammorbidita sulla questione esclusive, e si è affacciata sul mercato PC facendo perdere una delle motivazioni principali per cui una fetta di pubblico decideva di orientarsi verso le console dell'azienda giapponese. Essendo Sony ancora molto conservatrice, ha scelto di far arrivare le sue esclusive circa un anno dopo su PC, con risultati che spesso deludono le aspettative e con vendite non all'altezza.
Questo compromesso non sembra dunque funzionare e non può in alcun modo far guadagnare tutto quel denaro extra da reinvestire nelle opere più esose del colosso nipponico. Non dipende quasi mai dalla qualità dei porting (che in alcuni casi si sono però rivelati problematici) ma proprio dal fatto che il ritardo taglia le gambe ai potenziali introiti.
Si potrebbe pensare nel prossimo futuro a delle uscite contemporanee, ma a quel punto gli utenti si chiederebbero giustamente per quale motivo dovrebbero ancora supportare le console come hanno sempre fatto. E allora come si può venir fuori da questo tunnel apparentemente senza via d'uscita?
Con buona pace di chi è stato da sempre abituato bene, Sony dovrà diminuire il numero di tripla A (come sta già facendo, in realtà) e concentrare la propria potenza di fuoco solo sulle IP di maggior successo, lasciando il campo della sperimentazione a titoli con budget più contenuti.
Qualora questi ultimi dovessero avere successo, Sony andrebbe in positivo e potrebbe – numeri di vendite permettendo – rendere di nuovo grande con dei seguiti programmati proprio quelle nuove IP che partono dal basso, senza dover dilapidare milioni di dollari e agendo come un'azienda che opera tramite rischio controllato.
Non saremmo di fronte alla morte della creatività, ma si aprirebbe la strada a una serie di sperimentazioni sulla carta molto stimolanti tanto per l'azienda, quanto per il consumatore finale. E questo diverrebbe ancora più probabile se Sony iniziasse a mettere un freno a tutte quelle strategie errate che hanno succhiato via una quantità di risorse da far girare la testa.
In conclusione
I live service non sono gli unici colpevoli, sia chiaro, perché basterebbe pensare a progetti fallimentari sul nascere come PS VR2 per dimostrare come Sony sia ben lontana da quel periodo di grazia che l'ha contraddistinta nel corso delle generazioni. Va anche detto che un'azienda sana è anche quella che riesce a diversificare meglio e con successo, senza fossilizzarsi sui soliti schemi. E questo va sottolineato con forza quando si guarda a un mercato che cambia pelle alla velocità della luce.
La verità è che Sony ha gettato alle ortiche l'intera generazione PS5, segnata certamente da cambi epocali all'interno di tutta l'industria, ma anche da un management interno in totale confusione, inadeguato e poco attento alle dinamiche di mercato. Convogliare qualcosa come l'80% della forza lavoro sui live service è chiara dimostrazione di incapacità, oltre che arroganza nel pensare che basta affibbiare il marchio PlayStation su qualunque cosa per poter avere automaticamente successo.
Lo scontro frontale con la realtà dei fatti ha però prodotto degli effetti catastrofici nell'immediato ma benefici per il futuro dell'azienda, che adesso ha la prossima generazione da preparare per bene, con assetti da ristabilire e una visione che deve tener conto anche della trasformazione di Microsoft e delle nuove frontiere di mercato legate al digitale e al cloud gaming, che vede l'azienda nipponica molto indietro.
La tempesta sembra essere passata, e adesso c'è solo da ricostruire di nuovo tutto dalle fondamenta, da ciò che Sony ha sempre saputo fare meglio di tutti gli altri. Adagiarsi sugli allori non è più possibile. Questa generazione ha fatto perdere molte certezze e ha sporcato un'immagine che va inevitabilmente ricostruita, cambiata.
E la nuova reputazione di Sony deve ripartire anche da una rinnovata comunicazione, altro punto dolente che lasciato tutti interdetti in sin troppe occasioni, anche recenti.
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