L'influenza dei soulslike sugli action sta iniziando a sfuggire di mano

Sono sempre più i giochi action che adottano una o più meccaniche prese dai soulslike: ma è un bene oppure rischiamo solo una saturazione senza idee?

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a cura di Silvio Mazzitelli

Redattore

Che FromSoftware abbia praticamente inventato un nuovo modo di concepire gli action RPG è ormai assodato da anni. L’uscita, nel lontano 2011, del primo Dark Souls ispirò tantissimi sviluppatori di tutto il mondo a seguire la strada intrapresa dalla software house giapponese, fino al punto di arrivare a creare un intero sotto-genere in cui vengono inseriti tutti quei titoli che riprendono lo stile e le meccaniche dei titoli di From: i cosiddetti soulslike.

Anno dopo anno e successo dopo successo, FromSoftware non soltanto è riuscita più volte a migliorare e persino rivoluzionare il sotto-genere da lei stessa inventato, ma è anche diventata una delle software house più amate di sempre.

D’altronde, ogni gioco uscito dalla mente di Hidetaka Miyazaki e compagni è garanzia di qualità, come hanno dimostrato praticamente con ogni loro più recente titolo; questa scia di successi non ha fatto altro che ispirare ulteriormente molti altri sviluppatori a imitarli.

L’influenza di From, però, ultimamente si è spinta al di là degli emuli appartenenti al sotto-genere dei soulslike, andando a contagiare anche titoli di generi diversi, in primis gli action puri.

Seppur al momento questa iniezione di elementi da soulslike in altre tipologie di giochi abbia portato soprattutto risultati positivi, c’è il rischio che alla lunga si arrivi a un abuso di queste formule, finendo per stancare il pubblico.

Come i Soulslike di From hanno cambiato il genere action

Innanzitutto partiamo dal capire cosa esattamente sia un soulslike. Rispetto ad altri generi o sottogeneri, che possono essere subito inquadrati per una specifica caratteristica – pensate ad esempio a uno sparatutto in terza persona o a un metroidvania – i soulslike non hanno una singola e preponderante meccanica che li definisce in toto.

Per generalizzare, potremmo definire un soulslike come un vasto insieme di diversi sistemi di gioco caratteristici che puntano a offrire ai giocatori un’esperienza legata intrinsecamente anche a determinate sensazioni, come quella di soddisfazione dopo aver sconfitto un boss molto ostico.

Scendendo nel dettaglio di questi sistemi, ne possiamo identificare moltissimi: uno su tutti la “corpse run” per recuperare le “anime” (o tutti gli altri nomi con cui queste sono chiamate nelle loro diverse incarnazioni), le cure limitate, i respawn dei nemici quando si riposa a un falò, la sapiente gestione della Stamina e la possibilità di creare diverse build in base alla distribuzione dei punti nelle statistiche e all’equipaggiamento utilizzato.

Insomma, non c’è soltanto un singolo elemento che rende un soulslike quello che è.

Quando però ci sono titoli che prendono solo un paio di queste meccaniche e le inseriscono in un’altra struttura di gioco, allora ci troviamo sempre di fronte a un soulslike? Le discussioni al riguardo sono infinite nel web, tra chi sostiene che siano tutti soulslike e chi crea nuovi termini come soulslite o definizioni ancor più di nicchia come "Bloodborne-like" e così via.

Personalmente, ritengo che ormai le parole che utilizziamo per descrivere un genere servano soltanto per semplificare e far capire il più velocemente possibile a un nostro interlocutore di che tipologia di gioco si stia parlando, a grandi linee e solo per dare un’idea.

Lanciandosi nell'imitazione, molti autori sottovalutano le complessità nel creare un soulslike.
Nel 2024 ormai non esistono quasi più i generi nella loro forma più pura e classica, intesi come lo erano alle loro origini. Tra fusioni di generi, sperimentazioni e innesti di elementi da un genere all’altro, abbiamo ormai tantissimi videogiochi che è difficile far rientrare in una singola categoria: si pensi ad esempio a quanto spesso ormai si trovano elementi presi dai RPG in qualsiasi tipologia di gioco, da quelli d’azione fino a quelli sportivi.

Come da sempre succede nel mondo dei videogiochi, quando un’idea funziona molto bene ed è apprezzata da gran parte del pubblico, diventa subito una fonte d’ispirazione per tanti altri sviluppatori.

Non è certo la prima volta che succede nella storia dei videogiochi: pensiamo ai metroidvania e al boom di alcuni anni fa di titoli con queste caratteristiche, soprattutto nel panorama indie. La cosa che più sorprende del percorso evolutivo dei soulslike è come una tipologia di titoli pensati inizialmente per una nicchia di pubblico hardcore sia ormai considerabile quasi mainstream, visti i 25 milioni di copie vendute da Elden Ring (che potete trovare su Amazon con anche l'espansione inclusa), cifra che non appartiene affatto a una nicchia.

Il problema di quando qualcosa diventa “di tutti” è che poi rischia di perdere quella personalità che ne aveva decretato il successo, soprattutto quando viene imitata troppo spesso e magari con risultati di scarsa qualità.

Vediamo ormai molti sviluppatori sia indie che di case di sviluppo importanti provare a inserirsi nella fetta di mercato creata da From, magari proprio per tappare il buco rimasto tra l’uscita di un loro gioco e l'arrivo di quello successivo. Dopo un’iniziale carica di nuovi soulslike fedeli nella struttura a quelli di From, ora è la volta di titoli molto più vicini all’action puro, ma che comunque prendono in prestito alcune meccaniche dai soulslike.

A dirla tutta, la prima ad aver fatto ciò è stata proprio FromSoftware stessa, che in Sekiro e Armored Core 6 ha inserito diverse dinamiche prese dai suoi titoli precedenti.

Sekiro, infatti, è un action che punta poco sulla varietà e la personalizzazione tipica degli altri soulslike, avendo come perno la meccanica dei parry, che è fondamentale padroneggiare per sconfiggere i boss più potenti. Essendo un action puro, in Sekiro non c’è scorciatoia per finire il gioco come in un Dark Souls: o si impara a utilizzare bene il sistema o si soccombe.

Armored Core 6, invece, seppur riprenda quasi in toto le meccaniche da sempre presenti in questa longeva serie (esistente addirittura da molto prima di Demon’s Souls), nel capitolo dell’anno scorso ha posto molta più enfasi su boss battle spettacolari e complesse, che ricordano molto quelle viste nei Souls.

A partire da questi titoli abbiamo visto, soprattutto nell’ultimo anno, sempre più action innestare nella loro struttura alcune meccaniche presenti nei soulslike: basti ad esempio citare Star Wars Jedi: Survivor (e il suo prequel Fallen Order), Stellar Blade, Flintlock: The Siege of Dawn o il recente Black Myth: Wukong per vedere come ormai i soulslike esercitino un'influenza massiccia anche al di fuori dei loro emuli più fedeli. Ma è un bene o no?

Un’invasione annunciata?

Che FromSoftware sia ormai riconosciuta tra le migliori software house degli ultimi anni non è certo un caso. Il percorso iniziato con Demon’s Souls e che, per il momento, ha raggiunto il suo apice con Elden Ring, ha generato delle esperienze di action RPG tra le più interessanti e uniche della storia dei videogiochi.

Basti pensare proprio a come nel titolo creato in collaborazione con Martin sia possibile creare così tante build diverse – facendo un mix tra armi, armature, magie ecc. – che è molto difficile trovare due personaggi costruiti allo stesso modo.

È un vero peccato che quasi nessuno prenda oggi come punto di partenza per un action i Devil May Cry o i Bayonetta.
E anche con Sekiro, come accennavamo, il team è riuscito a reinventare il concetto di parry, rendendola una meccanica molto più veloce e immediata da utilizzare rispetto al passato. In questo modo si hanno scambi di colpi che sfociano in una veloce alternanza tra attacco e difesa davvero spettacolare da vedere e da utilizzare una volta padroneggiata. Non è un caso che ormai molti altri giochi tentino di farla propria.

Le eccellenze in qualsiasi medium hanno sempre portato all’emulazione, è sempre stato così nella storia di qualsiasi tipo di arte, ed è anche un bene che succeda, perché spesso, aggiungendo del proprio a qualche idea collaudata, si può evolvere ulteriormente un concetto oppure crearne persino di nuovi.

L’emulazione dei sistemi creati da From, ad esempio, quest’anno ci ha portato due ottimi action con Stellar Blade e Black Myth: Wukong, sviluppati entrambi da studi orientali al loro primo gioco tripla A.

Eppure, nonostante al momento questi ibridi action con meccaniche da soulslike siano visti come una novità nel mercato attuale, il rischio è che nel giro di poco tempo possano arrivare a saturarlo.

Certo, parlare di saturazione può sembrare un’esagerazione visto che attualmente si contano un massimo di tre o quattro titoli e per giunta tutti di valutazione tra il buono e l’ottimo. Basta però dare uno sguardo alle novità mostrate nei recenti eventi, tra la Summer Game Fest e le conferenze di vari publisher, per vedere come già dall’anno prossimo ci sarà una vera e propria invasione, tra soulslike più duri e puri e questi nuovi action ibridi.

Tra questi ci basta citare The First Berserker: Khazan, Where Winds Meet, Wuchang: Fallen Feathers e The Relic: The First Guardian. La lista potrebbe proseguire ancora a lungo, ma vi basti sapere che i nomi citati sono tutti di titoli previsti per il 2025 (almeno sulla carta).

La speranza per il futuro degli action è quella di non vedere arrivare una sfilza di cloni che imitano lo stile di FromSoftware solo per cercare di vendersi agli appassionati affamati di qualcosa che ricordi loro Sekiro o Dark Souls.
Tutti speriamo che i titoli citati siano ottimi e divertenti, ma, per quanto possano essere ben fatti, continuare ad abusare di una formula porta inevitabilmente a una stanca generale da parte del pubblico, cosa che a lungo andare può arrivare al rifiuto di certe meccaniche indipendentemente dalla qualità di un titolo.

Il pericolo è che si arrivi a essere invasi da giochi considerati come semplici “prodotti” da vendere, creati con poca cura solo per cavalcare una moda; basti vedere cos’è successo negli ultimi tempi con i live service, con la bomba scoppiata con il caso Concord.

Non credo onestamente che nel genere action si possa arrivare a dei fallimenti di tale portata: d’altronde, parliamo di titoli prevalentemente votati all’esperienza single player e in genere con ambizioni più contenute. Il pericolo di un’invasione di giochi tutti simili tra loro però resta e potrebbe rivelarsi concreto nel giro di uno o due anni.

Eppure nel genere action sono così tante le strade che sarebbe possibile prendere per variare un po’ l’offerta. Certo, inventare un nuovo sistema da zero non è facile per nessuno – ma, anche volendosi ispirare ad altri titoli, è un vero peccato che quasi nessuno prenda come punto di partenza i Devil May Cry o i Bayonetta, titoli che reputo ancora oggi all’apice del genere action, specialmente nelle loro ultime incarnazioni.

Negli ultimi anni soltanto gli italiani di Reply Game Studios, con Soulstice, hanno osato provare a creare un titolo simile, riuscendo anche a realizzarne uno più che discreto.

Probabilmente, essendo questi un tipo di action oggi considerato più di nicchia, specialmente se paragonati al successo mondiale dei soulslike – e, soprattutto, essendo molto complessi da creare – molti sviluppatori preferiscono puntare su quello che va più di moda per garantirsi anche un minimo di visibilità.

Scelta condivisibile in parte, ma il problema è che poi molti sottovalutano le complessità nel creare un soulslike. Le prove di ciò le abbiamo sotto i nostri occhi da molto tempo ormai; tra i soulslike sono infatti la maggior parte le esperienze tra il mediocre e l’appena sufficiente tra, come ad esempio tutti abbiamo visto con Mortal Shell, Thymesia e il recente Enotria.

Il videogioco, in qualsiasi sua forma, è innanzitutto creatività, e la speranza per il futuro degli action è quella di non vedere arrivare una sfilza di cloni che imitano lo stile di FromSoftware solo per cercare di vendersi agli appassionati affamati di qualcosa che ricordi loro Sekiro o Dark Souls.

Anche perché è sotto gli occhi di tutti che ancora nessuno è riuscito anche solo ad avvicinarsi al livello raggiunto da From, ed è da pazzi provare a sfidarli sul loro territorio senza tentare almeno di fare qualcosa di nuovo o alternativo.

Se questa invasione di action ibridati ai soulslike riuscirà a portare qualche evoluzione positiva all’interno del genere allora ben venga: l’importante è che non ci si ritrovi sommersi da una valanga di titoli senz’anima, realizzati soltanto allo scopo di cavalcare una moda che potrebbe essere finita ben prima dello sviluppo di uno di questi giochi, proprio come è successo di recente con i live service.

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