Benvenuti alla seconda parte della
Metafora di Kingdom Hearts. Con la presentazione ufficiale di
Kingdom Hearts III all’
E3, in questo speciale vogliamo ripercorrere la saga in un modo decisamente inedito. Se infatti l’enorme plot e background sono già stati ai tempi sviscerati in una serie di
speciali dedicati, in queste righe vogliamo indagare sulla possibile metafora che la saga veicola attraverso la propria struttura interna. Questa seconda e ultima parte sarà insieme sia specchio che completamento
della precedente. Se prima abbiamo parlato della
Disney e del suo metaforizzare la propria storia nell’universo narrativo di
Kingdom Hearts, ora parleremo di
Square-Enix (prima
Squaresoft) e della sua storia attraverso il Regno dei Cuori.
Niente idraulici baffuti
Nei fatti, l’idea originale per Kingdom Hearts è partita proprio da Square. Un giorno i due dirigenti della Square Shinji Hashimoto e Hironobu Sakaguchi espressero la volontà di creare un mondo aperto completamente tridimensionale, ispirati da Super Mario 64, uscito pochi anni prima. I due scherzarono sul fatto che gli unici personaggi in grado di rivaleggiare con Mario fossero proprio quelli creati da Walt Disney. Per quanto inizialmente fosse solo una battuta, il grafico e disegnatore di personaggi Tetsuya Nomura li sentì benissimo e prese la cosa terribilmente sul serio, offrendosi di dirigere questa atipica fusione tra Disney e l’allora Squaresoft. Per un perverso disegno del destino, la divisione giapponese della Disney aveva la sede nello stesso edificio della Square, tanto che Hashimoto stesso ne incrociava i lavoratori in ascensore.
Da questo incontro apparentemente banale nacque la lunga genesi del primo Kingdom Hearts, fatta di un lungo periodo di negoziazioni, rifiuti, imposizioni e piccoli colpi di mano. Square si ritrovò per la prima volta a fare qualcosa di nuovo, un action-RPG che fosse sia “serio” che “pastelloso”. Le difficoltà nello sviluppo e gli aneddoti sono come al solito tanti. Forse il più celebre è il fatto che inizialmente la Disney avesse insistito per avere Topolino come protagonista assoluto. L’idea fu respinta da Nomura, che raggiunse il compromesso di creare un personaggio originale, Sora. Come tributo all’idea iniziale della Disney Nomura alla fine decise di disegnarlo con i pantaloncini corti e rossi e con le scarpe gialle, esattamente come il Topolino delle origini creato da Walt Disney e Ub Iwerks. Affiancatigli Paperino e Pippo, al Custode del Keyblade si aggiunsero Riku e Kairi, che furono a loro volta creati per adattarsi il più possibile al contesto disneyano.
Di necessità virtù
Dove la Disney aveva il “vantaggio” di avere un archivio narrativo e visivo praticamente illimitato, la Square aveva un problema quasi “inverso”. Negli anni precedenti aveva creato anche lei universi estesi e dettagliati, ma erano sia fin troppo “adulti” che troppo poco sintetizzabili in poche ore di giocato ciascuno. Inoltre, la maggior parte dei personaggi dei classici Disney non può funzionare agevolmente al di fuori dei loro contesti originali. Da questa inaspettata complementarietà nasce l’idea di inserire i personaggi di Final Fantasy dentro ad ambientazioni originali. I mondi creati per l’occasione sarebbero stati più gestibili, e i personaggi dei Final Fantasy erano talmente ben riusciti che vi sarebbero entrati senza stonare, interpretando dei ruoli difficilmente ricopribili dalle creazioni della casa di Walt. Il ruolo più importante (nonché il primo a essere necessario) era il mentore. Il maestro che desse un punto di partenza al protagonista Sora e al giocatore con lui. La scelta ricade quasi immediatamente su Squall Leonhart da Final Fantasy VIII, che tra l’altro è il primo personaggio di FF ad apparire da adulto. Non c’è la certezza che sia andata veramente così, ma volendo è piacevole pensarlo anche sapendo quanto Nomura sia legato al buon Squall. Pur di evitare spoiler involontari viene deciso di rinominarlo Leon, che è il nome con cui verrà probabilmente ricordato di più dagli anni Duemila in poi.
Possiamo immaginare Leon come Squaresoft stessa, che si è impegnata a guidare la Disney nel realizzare un videogioco di ruolo “moderno”. Come Leon con Sora, Square insegnava con la consapevolezza di stare anche lei imparando, e che difficilmente tutto sarebbe andato per il meglio.
A Squall (o meglio, Leon) se ne aggiungono poi altri, e non c’è Final Fantasy più iconico del settimo capitolo. Da lui vengono presi Cid, Yuffie, Sephiroth, Cloud e Aerith. Di nuovo, sono metafore: Cloud e Sephiroth riflettono la natura “manichea” del primo KH, rigidamente divisa tra luce e oscurità; Cid è l’ingegnere in pensione e Yuffie il personaggio spensierato. Tutti loro vanno a costituire il team di supporto di Sora, dando loro come origine la Fortezza Oscura ma con base operativa la Città di Mezzo. Tutti questi sono luoghi originali, dove la Squaresoft può essere a sua volta anfitrione per i personaggi Disney che decide di collocarvi. In una maniera parimenti metaforica vengono introdotti, nell’area iniziale delle Isole del Destino, le versioni preadolescenti di Wakka, Tidus e Selphie. Se quest’ultima è un altro tributo al videogioco cui Nomura ha lavorato veramente da solo (e che l’ha autenticamente consacrato al grande pubblico) Tidus e Wakka sono un rimando divertito a Final Fantasy X, uscito l’anno precedente e sviluppato quasi in contemporanea.
Il maestro, quello vero
La metafora del maestro sarebbe proseguita anche in
Kingdom Hearts II: se
Leon qui è ormai sereno e osserva il proprio “allievo morale” nel suo essere ormai cresciuto e indipendente, il ruolo di guida viene assunto da
Auron. Per quanto la sua presenza sia assai meno insistita rispetto a
Leon dell’episodio precedente,
Auron incarna una maggiore consapevolezza da parte di Square, forte dell’esperienza accumulata sia con il precedente capitolo che con l’immediatamente precedente
Chain of Memories. Un insegnante che non ha neanche la pretesa di farsi chiamare tale: egli è un guardiano, che si assicura che
Sora compia il proprio destino.
Ma se
Auron continuava la metafora del mentore, essa sarebbe arrivata a compimento solamente anni dopo, in
Kingdom Hearts Birth by Sleep. Piena rappresentazione di questo è il personaggio del
Maestro Eraqus. Dove
Yen Sid era la Disney,
Eraqus è la personificazione della Square-Enix stessa (il suo nome è anagramma proprio di “Square”). Una metafora che continua anche nel suo rapporto con
Yen Sid stesso: i due, insieme al vecchio Xehanort, si erano a loro volta addestrati per diventare maestri di Keyblade. A questo riguardo è facile immaginarli da giovani e probabilmente amici. Un’amicizia che sarà risultata come la più improbabile di tutte, esattamente come lo era il fondere
Final Fantasy con la
Disney. In tal senso, la triste morte di Eraqus in BbS è forse proprio il messaggio che la Square era cambiata. Così come forse non è per niente un caso riconoscere nei lineamenti del vecchio maestro, per quanto traslati dal disegno, quelli di
Hironobu Sakaguchi, padre di
Final Fantasy e anche di Kingdom Hearts.
Sakaguchi dovette lasciare l’azienda da lui stesso creata a inizio anni Duemila, dopo il flop del film in CG
Final Fantasy: The Spirits Within. C’è chi dice che con lui se n’è andato anche la “magia” che ne aveva animato le opere fino a quel momento.
Il cielo del crepuscolo
Se quindi la componente metaforica della Disney era sull’ambiente, quella della Square invece preferisce una dimensione più individualistica e se vogliamo “intima”. C’è tuttavia una locazione nei giochi che la incarna: Crepuscopoli. La città aranciata, perennemente al tramonto, nasconde sotto i suoi pigri pomeriggi di tarda estate la consapevolezza che insieme a Kingdom Hearts sta tramontando un’era per la Square. Un’era da “giovinastri”, in cui si poteva ripartire da zero e farcela comunque. Un’epoca in cui un viaggio poteva solo significare tornare a casa, più ricchi e consapevoli di prima. Adesso, un viaggio non basta più e la storia è diventata enorme, grandissima. Una storia complessa e misteriosa, affascinante perché basata su concetti semplici, sui tre colori del bianco, nero e grigio. Dopo quasi tredici anni è di nuovo tempo di cambiamento, del quale Kingdom Hearts III dovrà essere il simbolo. Ma già ora, prima della versione completa, c’è già un sintomo del cambiamento. Kingdom Hearts III sarà infatti il primo della saga a contenere mondi basati sui film Pixar. Quelli mostrati finora sono quelli a tema Toy Story e Monsters & Co.: una novità assoluta è che il primo ospiterà addirittura una storia originale, perfettamente inserita nella timeline delle pellicole. Questo ci permette di fare un’ultima considerazione, prima dell’E3. Non sono note le ragioni per cui i film Pixar non sono mai comparsi in oltre sedici anni di Kingdom Hearts. L’ipotesi più probabile è che la tecnologia delle console non fosse sufficiente a replicare in maniera credibile l’avanzatissima CG della Pixar. Ma volendo, non possiamo neanche dimenticare che la Pixar stava particolarmente a cuore anche a Steve Jobs. Il più famoso CEO di Apple è scomparso nel 2011, e guarda caso il primo Kingdom Hearts prodotto dopo la sua dipartita conterrà mondi tratti da film Pixar. Che non fossero comparsi prima proprio perché lui si era opposto? Non lo sapremo mai…
In questa seconda e conclusiva parte della Metafora di Kingdom Hearts abbiamo provato a vedere la saga secondo l’altro punto di vista, quello della Squaresoft oggi Square-Enix. Dove la Disney instaurava una grande metafora di quella che era stata la sua crescita produttiva, passando dalle fiabe ai classici moderni e “rinascimentali”, la Square ha scelto una dimensione più intima e individuale. Ne ha ricalcato il ruolo morale del “mentore”, che ha portato la Disney a cimentarsi in qualcosa che per lei era nuovo. E a fare da tramite tra questi due universi così lontani tra di loro c’è stato il personaggio di Sora, il Custode dei Mondi e futuro Maestro del Keyblade. Nella sua innocente giustizia, egli è il personaggio che li unisce tutti: non a caso il suo nome in giapponese significa “cielo”. Ora non resta che aspettare l’ultimo viaggio.