Ogni giugno, all’approssimarsi dell’estate, c’è anche la settimana più “calda” di tutto l’anno videoludico: l’
E3. L’esposizione internazionale di Los Angeles catalizza da decenni tutta l’attenzione di appassionati e meno appassionati, rendendosi come il momento in cui si consumano i più grandi quantitativi di hype. Quello di quest’anno è già ricco di suo, tra svelamenti di nuove IP ai dettagli per videogiochi futuri. Ma tra tutte le schiere di fan, ce n’è una che guarderà questo E3 con particolare attenzione: quella di
Kingdom Hearts. Una saga iniziata nel 2002 su PlayStation 2 e continuata nel 2005 con
Kingdom Hearts II. Della ricostruzione della sua complessa ed enorme trama ce ne siamo occupati
poco tempo fa, in due
esaurienti articoli. In questo speciale in due parti vogliamo fare qualcosa di diverso: provare a riflettere, in ottica dell’ormai prossimo
Kingdom Hearts III, delle metafore racchiuse nella storia e nell’universo narrativo costruito da Disney e Square.
Facciamo finta che è un parco di divertimenti
Kingdom Hearts è, oggettivamente, una saga che ha fatto l’impossibile: ha fuso due realtà lontanissime tra loro (i classici Disney e il medioevo futuribile dei Final Fantasy) in una maniera così naturale da lasciar pensare che fossero state fatte apposta per essere riunite. Ma se questa natura era oggettivamente straordinaria, la saga si è poi sparpagliata in una trama complessa, con la preminenza di personaggi originali e numerosi retcon per riaprire una storia che pareva essersi chiusa con Kingdom Hearts II. Una storia che, per quanto originale, tocca realtà e universi narrativi che da sempre segnano il pubblico audiovisivo mondiale. Tuttavia, non dobbiamo vedere la saga di Kingdom Hearts come una semplice “parata di nostalgia” del mondo Disney: sotto c’è un messaggio ben più sottile, direttamente allacciato alla struttura di fondo del gioco stesso.
Ogni Kingdom Hearts è infatti una sorta di “parco di divertimenti” concettuale. Ciascun “mondo” di cui è composta la mappa è sostanzialmente stagno, con storie che iniziano e finiscono nei medesimi confini. Unica eccezione sono i mondi originali (Città di Mezzo, Fortezza Oscura, Crepuscopoli, Mondo che non Esiste e altri) la cui interconnessione è ovviamente necessaria per lo sviluppo della storia generale. I mondi Disney sono per la maggior parte ispirati a cosiddetti “classici”, e ne riprendono per somma parte personaggi e vicende. In questo senso la presenza dei protagonisti (siano Sora, Riku, Aqua, Ventus o Terra) ha un ruolo ancillare, un avatar (proprio nel senso letterale di “incarnazione”) del giocatore che si trova a rivivere indirettamente le vicende che prima poteva solo vedere nella cinematografia. La missione di fondo del gruppo, sia essa ritrovare degli amici perduti o completare il proprio addestramento, è quindi un contenitore per fare un giro (o più di uno) all’interno di ciascuna “giostra” (mondo), ciascuna con caratteristiche uniche.
La metafora che diventa storia reale
La descrizione appena fatta della struttura di gioco potrebbe lasciar intendere che ogni Kingdom Hearts non sia che una “scusante” per mettere in videogioco quanto più materiale Disney possibile. Ciascun mondo non sarebbe che una sorta di miniaturizzato tie-in del film corrispondente. È un convinzione erronea, e dobbiamo smontarla ricordando che Kingdom Hearts vive appunto di due “strati narrativi”: quello dei singoli mondi e quello della storia che li lega. È attraverso la fusione di questi due “strati” che nasce e si nasconde una metafora molto più sibillina. I Kingdom Hearts altro non sono che una rappresentazione simbolica della storia della Disney stessa. Per spiegare questa frase basta confrontare i mondi che compaiono in ciascun videogioco e rapportarli alla collocazione del gioco stesso all’interno della cronologia interna di Kingdom Hearts. Facendo così si scopre che (a parte pochi eccezionali outsider) tutti i mondi sono collocabili a un preciso momento della storia della Disney. I Kingom Hearts che raccontano la storia di Sora, Riku e Kairi (cioè quelli “moderni”) presentano tutti mondi tratti da film facenti più o meno parte del Rinascimento Disney (1989-2003). Ecco che quindi vi sono i mondi di Atlantica (La Sirenetta, 1989), Agrabah (Aladdin 1992), Monte Olimpo (Hercules, 1997), Città di Halloween (Nightmare Before Christmas, 1993) e Giungla Profonda (Tarzan, 1999). A questi Kingdom Hearts II aggiunse il Castello della Bestia (La Bella e la Bestia, 1991), le Terre del Branco (Il Re Leone, 1994), la Terra dei Dragoni (Mulan, 1998) e Port Royal (Pirati dei Caraibi, 2003). Unici mondi che non rientrano nel computo sono Space Paraoids (da Tron, 1982), il Paese delle Meraviglie (Alice nel Paese delle Meraviglie, 1951) il Bosco dei Cento Acri (Winnie the Pooh, 1977) e l’Isola che Non C’è (da Le avventure di Peter Pan, 1953). Tali pellicole, per un motivo o per un altro, non piacquero unanimemente, ma furono ampiamente rivalutate proprio a partire dalla fine degli anni Ottanta. C’è comunque da considerare il fatto che Tetsuya Nomura, autore originale di Kingdom Hearts, ha probabilmente scelto i mondi del capitolo d’esordio basandosi sulle pellicole Disney cui era maggiormente legato: essendo nato nel 1970, aveva vissuto il Rinascimento Disney negli anni della prima giovinezza.
La Disney come anfitrione
Se la metafora era quindi inizialmente “casuale”, è divenuta molto più consapevole con la produzione di Kingdom Hearts Birth by Sleep. Questo capitolo è esplicitamente collocato dieci anni prima delle vicende di Sora e compagni, e pertanto ospita mondi per somma parte appartenenti ai primissimi classici prodotti dalla Disney: il Dominio Incantato (da La Bella Addormentata nel Bosco, 1959), Castello dei Sogni (da Cenerentola, 1950) e il Bosco dei Nani (Biancaneve e i sette nani, 1937). Quasi simbolico che avrebbe dovuto essere presente un mondo ispirato a Il libro della giungla (1967), ma che poi fu cambiato con un piccolo ritorno al Rinascimento con Spazio Assoluto, mondo ispirato a Lilo & Stitch (2002). Infine, con il ritorno alla “modernità” di Kingdom Hearts Dream Drop Distance si spinsero anche a dopo il Rinascimento. Furono infatti aggiunti la Città delle Campane (da Il Gobbo di Notre Dame, 1996), la Contea dei Moschettieri (ispirato a I Tre Moschettieri del 2004, tuttora l’unico mondo con la banda Disney non tratto da un Classico) il Paese dei Balocchi (da Pinocchio del 1940, inizialmente non un gran successo ma poi rivalutato, tanto da essere già comparso nel primo KH) e la Rete (da Tron: Legacy del 2010). In ogni caso, è in tutti questi mondi che la Disney fa letteralmente da anfitrione alla Square-Enix e ai suoi personaggi (originali e non).
In mezzo a tutte queste creazioni “di tributo” si affacciano infine mondi Disney semi-originali: il Castello Disney e la Città Disney, che indagano metaforicamente sul mondo dei cortometraggi con cui la Disney è nata e cresciuta prima dei film d’animazione. Nella Città Disney si concentrano i personaggi comprimari: Paperon De’ Paperoni, Orazio, Clarabella, Qui Quo e Qua e molti altri. Ma in cima c’è appunto il Castello Disney, che ospita i veri personaggi iconici del vecchio Walt: l’antieroe Paperino, il migliore amico Pippo, la principessa Paperina, la regina Minni e il re Topolino. Con un’ultima metafora, forse la più bella: nella Torre Misteriosa vive il maestro Yen Sid, il mago già comparso nel segmento l’Apprendista Stregone di Fantasia (1940). Con disarmante semplicità, egli è l’incarnazione di Walt Disney stesso: “Yen Sid” infatti altro non è che “Disney” letto al contrario. Tanto nel film quanto in KH il pacato Yen Sid è stato il maestro di Topolino, colui che gli ha insegnato a essere ciò che è oggi. E sempre in entrambi i media, dopo avergli insegnato tutto ciò di cui aveva bisogno, Yen Sid lascia Topolino libero di andare per la sua strada. Un simbolico passaggio di consegne: Walt incarica la sua creatura più celebre di custodire i suoi mondi e dare speranza a chi incontrerà.
In questa prima parte dello speciale abbiamo esplicitato una parte della metafora che la saga di Kingdom Hearts veicola attraverso il proprio universo narrativo. Nello specifico ci siamo occupati della “parte” riguardante la Disney. Ne abbiamo scoperto un’inaspettata radice “storica” nei mondi tratti dai classici Disney, distribuiti nei vari capitoli di KH in modo tale da rifletterne metaforicamente l’ordine cronologico di produzione o la comunanza di idee, principi e messaggi. In questo senso la Disney si eleva a volte ad anfitrione tanto per il giocatore quanto per la Square stessa, i cui personaggi incarnano il giocatore che può partecipare, per quanto in maniera tutto sommato solo indiretta, alle vicende dei classici più celebri. Con l’ultima metafora in cui inserisce persino il suo fondatore, Walter Disney, nel proprio universo narrativo. Rimanete con noi per la seconda puntata, quando starà alla Square ospitare Disney!