Intervista a Koan Bogiatto: può un videogiocatore trasformare la sua passione in un business?

A tu per tu con Koan Bogiatto, imprenditore, formatore, speaker, podcaster, influencer e co-fondatore di Tribeke

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a cura di Redazione SpazioGames

Sei appassionato di videogiochi?

Tantissimo! Sino dalla prima volta che giocai a Pong in un bar nel 1977 e da quando potei giocare, nel 1979, alla prima console della mia vita collegata al televisore. Il suo nome era "Video Game".

Ho partecipato a competizioni arcade (quelle poche che esistevano in Italia), sono finito su di un giornale di settore per aver giocato con 100 lire una partita durata 14 ore filate. Ho avuto quasi tutte le console immaginabili e possibili, partendo dal personal computer Commodore 64, sino alle ultime che sono oggi in commercio. Gioco tutt'ora ai videogiochi per divertimento.

Ad Overwatch sono arrivato al livello Diamante (il mio main è Orisa), anche se oggi preferisco giocare a titoli come The Last Of Us (completato), Days Gone (completato) e Uncharted (in corso di gioco). Quindi sì, sono un mega appassionato da 44 anni.


Cosa ne pensi dei videogiocatori giovani, soprattutto minorenni?

Un tasto delicato. Oggi è facile vedere bambini di due anni che stanno videogiocando con in mano uno smartphone o un tablet mentre sono comodamente seduti nel loro passeggino. Questo accade ovunque, basta solo osservare nei ristoranti quanto la maggior parte dei genitori li abbandonino in questi mondi virtuali senza nessuna guida.Quindi non parliamo solo di minorenni, ma di avvio al mondo dei videogiochi per gli infanti.

Quello che ritengo è che i videogiochi, di qualsiasi tipologia e per qualsiasi età, possano essere altamente utili e formativi oltre che divertenti come possono essere distruttivi e polverizzare le capacità delle persone manipolando la loro psiche sin da piccoli. Una sorta di delirio collettivo in cui sembra che quasi nessuno abbia la capacità di portarvi attenzione.

Negli anni '80 l'associazione dei genitori in Italia riuscì ad arrivare a far chiudere le serie di Goldrake e Mazinga perché considerati troppo violenti. Oggi nessuno dice niente quando i ragazzi e le ragazze giocano a videogiochi ricchi di violenza gratuita e aberrante.


Quale pensi sia il problema principale?

Il problema principale è diviso in due parti differenti. Le società che producono videogiochi e i genitori. A cui sottende un terzo problema, al crescere dell'età, che sono proprio i videogiocatori.

Iniziamo dalle società. La continua e costante rincorsa al profitto senza che vi sia un codice morale da rispettare, un minimo di coscienza, da parte di alcune case produttrici di videogiochi produce risultati aberranti. Non importa se, inserendo alcune strategie studiate a tavolino con i migliori scienziati, alcuni ragazzi non riusciranno a sviluppare alcune parti del proprio cervello. Fa soldi? Va bene così. Questo è il primo problema.

Tanto più saranno le società che si chiederanno che cosa stanno facendo, quanto è importante il loro ruolo nel nostro mondo e che cosa vogliono contribuire a creare in questa società e tanto andremo meglio.

Qualsiasi aspetto le società scelgano il cui drive principale non sia fare soldi, le rende più consapevoli e meno dannose. Intendiamoci: alcune società sono già in cammino con questa tipologia di drive. Secondariamente, non vi è niente di male a fare profitto e fatturato – anzi. Basta che non sia il drive principale che autorizza, di default, qualsiasi scelta.


Hai dei figli?

Sì, ne ho tre. Toark di 24 anni, Artkoea di 21 anni e Mauion di 18 anni.


Sono dei videogiocatori?

Certamente, la passione si trasmette di generazione in generazione. Toark è appassionato di videogiochi quali Call of Duty, ad esempio, oppure Progetto Zomboid o in generale simulazioni iper complesse e super realistiche legate al mondo militare o apocalittico. Videogiochi che trovo molto difficili e che richiedono studio e pazienza. Tranne Call of Duty che, ovviamente, è molto dinamico e veloce.

Artokoea è appassionata a videogiochi quali The Legend of Zelda o Paper Mario: mondi Fantasy dove può esplorare, scoprire tesori e risolvere enigmi. Mauion è "il videogiocatore" della famiglia. All'età di dodici anni espresse il suo desiderio di diventare un videogiocatore professionista – nello specifico di Overwatch. Lo abbiamo quindi aiutato nei tre anni successivi con la corretta preparazione: studio, attività culturale, sessioni di coaching e tutto quello che serviva per aiutarlo a raggiungere il suo obiettivo.

È arrivato ad essere uno dei primi 100 player di Overwatch al mondo e, quando questo è accaduto, è entrato in selezione per una squadra della Overwatch League oltre entrare in contatto con i migliori coach di squadra. Quando però vide come era fatta la vita del videogiocatore professionista decise che non faceva per lui. Uno stile di vita opposto a quello che aveva avuto sino a quel momento. Così decise di scegliere altro per la sua vita.

Al contempo oggi è sempre un grande videogiocatore indifferentemente dal videogioco che sceglie. La sua passione principale è Fallout.


Cosa avete fatto, come genitori, con i vostri figli in merito ai videogiochi?

Li abbiamo sempre seguiti indicandogli quanto tempo potevano giocare alla giornata e, sino a quando erano bambini, a quali giochi giocare. Sino all'età di 11 anni non hanno mai avuto uno smartphone da potersi portare con se da soli come anche un tablet o qualsiasi altro strumento tecnologico che avrebbe aperto un mondo troppo grande da poter gestire senza una guida adulta. Quindi massima attenzione, senza proibire il mondo stesso ed anzi, favorendolo.

È come insegnare ai figli a guidare un autoveicolo. Trasmetti insegnamento e passione ma alle prime armi non gli permetti di buttarsi in una competizione su pista alla velocità di 300 km/h. È la stessa cosa. Poi al crescere della loro consapevolezza e coscienza hanno iniziato ad avere gli strumenti autonomi e a scegliere per loro conto.

Da parte nostra, da determinati momenti in poi, vi erano solo dei suggerimenti in merito al tempo e al tipo di videogiochi. La loro scelta era predeterminata dai risultati che producevano nella loro vita. Questo ha consentito a loro di diventare adulti liberi di scegliere e consapevoli che ogni scelta reca con sé delle conseguenze, positive e negative al contempo.


Pensi che "videogiocare" possa essere considerata una professione a tutti gli effetti?

Assolutamente sì. Lo so che tantissimi genitori considerano i videogiochi come un "passatempo" per i loro figli oppure "una distrazione". Tutto tranne che una professione. Un grande errore.

Gli eSport sono ormai una realtà da decenni. La possibilità di lavorare per aziende come tester è un'altra. Diventare un programmatore di videogiochi, un'altra ancora.Svolgere l'attività di coach per altri videogiocatori, tenere corsi di formazione ad esempio. Vogliamo parlare delle sponsorizzazione che possono ricevere? Eppure non abbiamo toccato ancora quella più grande: diventare un influencer nel mondo dei videogiochi. Una professione ambita e mostruosamente ben remunerata. Quindi non è solo un mio pensiero ma una realtà oggettiva e consolidata.


Ritieni che possa diventare anche un business?

Anche per questo abbiamo la stessa risposta: assolutamente sì. Più complessa. La professione, la libera professione, è molto più semplice. Penso solo a me stesso, a quello che faccio io e che produco io.

Creare un business richiede una mentalità imprenditoriale che, ai ragazzi giovani in Italia, non viene quasi mai insegnata (a differenza degli USA). Eppure nell'ambito business vi è meno concorrenza e più possibilità di raggiungere fatturati più alti.

Vi sono milioni di ragazzi che vogliono diventare videgiocatori, pochissimi che vogliono fare i coach dei videogiocatori e molti meno, se non quasi nessuno, che vogliono mettere in piedi un'impresa di coaching per videogiocatori. Opportunità incredibili che richiedono un mindset specifico.


Quali sono i consigli che vuoi dare ai giovani in merito?

Prima di tutto di scegliere, di decidere. È una passione per me, personale, per divertirmi senza nessuna ambizione business o economica? Oppure è una passione che voglio che porti denaro e successo economico? Tutte e due le scelte vanno bene. Il punto pericoloso è non avere le idee chiare in merito.

Quali sono i rischi che vuoi segnalare a chi vuole farlo come business? Business is business. Oppure, "gli affari sono affari" come diceva il famoso personaggio dei fumetti di Topolino, Filo Sganga. Fare business significa produrre fatturato, realizzare utile e pagare le imposte – tanto per cominciare.

Se anche si ha solo la previsione di incassare dieci euro è necessario, immediatamente, pensare che con un solo incasso si è passata la linea sottile che divide il divertimento puro dal lavoro che produce profitto. E, come tale, va trattato. Quindi suggerisco di avere subito, attorno a sé, persone competenti che ti aiutano a sistemare il business per quello che è.

Prima di trovarsi, dopo qualche anno, in bancarotta per imposte non pagate, dissoluzione di utili e, con il conto in rosso, piangere pensando a tutti i soldi guadagnati e sprecati. Una fine che, purtroppo, fanno tanti videogiocatori di successo.