In mezzo a tanti i videogiochi ipertrofici dovreste (ri)giocare Pikmin

Ora che sono vecchio ho finalmente capito Pikmin, e rigiocarli su Nintendo Switch è una bella esperienza pur con un porting tra alti e bassi.

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a cura di Valentino Cinefra

Staff Writer

Dopo l’ultimo Nintendo Direct (qui trovate tutti gli annunci), Stefania mi scrive dicendomi di preparare un articolo di analisi su Pikmin 1 e Pikmin 2,  che sono stati lanciati subito dopo l’evento in un pacchetto per Switch. Facciamo «una cosa per capire che lavoro è stato fatto» mi dice la nostra caporedattrice, a cui prontamente rispondo «certo, un’analisi tecnica per vedere come va, alla fine il gioco è sempre lo stesso».

L’analisi tecnica arriva fino alle 3.15 mentre mi ritrovo di fronte ai titoli di coda di Pikmin 1.

Ho fatto tutta una tirata fino alla fine, raccogliendo tutti i pezzi della sgangherata navicella di Olimar perché, nel 2001, io Pikmin non riuscii a completarlo.

Perché 22 anni fa l’opera di Shigeru Miyamoto era una cosa oggettivamente difficile da capire.

Colorata, carina, tenera, ma che nascondeva un meccanismo fatto di scelte importantissime da prendere in pochissimo tempo che fanno sembrare i soulslike di oggi una passeggiata.

Il titolo di lancio di Nintendo Gamecube non è sorprendentemente invecchiato di un giorno, come accade per ogni capostipite di qualche movimento o genere. Sebbene Pikmin non abbia inaugurato poi nessun vero filone, per via della sua unicità, alcuni gestionali negli anni hanno preso in prestito le idee di questo videogioco difficile anche solo da descrivere.

E in tutto questo c’è la questione dei Pikmin in sé, mandati a morire per un esploratore spaziale venuto da un altro pianeta. Una metafora del capitalismo più becero in cui, però, si aggiungono gli urletti degli esserini che vanno all’altro mondo mentre vengono masticati da mostri che sarebbero degli ottimi peluche venduti a prezzo maggiorato.

In tutto questo volo pindarico di idee e suggestioni, perché non ho mai completato Pikmin all’epoca?

Pikmin, carino e inquietante

Dietro a tutti questi colori e cose oggettivamente belle c’era qualcosa di inquietante.

Nel 2001 non c’erano le guide al day one e i long play degli streamer a spiegare le differenze tra i tre tipi di creaturine, trovare suggerimenti non era facile e arrivavano comunque in ritardo rispetto all’uscita. Bisognava aspettare il commento di Olimar nel diario di viaggio tra un giorno e l’altro di esplorazione per trovare qualche indizio, capire come gestire le risorse e il tempo.

Il tempo, poi, fu una di quelle dinamiche che fecero storcere il naso all’epoca (tanto che nel sequel è meno influente), ma che oggi si incastra perfettamente nelle necessità dei giocatori di essere sfidati a tutti i costi, e diventa il suo selling point.

Mi sento di dire che, giocando a Pikmin con inedita profondità nel pieno di una nottata estiva del 2023, ho realizzato di essermi trovato di fronte ad un proto-Dark Souls con un pizzico di Breath of the Wild.

C’è un obiettivo chiaro, ovvero raccogliere gli oggetti, alcuni strumenti noti e una mappa da esplorare, ma niente che indichi la strada o spieghi realmente qualcosa. Il puzzle game gestionale più soulslike che esista.

Pikmin mi ha sempre affascinato fin da subito, ma all’epoca fu così soverchiante da costringermi ad abbandonarlo. Credo che sia, per altro, ufficialmente uno dei primi giochi che non ho completato nella mia carriera di videogiocatore.

Con l'esperienza dovuta all'età, è molto più facile vedere tutte le sfaccettature di Pikmin.
Quindi com’è giocare a Pikmin, oggi? Bellissimo, ora che l’ho finalmente capito.

Con l’esperienza dovuta all’età e l’occhio critico ora è molto più apprezzabile quella strana creatura di Shigeru Miyamoto. Peraltro questi pacchetti, tanto vituperati spesso dai videogiocatori, dovrebbero servire proprio a questo: rivalutare o valutare, scoprire o riscoprire un videogioco di un’altra epoca.

Pur con i suoi alti e bassi, l’offerta di Pikmin 1 e 2 su Nintendo Switch rappresenta un piccolo angolo di museo e storia dei videogiochi nella console ibrida.

I due videogiochi sono venduti al momento solo su eShop (ma arriverà una versione fisica il 22 settembre), separatamente a €29,99 e in un bundle che li contiene entrambi a €49,99. Quest’ultima offerta è inevitabilmente la più conveniente perché propone i due proverbiali giochi al prezzo di uno.

Se il lavoro ricorda inevitabilmente quello effettuato su Metroid Prime Remastered, ci sono delle differenze sostanziali in questo caso.

Il ritorno dell’avventura 3D di Samus Aran era stato sorprendente perché ci aspettavamo un mero porting e più volte, invece, la rielaborazione su Switch ha sfiorato il concetto di remake. Per i due Pikmin non è stata impiegata la stessa cura.

Pikmin 1 e 2 da riscoprire su Switch, con dei "ma"

Pikmin 1 e 2 su Nintendo Switch sono dei porting 1:1 degli originali per contenuti, opzioni e caratteristiche tecniche.

C’è un upscaling evidente e ben fatto a 1080p in TV e 720p in portabilità, che rende i due giochi ovviamente pulitissimi anche e soprattutto per chi gioca prevalentemente su piccolo schermo. Non c’è stato tuttavia nessun lavoro pratico nelle texture, ad esempio, che sono state solo leggermente ripulite e, in più di un’occasione, dimostrano apertamente i loro ventidue anni di età.

I due Pikmin su Switch sono porting 1:1.
Il gameplay è ovviamente identico e, nel secondo capitolo, è stato aggiunto il supporto al giroscopio mutuato dalla versione per Wii. Sorprende, in negativo, anche il fatto che siano stati mantenuti i 30fps, sebbene non siano mai fastidiosi visto che Pikmin è tutto meno che un gioco frenetico.

L’offerta economica dei due Pikmin non è accomodante ma non è di per sé neanche elevatissima; ma, se paragonata al lavoro dal punto di vista tecnico che è stato fatto con il già citato Metroid Prime Remastered oppure con The Legend of Zelda: Skyward Sword HD, di certo lascia scoperto il fianco alle comprensibili perplessità.

Anche in vista dell’arrivo di Pikmin 4 (questione di settimane) questo franchise meriterebbe di essere riscoperto e rivalutato, visto che anche tra i fan Nintendo non è esattamente la serie più popolare per via della sua... “stranezza”.

Si poteva fare di più con questa riproposizione, bisogna ammetterlo, anche perché dal punto di vista del gameplay è un videogioco che ancora oggi è in grado di insegnare qualcosa. Tuttavia, se non avete mai avuto modo di conoscere il Capitano Olimar e le sue creaturine fedeli e operose, questo è chiaramente il miglior modo per farlo.

Soprattutto adesso, nel momento in cui i videogiochi vengono concepiti fin dalla fase di design come esperienze ipertrofiche, che costringono a rimanere o tornare con battle pass e DLC, scoprire com'erano i videogiochi di vent'anni fa può aiutarvi.

Videogiochi compatti, concentrati intorno a un'idea che viene sviluppata in diramazioni che hanno l'obiettivo di sorprendere i giocatori per restituire un'esperienza difficilmente replicabile.

Non tanto perché i videogiochi di una volta erano migliori. Non è una questione di nostalgia, ma di avere degli strumenti per capire ciò che di bello offre oggi l'industria videoludica, con il filtro di un periodo storico in cui erano comunque produzioni che dovevano essere vendute e servivano a pagare degli stipendi – ma che non tentavano in alcun modo di allungare le mani sui portafogli e sul tempo dei giocatori.

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