Il single player è morto, viva il single player!

Il multiplayer sta prendendo sempre più piede, tra free-to-play e GaaS: i giochi in single player sono a rischio estinzione?

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a cura di Marcello Paolillo

Senior Staff Writer

Da molti anni a questa parte di discute della crescita del videogioco come “medium”. Vale a dire non solo un passatempo in grado di muovere svariate decine di miliardi di dollari, bensì un vero e proprio mezzo capace di scomodare parole come “arte” o “poesia”. Dopotutto, sono più di vent'anni – pressappoco, in concomitanza con l'avvento della prima PlayStation a 32-bit – che il videogame ha abbandonato l'etichetta di giocattolo rivolto a un pubblico di giovanissimi, trovando terreno fertile in tutta una sequela di titoli ad alto tasso artistico e produttivo, complice anche la capacità di ricreare mondi verosimili grazie al 3D (una caratteristica ritenuta impensabile nel secolo scorso, nonostante i timidi tentativi).

In epoca più recente, con l'avvento dei giochi online e multiplayer, pubblico e sviluppatori hanno annusato la possibilità di ingigantire un concetto prima relegato alla sola possibilità di schiaffeggiare (virtualmente, si intende) un amico in split-screen sulla stessa TV a tubo catodico, dando quindi un enorme vantaggio in termini produttivi e ludici. Basti pensare a giochi come Quake III Arena, forse il primo – vero – esperimento riuscito nel campo del multiplayer online, seguito in coda da Unreal Tournament.

Questo perché i titoli multiplayer hanno di base un grande vantaggio: si tratta di fatto di giochi potenzialmente infiniti, o quantomeno monetizzabili per un periodo di tempo lunghissimo. Nell'ultimo decennio, i battle royale hanno dimostrato a chiare lettere come questo genere di giochi può (e deve) diventare alla stregua di un “servizio” persistente, grazie al quale l'utente pagante gioca avendo in cambio contenuti a cadenza regolare.

Cicli di vita (o meglio, stagioni) che grazie a una certa costanza permettono a case di sviluppo e community di instaurare un rapporto di reciproco beneficio, in quanto se un singolo gioco può incassare svariati milioni di dollari in un lasso temporale decisamente più lungo rispetto a un gioco dotato “solo” di una campagna single player, Vien da sé che a tremare sono tutti quei giochi che, arrivati ai titoli di coda, esauriscono la loro offerta. Un gioco come Fortnite arriva a incassare oltre tremila euro al minuto (via MusicMagpie), grazie al supporto di una community composta da centinaia di migliaia di giocatori ogni giorno, disposti a spendere soldi (reali) per comprare skin, oggetti e orpelli di vario tipo per personalizzare il proprio personaggio.

Ma non solo: giochi come Call of Duty: Warzone di Activision Blizzard hanno dimostrato che la formula dei battle royale funziona anche allontanandosi dal mercato dei cosiddetti casual gamer, toccando franchise di un certo livello che da anni hanno abbracciato la filosofia del multiplayer come punta di lancia della loro esperienza di gioco. O ancora, un gioco come Destiny e relativo sequel, in grado di dare una spinta considerevole al genere dei GaaS su console (i game as a service, spesso costola dei free-to-play), ovvero titoli in cui i contenuti vengono forniti ai giocatori in maniera continuativa e periodica (altri esempi particolarmente illustri sono lo sfortunato Anthem di Electronic Arts e BioWare oppure il più recente Marvel's Avengers, di Square Enix e Crystal Dynamics).

Una cosa non esclude l'altra

A fronte di una nuova generazione di videogiochi in procinto di affacciarsi sul mercato grazie all'avvento di PS5 e Xbox Series X|S, da poco disponibili alla vendita (nonostante i ben noti problemi legati alla mancanza di scorte nei negozi in questi primi mesi dal debutto), dobbiamo quindi aspettarci che nei prossimi anni sviluppatori e produttori optino per un abbandono sistematico di esperienze “solitarie”, a favore di titoli ad ampio spettro come – per l'appunto – titoli multigiocatore, battle royale o GaaS? La risposta è una e una soltanto: assolutamente no.

Non si tratta di usare una sfera di cristallo, improvvisandosi novelli Nostradamus del videoludo, bensì osservare anche l'altra faccia della medaglia (e del mercato). In primis, Sony Interactive: da anni PlayStation punta molto (moltissimo) ai titoli per singolo giocatore. Anzi, potremmo dire che con il passare delle generazioni – sino anche alla neonata PS5 – produzioni come The Last of Us Parte II, la saga di Uncharted, God of War, Ghost of Tsushima o anche Horizon: Zero Dawn, hanno dimostrato la volontà della compagnia giapponese a spingere il piede sull'acceleratore del single player nudo e crudo.

Certo, alcuni franchise nati come esperienze per giocatore solitario sono state spesso seguite da una parentesi multiplayer (leggasi, Ghost of Tsushima: Legends o anche la presunta modalità online per The Last of Us Parte II, ancora avvolta nel mistero), ma se è altrettanto vero che l'eccezione conferma la regola, potete stare assolutamente certi che le classiche esperienze in solitaria non spariranno di certo.

A dicembre un leak sembrava proprio ribadire con forza la volontà di Sony a non abbandonare in alcun modo il mercato del gioco per utente singolo (via Vice), essendo la compagnia del tutto intenzionata a continuare a produrre titoli single player. Non si tratta quindi di una coincidenza se giochi come Horizon: Forbidden West, God of War: Ragnarok (titolo provvisorio) e il prossimo – non ancora annunciato ufficialmente – progetto targato Naughty Dog, sono in cima alla lista dei desideri di tutti i possessori di console PlayStation.

Un'altra grande software house che sa bene come farci vivere grandiose esperienze dal respiro solitario, Rockstar Games, ha rimarcato (via GQ) che il successo di GTA V e dell'altrettanto assuefacente Red Dead Redemption 2 non li farà desistere in alcun modo dall'abbandonare una struttura story-driven nel loro gioco, con la promessa di continuare a proporre esperienze single player ad ampio respiro. Certo, la crescita sempre maggiore su esperienze online come GTA Online e Red Dead Online, dimostra come la volontà di Rockstar e Take Two sia quella di coinvolgere i giocatori mese dopo mese (con nuovi contenuti multiplayer), ma ciò non rappresenta né rappresenterà in alcun modo un abbandono del comparto per giocatore singolo, che continuerà quindi a godere di ottima salute.

A questo punto, lascio spazio a una considerazione che definirei fondamentale: se in tempi non sospetti ho personalmente avuto modo di spiegare come nel 2020 il videogioco si è dimostrato un salvavita in moltissime occasioni, grazie alla sua capacità di farci evadere in un momento storico in cui gli unici viaggi sono quasi ed esclusivamente quelli mentali, la volontà di raccontare grandi storie, farci vivere straordinarie avventure e, più in generale, emozionarci come solo il medium videoludico sa fare, non verrà sicuramente meno in questo anno - il 2021 - che si prospetta essere altrettanto ricco di sfide per la società contemporanea (e per l'industry).

Privarci di personaggi memorabili e di odissee dal sapore mitico, in mondi in cui solo la fantasia può arrivare, sarebbe controproducente sia per gli stessi studi di sviluppo, sia per l'utenza che gioca, pad alla mano. E se il gioco online (e tutto ciò che comporta) rappresenta in ogni caso una fetta considerevole del mercato, potete stare altrettanto certi che ciò non porterà alla scomparsa di esperienze come Cyberpunk 2077. Poiché il loro successo – discussioni e timori a parte – ne è sempre e comunque una prova inoppugnabile.

Cover artwork by Iconic Nephilim

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