Era il 1954 quando la casa editrice britannica Allen & Unwin pubblicò per la prima volta Il Signore degli Anelli. Da noi sarebbe arrivata solo sedici anni dopo, ma nel frattempo l’opera magna di J. R. R. Tolkien si era già scavata un posto immortale nella letteratura, tanto che è di fatto inutile stare a rimarcarlo.
La Terra di Mezzo ha trovato la prosperità nel mondo dell’audiovisivo grazie poi a Peter Jackson e la sua trilogia cinematografica, di cui la serie di Amazon Gli Anelli del Potere (sul nostro sito gemello NoSpoiler tutti i dettagli) è solo l’esponente più recente (se volete vederla, qui trovate l’abbonamento a Prime).
E dove non è arrivato il cinema, ecco che intervengono i videogiochi: oggi vogliamo indagare e ricostruire la lunga, tortuosa e un po’ bizzarra storia del legendarium di Tolkien nel mondo videoludico.
- Prima era (1981-1994)
- Quando nessuno credeva in Peter Jackson (1995-2000)
- Seconda era (1999-2003)
- Spettacolarizzazione e favole (2003)
- Strategici e storie parallele (2004-2006)
- L'epilogo con EA (2007-2009)
- Terza era (2010-2012)
- LEGO e Monolith (2013-2017)
- Quarta era (2018-oggi)
- Conclusione
Prima Era: quando l’Anello non c’era… pur essendoci già (1981-1994)
Probabilmente se ne ricorderanno solo i lettori più attempati, ma i primi tentativi di sviluppare videogiochi ambientati nella Terra di Mezzo risalgono ai primi anni Ottanta. Protagonista di questa prima ondata fu lo sviluppatore australiano Melbourne House, che scrisse e pubblicò una serie di avventure testuali per PC basate sia su Lo Hobbit che su Il Signore degli Anelli.
Il lavoro andò avanti fino alla fine del decennio, e ne va riconosciuto il merito di aver effettivamente concluso la storia proprio nel 1989. Venne tra l’altro prodotto anche uno spin-off strategico in tempo reale dal titolo War in Middle Earth.
Nel decennio successivo le cose si fecero un po’ più caotiche: più editori e publisher tentarono la loro visione dell’epica di Tolkien. Tra queste ricordiamo Konami (J.R.R. Tolkien’s Riders of Rohan, 1991) ma soprattutto Interplay, che collaborando con Electronic Arts riuscì a imbastire una sorta Zelda-like ad ambientazione Terra di Mezzo (J.R.R. Tolkien’s The Lord of the Rings e The Two Towers, del 1991 e 1992 rispettivamente).
Malgrado l’accoglienza tutto sommato positiva, nessuno di questi prodotti riuscì però a completare la storia. Interplay infatti non riuscì a produrre il relativo adattamento de Il Ritorno del Re, un destino se vogliamo simile ad altri adattamenti audiovisivi dell’opera di Tolkien (uno per tutti, il film d’animazione di Ralph Bakshi).
Tale battuta d’arresto fece sì che Il Signore degli Anelli non ricevesse altre trasposizioni videoludiche per tutta la seconda metà degli anni Novanta.
Tuttavia, proprio come l’Unico di cui racconta, Il Signore degli Anelli continuò a scavare nelle coscienze dei creativi videoludici e si rese responsabile di più di un’ispirazione. Una delle più famose è quella secondo cui Rick Dyer, allora presidente dell’Advanced Microcomputer Systems (AMS), abbia avuto dalla lettura de Il Signore degli Anelli lo stimolo per abbozzare quello che, grazie alla sua successiva collaborazione con Don Bluth, sarebbe diventato il celeberrimo Dragon’s Lair.
Quando nessuno credeva al Signore degli Anelli di Peter Jackson (1995-2000)
Il mondo di Tolkien arrivò quindi agli anni Duemila circondato da grosse nuvole di dubbio. È un momento storico tra l’altro molto incerto: Peter Jackson stava realizzando la trilogia cinematografica, con il primo film (La Compagnia dell’Anello) che sarebbe stato di lì a poco distribuito.
Jackson alternava il suo lavoro da regista ai litigi con i produttori, e la traballante situazione finanziaria della New Line Cinema fecero crescere la paura che anche questo tentativo potesse risolversi in un ennesimo fallimento.
Ugualmente, per il marketing tutto Il Signore degli Anelli appariva di difficile collocazione anche a livello di target. Perciò, nei primi tempi si ripiegò verso una comunicazione e un merchandise che potessero prima di tutto attirare le fasce appunto più giovani: qualcuno si ricorderà come in quegli anni fossero comparsi nei negozi di giocattoli action-figure rappresentanti Gandalf, Aragorn, Legolas o uno dei Nazgûl a cavallo, oppure che i reparti di cancelleria dei supermercati si fossero popolati di quaderni con sopra il povero Frodo mentre riceve Pungolo.
Questi esempi potranno far sorridere molti lettori, ma li abbiamo riportati perché descrivono bene i problemi che c’erano ai tempi in merito alla “vendibilità” del fantasy.
Neanche il passato aiutava: fino a quel momento tale genere cinematografico aveva avuto come destinatari soprattutto bambini, talvolta senza risparmiarsi in tendenze anche surreali (basta pensare a Willow o al fiabesco Legend); non erano però mancati sapori di epicità che riuscivano ad attirare anche adolescenti e giovani adulti, come successo prima con Conan il Barbaro e poi con DragonHeart.
Molte di queste produzioni peraltro condividevano persino gli artefici: o era la premiata ditta Lucas-Spielberg oppure il celebre produttore Dino De Laurentiis con sua figlia Raffaella.
Però, erano tutte produzioni dai costi relativamente modesti: quando andava bene, si arrivava a metà di un blockbuster. Il fantasy appariva ancora come un genere chiuso, dominato da figure chiave ben definite: non c’erano quindi prove che un film fantasy ad alto budget potesse effettivamente attecchire presso un pubblico trasversale.
Seconda Era: la prosperità di EA (1999-2003)
Se già il merchandise più “semplice” era un problema, con i videogiochi era ancora peggio: erano un medium troppo costoso e impegnativo su cui scommettere. Quando poi La Compagnia dell’Anello venne distribuito nel 2001 il tavolo si ribaltò: il film di Jackson non si rivolgeva a un pubblico infantile, e il videogioco divenne mezzo prediletto per far breccia.
Ne venne fuori un duello per accaparrarsi i diritti di adattamento videoludico, e i due sfidanti si chiamavano Electronic Arts e Vivendi/Sierra. La contesa si risolse (è proprio il caso di dirlo) a fil di spada: Vivendi concluse un accordo quasi decennale per trasporre in videogioco le opere letterarie di Tolkien; EA invece ottenne invece di adattare le opere cinematografiche della New Line.
Ecco quindi che, a inizio 2002, Vivendi e Sierra pubblicarono Il Signore degli Anelli La Compagnia dell’Anello, un videogioco d’azione con elementi RPG ripreso direttamente dalle pagine del libro.
Obbligato per legge a non poter utilizzare nulla di quanto fatto da Peter Jackson, il gioco di Surreal Software era un adattamento più fedele e approfondito della prima parte dell’opera, proponendo al giocatore di impersonare Frodo, Gandalf e Aragorn.
Trainato dalla contingenza storica favorevole e dalla sua partnership con la Tolkien Enterprises, il gioco vide la luce su PlayStation 2, Xbox e Game Boy Advance arrivando a piazzare un bel milione di copie.
Tuttavia EA stava per giocare la sua carta vincente: nell’autunno dello stesso anno pubblicò il suo Il Signore degli Anelli: Le Due Torri. Sviluppato con la collaborazione diretta della New Line e del cast, si impose come un picchiaduro a scorrimento altamente spettacolare, in cui era possibile impersonare un eroe a scelta tra Aragorn, Legolas e Gimli lungo gli scontri salienti sia del primo che del secondo film.
Di quest’ultimo il gioco includeva anche spezzoni inediti (poi finiti nelle edizioni estese). È rimasto poi famoso l’aneddoto che ha visto Viggo Mortensen, l’interprete di Aragorn, non solo riprendere il proprio ruolo, ma anche essersi prestato personalmente nel ricreare le mosse che il suo personaggio avrebbe utilizzato nel gioco.
Con una mossa un po’ spregiudicata ma efficace, un trailer del titolo venne persino inserito nei contenuti speciali delle edizioni home video dei film.
Questo tie-in di Le Due Torri è ricordato ancora oggi e ottenne un successo clamoroso, venendo quattro volte tanto il suo concorrente della Vivendi-Sierra. Questi ultimi riuscirono a sparare gli ultimi colpi l’anno successivo, prima pubblicando lo strategico La Guerra dell’Anello e poi, a trilogia cinematografica quasi conclusa, il tiepido e più favolistico Lo Hobbit.
Il Signore degli Anelli tra spettacolarizzazione e favole (2003)
Con l’alleanza Vivendi-Sierra fattasi forzosamente da parte, EA ebbe campo libero per sfruttare estensivamente la sudata licenza de Il Signore degli Anelli. Come già accennato, nel 2003 venne pubblicato il tie-in de Il Ritorno del Re.
Nonostante le inevitabili semplificazioni a livello di trama e narrazione, il gioco portava all’estremo quanto già fatto ne Le Due Torri.
Si trattava di un piatto davvero ricco, dal multigiocatore cooperativo alla possibilità di impersonare tutta la Compagnia grazie alla campagna divisa in tre rami (via del Re, via dello Stregone e via dell’Hobbit) e la voce narrante di Gandalf a fare da collante.
EA, infatti, coinvolse di nuovo tutto il cast del film originale, impresa che in parte riuscì anche con la versione italiana.
Per quanto, per forza di cose, non avesse il medesimo impatto del precedente tie-in, Il Ritorno del Re fu un altro gran successo, che andò vistosamente in contrasto con i risultati modesti del già citato Lo Hobbit di Sierra.
Quest’ultimo era un platform molto fedele al libro, adattato cercando di trasporre il feeling fiabesco delle pagine originali (con tanto di voce narrante molto “favola della buona notte”).
Nonostante fosse per forza di cose un gioco di assai meno pretese rispetto ai colossi di EA, molti sono concordi a considerare che fu anche un po’ troppo sottovalutato, e ne ricordano con nostalgia la piacevolissima colonna sonora.
Per motivi di marketing il gioco fu sottotitolato “Il Prologo al Signore degli Anelli”.
Strategici e storie parallele (2004-2006)
EA nel frattempo andava avanti a spron battuto: la storia di Frodo e Compagnia si chiuse al cinema con l’omonima pellicola (ecco su Amazon la trilogia completa e rimasterizzata in Blu-Ray), quindi il publisher si mise a lavorare sui fianchi.
Ad originarsi furono due videogiochi mai tentati: il primo si chiamava Il Signore degli Anelli: La Terza Era e il secondo La Battaglia per la Terra di Mezzo.
Costruito sul motore grafico del precedente gioco, La Terza Era raccontava la storia originale di una compagnia “parallela” a quella dell’Anello, inserita in una struttura da videogioco di ruolo direttamente ispirata (per non dire scopiazzata) da Final Fantasy X.
Pur se realizzato con criterio, La Terza Era venne messo un po’ da parte, essendo visto come un tentativo un po’ troppo sfacciato di spremere un brand già molto sfruttato.
Su Game Boy Advance il gioco assunse i tratti del tattico a turni su griglia, riutilizzando anche qui una struttura già impiegata per Il Ritorno del Re su medesima piattaforma.
Andò meglio con l’altro candidato: uscito nel 2004, La Battaglia per la Terra di Mezzo era un bello strategico in tempo reale costruito sul motore di Command & Conquer Generals, e permetteva di rivivere tutta la trilogia sia dalla parte del bene che di quella del male, inscenando battaglie di scala considerevole (seppur non paragonabile ai contemporanei Total War).
Il successo però fu tale che due anni dopo ne venne addirittura pubblicato un seguito non derivato (cosa rara per un tie-in), stavolta incentrato sulla guerra nella parte settentrionale della Terra di Mezzo e con nuove fazioni come Nani, Elfi e persino un cameo di Tom Bombadil.
Fine di un’EA (2007-2009)
Per tutta la durata del suo accordo, EA non smise praticamente mai di lavorare sulle opere derivate de Il Signore degli Anelli, e soprattutto di adottare un estensivo approccio multipiattaforma.
Dove però Sierra aveva fallito, inaspettatamente qualcun altro riuscì: nel 2005, Turbine Inc. ottenne i diritti per produrre MMORPG ambientati nell’universo di Tolkien, cosa che portò alla creazione di The Lord of The Rings Online. Nonostante la concorrenza, questa Terra di Mezzo persistente sarebbe durata molti anni (l’ultima espansione risale al 2013).
Dal canto suo EA non fu altrettanto fortunata: dopo che il progetto di un RPG a mondo aperto si arenò (si sarebbe dovuto chiamare The Lord of the Rings: The White Council), ebbe come consolazione l’acquisto delle licenze anche per le opere letterarie di Tolkien.
Tuttavia Electronic Arts non riuscì a scrollarsi di dosso il ricordo della fatica fatta per i diritti e l’impulso a capitalizzare il più possibile. Questo si tradusse nell’usare più volte gli stessi concept e gli stessi toni epici, non riuscendo a vedere (o non potendo) che il pubblico stava crescendo e non si sarebbe accontentato all’infinito della stessa minestra.
Dopo il Game Boy Advance, la formula “tactics” venne riutilizzata anche su PlayStation Portable (Il Signore degli Anelli Tactics, 2006), ma in quel momento si tentò un’altra strada: rilanciato anche Star Wars Battlefront grazie alla recente chiusura al cinema della trilogia-prequel, nacque l’idea di traslare la struttura dei Battlefront alla Guerra dell’Anello.
Il risultato arrivò nel 2009 su settima generazione e titolato Il Signore degli Anelli: La Conquista. Spostata l’attenzione dai grandi eroi ai soldati semplici, La Conquista avrebbe dovuto essere un titolo ambizioso che tuttavia fu soffocato da un comparto tecnico insufficiente e da vistose forzature strutturali, che si tradussero in un generale disappunto che finì con l’accompagnare gli ultimi anni di EA con la licenza.
Terza Era: l’arrivo di Warner Bros (2010-2012)
Ecco quindi che, alla fine degli anni Duemila, il tavolo si ribaltò una seconda volta: ad entrare in scena fu Warner Bros. Games, publisher ambizioso che si stava spianando la strada grazie a Batman Arkham Asylum e agli ex-Midway, al lavoro su un nuovo Mortal Kombat (il futuro reboot del 2011).
La Warner fece “cappotto” accaparrandosi i diritti sia dei film che dei libri. Nonostante l’inizio strombazzante, solo a cose fatte l’editore si accorse che l’universo tolkeniano è uno dei più difficili con cui avere a che fare, e che sarebbero stati necessari più videogiochi prima di poter tirare fuori un’autentica hit.
Il loro primo tentativo ha data 2010 e si chiama L’Avventura di Aragorn. Parliamo di un action-adventure senza molte pretese, che per la prima volta tentò di raccontare la storia dell’Anello con un’estetica più leggera e cartoonesca. L’espediente di contesto adottato fu quello di Sam Gamgee che raccontava ai figli la sua avventura passata.
Seguendo il solco tracciato da EA, WB Games decise di pubblicare L’Avventura di Aragorn su un nutrito numero di piattaforme: se le versioni per PS3 e Wii erano di fondo uguali, su PlayStation 2, Nintendo DS e PSP il gioco si reinventava come piccolo clone di Diablo.
WB tra l’altro convinse Sean Astin a riprendere il suo ruolo di Sam (lo stesso accadde anche in Italia per il suo doppiatore Massimiliano Alto).
Il gioco tuttavia non fu accolto in maniera entusiastica: a fronte del buon tentativo di voler riparare la storia dell’Anello in maniera più family-friendly, L’Avventura di Aragorn era anche un videogioco troppo semplicistico e oltretutto con non pochi problemi tecnici (soprattutto su PS3 e Wii).
Al netto delle recensioni generalmente medio-basse, l’esordio di WB Games nella Terra di Mezzo già lasciava trasparire una certa cura soprattutto a livello contestuale: i figli di Sam (Elanor e Frodo Gamgee, tra l’altro impersonabili in multigiocatore) sono autentici, e il fatto che Sam racconti la storia mentre attendono la visita ufficiale di Aragorn-Re Elessar nella Contea è un fatto “ufficiale” della cronologia tolkeniana (accade nell’anno 1427 del Calendario della Contea, ovvero 6 anni dopo la partenza di Frodo).
In pieno contrasto semantico, l’anno dopo WB Games pubblicò Il Signore degli Anelli: La Guerra del Nord. In maniera simile all’ormai vecchio La Terza Era, si trattava di un’altra storia parallela con compagnia multirazziale, spedita da Aragorn (mentre aspettava gli Hobbit a Brea) nella parte settentrionale della Terra di Mezzo.
Costruito come un action-RPG con elementi da hack ’n slash, per questo gioco i maggiori pregi erano quello di collocarsi in maniera sensata nella cronologia (di nuovo, poter prendere sia dai film che dai libri aiutò non poco) e di cercare un’atmosfera più grigia, dark e truculenta, traendo non poca ispirazione dall’allora recente primo Dragon Age.
Lanciato con tutti i crismi, neanche questo secondo tentativo ottenne entusiasmo: La Guerra nel Nord era meglio de L’Avventura di Aragorn, ma allo stesso tempo non aveva personalità e non osava su nulla o quasi, piagato anche da ripetitività di fondo e una tecnica zoppicante.
Un mattoncino fortunato e la sfida di Monolith (2013-2017)
Ormai era chiaro a tutti che WB stava faticando con Il Signore degli Anelli; ma dopo due bocconi amari la sorte riprese a sorridere. A fine 2012, dopo una travagliatissima produzione, venne distribuito al cinema il primo capitolo della trilogia di Lo Hobbit.
La Warner quindi poté finalmente unire i suoi due settori e, grazie alla collaborazione con Traveller’s Tales, arrivare al suo primo traguardo: LEGO Il Signore degli Anelli.
Come da titolo, il gioco traslava la struttura caratteristica dei videogiochi LEGO all’interno della Terra di Mezzo, riportando in vita l’intera trilogia. Diviso adeguatamente tra livelli stagni (cinematografici) e una riproduzione-bonsai liberamente esplorabile, il gioco Traveller’s Tales aveva la sua forza non solo nelle scene di massa e nella fedelissima ricostruzione, ma anche e soprattutto per la sua capacità di inframmezzare la storia con una moltitudine di gag visive e slapstick, senza tuttavia che queste andassero a invadere la serietà e la compostezza degli avvenimenti narrati (le battute furono catturate direttamente dalle pellicole).
Uscito a inizio 2013, LEGO Il Signore degli Anelli ottenne recensioni molto positive e nel primo periodo andò letteralmente a ruba, segnando di fatto il primo risultato in positivo per Warner su questa proprietà intellettuale.
Un risultato che però si sarebbe ripetuto presto: lo sviluppatore Monolith Production, dopo aver raccolto molti veterani dell’industria con in curriculum molte produzioni di successo, pubblicò nel 2014 La Terra di Mezzo: l’Ombra di Mordor.
Superata l’iniziale sfiducia che lo vedeva solo come una copia/riciclo di meccaniche di altri titoli di successo, il lavoro di Monolith si presentò come un titolo competente, coinvolgente e particolarmente ben inserito nel legendarium tolkeniano.
Monolith, infatti, si dotò di un vero e proprio dream-team, dal designer Michael de Plater (con in curriculum giochi come Rome: Total War e Tom Clancy’s EndWar) allo sceneggiatore Christian Cantamessa (autore del primo Red Dead Redemption).
Ciò assicurò una storia e un contesto perfettamente inseriti nel lasso di tempo tra Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli, raccontando la storia di Talion, ranger di Gondor alla ricerca di vendetta per la morte della sua famiglia e assistito dallo spirito di Celebrimbor, quest'ultimo personaggio importantissimo nella loro tolkeniana. I
l game design fece la sua fortuna sia nella delicata commistione di meccaniche sia nel Nemesis System, che permetteva a Talion di indebolire dall’interno gli eserciti di Sauron mentre è in cerca dell’assassino della sua famiglia.
Lo sforzo di L’Ombra di Mordor (eccolo su Amazon in edizione GOTY) fu premiato da un grande successo: solo su PlayStation 4 il titolo arrivò a quasi tre milioni di copie.
Rimessi a lavoro su un sequel, nell’autunno 2017 Monolith pubblicò il sequel L’Ombra della Guerra, che proseguiva la storia e fu accolto di nuovo in maniera positiva. Il gioco rappresentò adeguatamente l’imperativo di ogni sequel di essere bigger and better (più grande e migliore), ma venne anche criticato per il fatto che alla fine fosse più interessante il contesto che la trama e per la presenza di microtransazioni.
Ugualmente, qualche anno prima WB Games aveva fatto un altro passo falso: nel 2014, in occasione della trilogia di Lo Hobbit in via di conclusione, era stato distribuito LEGO Lo Hobbit.
Per quanto ancora sul pezzo per quanto riguarda la trasposizione e l’umorismo (ulteriormente splendente grazie all’allora neonata ottava generazione), ricevette anche critiche per aver portato sullo schermo solo i primi due film (Un viaggio inaspettato e La Desolazione di Smaug).
Nonostante vi fossero annunci di portare anche il terzo film (come contenuto scaricabile o direttamente come gioco a parte) alla fine non se ne fece nulla e LEGO Lo Hobbit rimase quindi “monco”.
Quarta Era: un futuro incerto (2018-oggi)
Dopo L’Ombra della Guerra, i videogiochi ambientati nella Terra di Mezzo si sono un po’ diradati. Questo perché la maggior parte dell’attenzione in quegli anni si è dirottata su Amazon e la sua ambiziosissima Gli Anelli del Potere, in streaming proprio in questi giorni.
Lo sforzo, in questo senso, era partito proprio nel 2017, dopo una dura lotta da parte di Jeff Bezos per assicurarsi i diritti per poter lavorare con la sua azienda sul franchise (si parla anche di un MMO cancellato).
La licenza delle opere di Tolkien, gestita dalla Middle-Earth Enterprises (nota una volta come Tolkien Enterprises), è stata di recente al centro di ulteriori cambi di proprietà, e i diritti videoludici sono attualmente un po’ in bilico.
Il videogioco a prendersi i riflettori è stato Lord of the Rings: Gollum, un adventure-stealth che dovrebbe raccontare quanto fatto da Gollum nel periodo di tempo compreso tra la sua sfida con Bilbo e il suo incontrare (e seguire di nascosto) la Compagnia dell’Anello.
Oltre a preannunciarsi come una nuova storia originale accuratamente inserita all’interno del canone tolkeniano, una delle caratteristiche del gioco sarà quella di dare il libero arbitrio al giocatore, che dovrà scegliere quale delle due personalità del protagonista (il cattivo Gollum o il buono Sméagol) assecondare.
Attualmente non abbiamo moltissime altre informazioni su questo videogioco sviluppato dalla compagnia tedesca Daedalic. Inizialmente previsto per il 1 settembre 2022, Gollum è stato ufficialmente rinviato lo scorso febbraio, e al momento non c’è ancora una data precisa (il comunicato ufficiale parlava di “qualche mese”).
Un altro prodotto, stavolta realizzato con la collaborazione della Weta Workshop, è stato annunciato poco tempo fa.
Conclusione: una relazione complicata
Siamo arrivati alla fine di questo lunghissimo viaggio. Nel corso di più di quarant’anni, Il Signore degli Anelli e più in generale il legendarium tolkeniano ha ispirato innumerevoli sviluppatori e altrettanto innumerevoli giocatori, spingendoli a creare la propria visione della Terra di Mezzo.
Un percorso affascinante ma anche lungo e un po’ contorto, ma che dimostra quanta influenza questo fantasy abbia e avrà ancora nelle menti di tutti i videogiocatori.
Se appunto l’ispirazione non si discute, un altro dei fattori che abbiamo voluto approfondire in queste righe è come il continuo “palleggio” della licenza tra publisher molto differenti tra loro abbia impattato non poco su genere, tono e target dei vari prodotti che ne sono usciti.
La strada più battuta e immediata, complici anche le pellicole, è stata quella dei videogiochi di combattimento altamente spettacolari. Solo con gli anni si è arrivati a riprendere dal libro (e dalla trilogia) le radici più storiche, filosofiche, poetiche e riflessive.
Ancora adesso, il destino de Il Signore degli Anelli e più in generale della Terra di Mezzo nell’audiovisivo è incerto e fumoso. Lo stesso Gollum è stato accolto con un certo scetticismo, tra chi dice che esibisce una grafica non al passo con i tempi e chi ha dei dubbi proprio sul concept di fondo.
La serie di Amazon Gli Anelli del Potere sta invece andando bene, nonostante qualche perplessità sul terzo episodio; sta andando bene anche al netto di diffusi mal di pancia e chi semplicemente si “accontenta” che non abbiano snaturato troppo il materiale originale solo per cercare di riempire il vuoto di potere nella serialità fantasy lasciato da Il Trono di Spade.
Se già in condizioni normali non si può dire con certezza come andrà una determinata produzione, qui è ancora più difficile, complice il fatto che una conclusione naturale, coerente e non artificiosa l’abbiamo tecnicamente già vista nel 2003. Ma siamo certi che l’Anello e la sua storia non smetteranno mai di affascinarci e di andare avanti, reinventandosi nel corso dei decenni e delle epoche, anche nel mondo dei videogiochi.
E noi siamo qui per raccontarlo.