Il seguente articolo potrebbe contenere spoiler su Dragon Ball Super
Dragon Ball Super in Giappone è ampiamente terminato, tanto che gli spettatori nipponici sono già con gli occhi attenti su Dragon Ball Heroes, la serie anime ispirata all’omonimo videogioco arcade che viaggia in maniera non canonica rispetto all’opera di Toriyama. In Italia, però, Super deve ancora mostrare i denti e, soprattutto, la sua parte più avvincente: il Torneo del Potere. Comprendente tutti gli Universi esistenti nell’ecosistema di Dragon Ball sul quale governa sapientemente Zeno, il Torneo aveva semplici regole e requisiti: ogni Universo aveva a disposizione dieci combattenti, scelti da un capitano (nel caso dell’Universo 7 il leader è Gohan, ma la squadra viene scelta da Goku), chiamati a spingere fuori dal ring i loro avversari. L’Universo che riusciva a mantenere almeno un combattente sul ring al termine del tempo stabilito poteva continuare a esistere: tutti gli altri, invece, sarebbero stati cancellati. Nessuno scontro a eliminazione diretta, nessun torneo pensato come il Tenkaichi o i precedenti visti in Super: quello del Potere non escludeva colpi e dava vita a una vera e propria battle royale, per stessa ammissione del Grande Sacerdote. Tale struttura ha permesso delle alleanze inaspettate, come per esempio quella finale che va a risolvere lo scontro contro il temuto Jiren: Goku e Freezer che, dopo tantissime battaglie da avversari, decidono di trascinarsi fuori dal ring insieme con l’avversario dell’Universo 11, dimostratosi il guerriero più forte di tutti. Così facendo la vittoria ricade su C17, rimasto da solo sul ring a osservare lo scontro tra gli altri combattenti: non come un camper, sia chiaro, ma semplicemente rendendosi conto che la sua forza non era al livello di Goku e di Freezer. Una struttura del genere potrebbe essere agilmente replicata in un videogioco, ovviamente contenendo il numero dei combattenti e rivedendo, allo stesso modo, il roster a disposizione. Riprodurre tutti e ottanti i protagonisti del Torneo del Potere sarebbe un lavoro assurdamente enorme, soprattutto perché alcuni di essi nel corso dell’anime non hanno nemmeno avuto una caratterizzazione tanto profonda da permettere agli autori del prossimo videogioco di attingere da qualche indizio.
Riproporre, però, un torneo da circa quaranta componenti, con la possibilità di scegliere anche più volte lo stesso personaggio, rendendo ancor più bilanciata la sfida, potrebbe essere un punto di partenza. Non ci addentriamo nel proporre meccaniche di scelte esclusive, come per esempio accade in Overwatch, perché un sistema “a party” che preveda la presenza di un healer, di un tank e così via non è concepibile in un battle royale nel quale tutti vanno contro tutti. Allo stesso modo potrebbe risultare vincente la scelta di tenere come condizione di vittoria la caduta fuori dal ring, emulando quella meccanica sulla quale Smash Bros. ha praticamente costruito parte del proprio successo. Lo stesso titolo Nintendo, d’altronde, potrebbe essere maestro in questo settore, perché con un alto numero di giocatori, seppur mantenendo una struttura 2D, risulta a tutti gli effetti un battle royale, nonostante la classificazione sia quella del brawler. Pensare, però, di poterci calare nel Torneo del Potere e affrontare una battle royale in una struttura 3D, con un tempo limite di circa mezz’ora – se non di più – con un gameplay prossimo a quello proposto da Budokai Tenkaichi e con una grafica che rispetti lo stile di Dragon Ball (e non come ha fatto Jump Force, per intenderci), potrebbe permetterci di trovarci dinanzi a un esperimento di grandissimo pregio e di grande fedeltà rispetto all’anime. Ovviamente poi da unire ad altre modalità.
Dragon Ball battle royale è chiaramente una supposizione, per adesso, basata sull’ovvietà di un nuovo titolo videoludico in arrivo per l’universo creato da Akira Toriyama. Allo stesso modo la supposizione arriva direttamente dal Torneo del Potere, che ha ricreato ciò che i giapponesi ben conoscono dai tempi di, appunto, Battle Royale, il manga di Koushun Takami pubblicato nel 2000. A noi sembra un’idea che può sicuramente andare a impreziosire un brand che, altrimenti, rischierebbe di proporre un ennesimo picchiaduro di qualità inferiore rispetto a quella di FighterZ, che ha palesemente stabilito un benchmark di altissimo livello.