Le IA aiutano da anni a creare videogiochi, ma non ve ne siete accorti: parola al game designer

L'uso dell'intelligenza artificiale per i videogiochi è un'opportunità o una minaccia? Lo abbiamo chiesto a chi i videogiochi li crea, per capire come vengono utilizzate e che prospettive aprono per il futuro.

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a cura di Stefania Sperandio

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Sembra che, ultimamente più del solito, non possano nascere discussioni o dibattiti senza polarizzazioni. L'ultimo esempio di questo filone di bianco o nero è rappresentato dall'uso delle intelligenze artificiali nel compimento di svariati lavori solitamente riservati all'ingegno umano.

Gli artisti, ad esempio, si stanno facendo sentire per l'utilizzo delle loro immagini da parte di IA che in qualche modo le usano come base e le rielaborano per creare – e sappiamo che anche il mondo dei videogiochi è direttamente interessato dalla questione.

Di recente, gli sviluppatori di High on Life hanno ad esempio riferito di essersi serviti di una IA per realizzare alcuni asset presenti all'interno del gioco, con una soluzione che così ha consentito di risparmiare tempo e risorse da parte degli sviluppatori in carne e ossa, dando comunque un buon risultato.

Una buona idea o una mostruosità? Le intelligenze artificiali prenderanno il sopravvento su tutto quello che si può automatizzare nella creazione di opere come i videogiochi?

Mentre il dibattito imperversava, tra chi accoglieva la notizia come una porta aperta sul futuro e chi veniva accusato di essere il tizio seduto sul carretto trainato dall'asino che imprecava contro l'avvento delle automobili, abbiamo deciso di parlarne direttamente con chi i videogiochi li crea, per capire da quanto le intelligenze artificiali facciano parte dell'industria del gaming e in che modo potrebbero aiutarla o cambiarla.

Ci siamo così seduti a un tavolo virtuale con Matteo Sciutteri (lo trovate anche su Twitter), esperto game designer da circa vent'anni, specializzato sia in videogiochi che in giochi da tavolo e giochi di ruolo.

«Quello che faccio, nello specifico», mi racconta, per presentarsi ai nostri lettori, «è ideare e scrivere le regole del gioco (se è un gioco di azione, per esempio, stabilisco come funziona il sistema di controllo o il sistema di combattimento). Ho lavorato in aziende grandi, medie e piccole e ho sia sviluppato giochi doppia A che piccoli giochi indipendenti. Da dieci anni lavoro come consulente e sviluppatore indie, e attualmente sto collaborando con Bad Seed, un’azienda di Milano, come direttore creativo e lead designer».

Mi confida di essere un patito di Bloodborne e di essere impegnato su Returnal con un amico, in attesa di The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom, per darmi un quadro del suo essere anche un avido videogiocatore.

Personalmente, sarà la curiosità innata a parlare, ma penso che dovreste dare un'occhiata a quello che, da dietro le quinte del nostro medium preferito, Sciutteri ci ha raccontato e alle riflessioni che ha voluto condividere con SpazioGames.it.

IA e videogiochi: cosa fanno e come funzionano

Decido di far cominciare la nostra chiacchierata senza girarci intorno e metto sul tavolo il tema caldo: per molti, l'avvento delle IA nello sviluppo potrebbe segnare un prima e un dopo per l'industria dei videogiochi, come dimostra il grande clamore intorno al caso di High on Life.

Propongo lo spunto a Sciutteri, domandandogli se appoggiarsi a tecnologie di questo tipo sia così diverso rispetto a quelle che già vediamo da tempo senza preoccuparcene nemmeno troppo, come ad esempio la generazione procedurale.

Il game designer ha tanto da dire, sull'argomento, e precisa «c’è un po’ di confusione sull’argomento, temo. Non punto il dito né sugli utenti che si informano poco, né sulla stampa (soprattutto quella generalista) che cavalca l’argomento del giorno senza approfondirlo».

Decide quindi di dare un quadro d'insieme sul fronte delle IA, un po' più profondo «rispetto a 'le IA ci rubano il lavoro'», scherza:

«Partiamo col dire questo: le IA sono strumenti. E sono strumenti che usiamo da anni, ormai, in tantissimi campi. Un’IA è semplicemente un sistema informatico (una serie di algoritmi, istruzioni, calcoli) che serve a simulare un ragionamento di qualche tipo, di solito cercando di riprodurre un pattern umano. Esistono tanti tipi di IA, dalle più complesse alle più semplici.

Quello di cui parlano tutti in questo periodo è un TIPO di IA, chiamata deep learning (in italiano: apprendimento profondo), una branca del machine learning. In sostanza, sono sistemi in grado di processare dati e migliorare le loro prestazioni senza che ci sia un umano a istruirle.

È un concetto complesso, perché quello che si intende non è 'il computer pensa' (non siamo in un film sci-fi) ma è più correttamente un 'il sistema è stato sviluppato per analizzare un tipo di dati e imparare a catalogare queste informazioni in maniera sempre più precisa, per rielaborarle'.

Un esempio molto famoso è il gioco Akinator (sì, quello del genio della lampada che indovina il nome del personaggio a cui pensate) - così sapete cosa andare a 'provare' se volete vedere all’opera un sistema di questo tipo».

In quanto strumenti, mi spiega Sciutteri, in realtà le intelligenze artificiali hanno già utilizzi tra i più svariati da tanto tempo, solo che «'non ci si faceva caso', perché utilizzate in ambienti molto specifici o 'nascoste' dietro icone e interfacce».

Un modo sintetico di dire che le IA sono già tra noi da un bel pezzo, in caso non ce ne fossimo accorti – ed effettivamente il mondo non si è ribaltato per questo. «Prendiamo i software di elaborazione di immagini e una funzione come 'Clicca qui e seleziona automaticamente la persona, eliminando lo sfondo': ecco, quella è una piccola IA».

Ecco perché, secondo Sciutteri, domandarsi cosa porterà l'avvento delle IA nell'ambiente di sviluppo dei videogiochi è in realtà «una domanda che andava posta trent'anni fa, mica adesso». E, a fronte del recente allarmismo, aggiunge:

«Neppure il deep learning è una novità: quando lavoravo in Milestone a giochi di corse, utilizzavamo dei sistemi per fare 'apprendere' alle IA degli avversari le traiettorie migliori da percorrere su un tracciato in base al differente tempo atmosferico o il tipo differente di mezzo guidato (non ho idea se utilizzino ancora sistemi simili, ma immagino di sì).

E neppure il deep learning per la creazione di asset è una novità! Come giustamente citavi tu, sistemi di generazione procedurale esistono da decenni e, alcuni, si basano proprio sul deep learning e possono creare asset partendo da forme primitive (come una sfera o un cubo) o da asset più semplici.

Per cui non credo di possa tracciare una linea e dire 'c’è un prima e un dopo': è un processo sfumato, continuo, che è iniziato praticamente assieme al mondo dei videogiochi stesso (penso a giochi molto vecchi come il primo Elite, per esempio)».

Il punto toccato da Sciutteri mi spinge ancora di più a voler dare ai nostri lettori il quadro più completo possibile. Le IA vengono usate da tempo ma... di cosa potrebbero occuparsi?

Quando gli pongo il quesito, mi cita un esempio che vede molto plausibile per il futuro:

«Una cosa che sono sicuro le IA renderanno più semplice è il texturing dei modelli poligonali e la 'pulizia' della geometria (il processo chiamato retopology, che è lungo e tedioso ed è chiaramente una cosa che un’IA può fare meglio e più velocemente di un grafico).

Questo significa: più modelli in un gioco, o modelli più belli (perché il grafico ha più tempo per lavorare alla produzione del modello 'sporco'), e texture più varie (e probabilmente a risoluzioni più elevate)».

Considerando che i videogiochi puntano sempre di più sul "graficone" (passatemi il termine colloquiale), che da sé rappresenta un selling point davanti a molti potenziali consumatori, non sorprende che i publisher guardino e abbraccino con molto interesse possibilità di questo tipo.

Non a caso, Sciutteri mi fa un esempio che mi rimane impresso: mi dice che non usare le IA, laddove possono aiutare, è come decidere di finire Dark Souls senza usare le armi. Si può fare, se ti vuoi fare del male.

«Quello che mi aspetto accada (e che qualunque addetto ai lavori si aspetta) è che questi strumenti migliorino ancora e vengano integrati nei processi produttivi (nelle pipeline di sviluppo) in ogni modo e a ogni occasione: fare un videogioco è una sfida difficilissima, e ha senso usare tutti gli strumenti disponibili» ragiona con me, il game designer. «Decidere per qualche motivo di non farlo è come decidere di finire Dark Souls senza usare nessuna arma: una scelta da masochisti».

Sciutteri è sicuro (e me lo rimarca più volte) che nessuno sviluppatore sceglierebbe di privarsi di mezzi che possano permettergli di facilitare quel piccolo grande miracolo che è condurre in porto un videogioco:

«Nessuno – e dico nessuno con una sicurezza abbastanza elevata di non poter essere smentito – che fa questo mestiere deciderà mai per scelta di privarsi di uno strumento utile a semplificare le sfide che si devono affrontare per sviluppare e pubblicare un gioco. E i giocatori dovrebbero essere ben lieti di questo: è quello che porta i videogiochi a evolvere.

Se come sviluppatori avessimo deciso di non abbracciare l’evoluzione della tecnologia, a parte essere un ossimoro vivente, saremmo rimasti fermi a Pong. È solo grazie all’evolversi della tecnologia e degli strumenti usati che possiamo dare ai giocatori esperienze sempre migliori.

E le IA sono strumenti come gli altri – tra l’altro, in alcuni casi, neppure tra i più importanti o i più complessi».

Problema di etica o problema di soldi?

Uno dei maggiori punti di discordia relativo alle intelligenze artificiali, a oggi, è il loro utilizzo etico. Molti artisti, ad esempio, segnalano che le IA che elaborano immagini attingono a database che includono anche le loro opere – senza che però gli sia stata concessa la licenza di farlo. Il risultato è che vengono create (rielaborate?) delle opere basandosi su altri lavori senza che gli artisti originali di quei lavori abbiano mai approvato la cosa.

La questione sta sollevando proteste che hanno avuto ampia risonanza sui social, al punto che molti artisti hanno iniziato a caricare nelle loro gallerie online delle immagini di protesta che vorrebbero, con il tempo, mandare in pappa le basi usate dalle IA, storpiando in qualche modo le future "opere" che elaboreranno.

«La questione etica è un argomento interessante. Dividiamola in due», e già solo da questo attacco capisco che Sciutteri ha molto da dirmi.

E infatti prosegue:

«Usare un’IA per produrre asset o contenuti del proprio gioco è una pratica, come dicevamo sopra, diffusa e già ampiamente usata. Ci sono giochi che creano quest in maniera procedurale, con testi scritti da un’IA (Skyrim è un buon esempio). Per cui, da questo punto di vista, non vedo nessun problema etico.

Se i giocatori pensano che ogni singola cosa che finisce in un gioco (soprattutto un gioco AAA che permette centinaia di ore) siano sviluppate 'a mano' – beh… si stanno illudendo. Prendiamo le mappe dei giochi open world: non c’è nessuna possibilità che uno studio abbia tempo e risorse per posare a mano ogni singola pietra o ogni singolo filo d’erba. E, se anche un’azienda avesse tempo e risorse per farlo… sarebbe uno spreco.

È chiaro che ci sono delle priorità, anche nei contenuti. Il tempio antico del boss XYZ è creato a mano, studiato in maniera precisa perché sia esattamente come gli sviluppatori vogliono. La prateria con i cespugli, invece, è creata usando strumenti che la popolano in maniera più o meno casuale, seguendo delle indicazioni di massima (parametri numerici come la distanza minima tra un cespuglio e l’altro)».

Sciutteri rimarca che questo uso delle IA non pone, ovviamente, nessun problema etico: «come non c’è nulla di poco etico quando uno sviluppatore utilizza asset acquistati da librerie generiche». Il riferimento è ad asset realizzati da creatori esterni al team di sviluppo – di diversa natura, dal sonoro al comparto grafico – che no, non sono stati fatti a manina pensando al videogiocatore, ma sono funzionali al loro scopo una volta comprati e messi al loro posto. Loro posto che, se venissero comprati altre dieci volte da altri dieci sviluppatori diversi, magari sarebbe completamente differente.

Mi cita, ad esempio, l'uso che si fa al cinema delle clip audio stock, al punto che un suo gioco – Fall of Light – usa un grido femminile che Sciutteri ha sentito «in almeno tre film e due serie tv». Ma «quello che conta è il risultato complessivo, l’esperienza consegnata nelle mani del giocatore finale. Se quella è soddisfacente, come si è arrivati a quel risultato non deve essere importante».

La questione etica si pone, però, su un altro piano – ossia, il fatto che le IA che elaborano immagini apprendono basandosi su dataset che, come dicevo poco sopra, non sono in qualche modo regolati. Come spiegato da Sciutteri:

«Il caso di High on Life, nello specifico, solleva l’altra parte della questione etica: Midjourney e tutte le IA di generazione di immagini che in questo momento sono sulla bocca di tutti. Queste IA prendono immagini che fanno parte di dataset e le elaborano, 'imparando' come si riproducono elementi di un’immagine (come soggetti, colori, stili). Esistono da tempo, non sono una novità.

Ma le IA deep learning hanno quasi sempre una crescita esponenziale e quindi se cinque mesi fa i risultati di questi sistemi erano un’immagine 'carina ma un po’ astratta' adesso sono capaci di creare dipinti digitali e foto praticamente indistinguibili da quelle create da un artista umano. Quasi: ci sono dettagli che ancora vengono riprodotti in maniera imprecisa, ma come dicevo la crescita è esponenziale – tra qualche mese sarà impossibile notare la differenza».

E questo ci porta al cuore del problema, ossia l'uso dei dataset, a cui si deve l'intero dibattito: «molti di questi sistemi hanno raccolto immagini coperte da copyright o, per lo meno, senza chiedere il permesso agli autori originali». Una cosa che, probabilmente, non è etica al 100%. Ma, in una società come la nostra, sottolinea Sciutteri con una punta di trasparente concretezza, «non c’è problema etico che non si possa risolvere trovando il modo di ricompensare le parti in causa».

Il punto del game designer è che il problema, più che etico, è di natura economica. Il problema, insomma, non è che High on Life sta usando asset generati da una IA, ma che i dataset che ha usato per creare quegli asset non hanno fruttato niente agli artisti delle opere originali buttate nella "mischia":

«Quello che voglio dire è: capisco la rabbia e le proteste degli artisti le cui immagini, probabilmente, sono finite in questi dataset. Ma la maggior parte di chi protesta sembra farne una questione di principio quando, in realtà, quello che probabilmente metterebbe tutti d’accordo è distribuire una fetta dei guadagni di questi sistemi.

A riprova di questo, basta farsi un giro in molti dei thread a riguardo su Twitter: ci sono artisti che scrivono 'il mio nome è stato usato nei prompt di 400 immagini questa settimana… e a me non è arrivato un euro'.

Ripeto: è una lamentela sacrosanta: queste persone vivono vendendo (direttamente o indirettamente) la loro arte e non è giusto che non vengano compensati. Ma non è un problema etico, è un problema economico».

Secondo Sciutteri, essendo il problema di natura economica, appena i sistemi di IA diventeranno più stabili, si troverà il modo di regolamentare la cosa. E il problema "etico" a quel punto sparirà come per magia.

«Quando questi sistemi usciranno dalla fase Beta o diventeranno sistemi chiusi (quindi sistemi venduti ad aziende che li useranno per i loro prodotti, ma non saranno più accessibili al pubblico) e ignoreranno tali proteste con la legislazione internazionale che farà spallucce, oppure diventeranno prodotti aperti al pubblico, con un sistema di monetizzazione simile a Spotify» ragiona con me.

«L’immagine di un artista viene usata come riferimento per la realizzazione di un dipinto digitale? All’artista arriveranno X centesimi ogni volta. E le proteste, magicamente, spariranno» rimarca, per farmi intendere come sia più un problema di spartizione economica che di "paura" per l'avvento delle fredde IA.

Non solo videogiochi: le prospettive delle IA

Abbiamo tutti divorato troppe storie piene di distopie per non domandarci se, al di là della questione "etica" che per Sciutteri si può ridurre alla pecunia, le prospettive future non abbiano però in serbo molto altro – e non solo per il campo dei videogiochi.

Quella vena di preoccupazione per l'ignoto e per la tecnologia che corre tanto veloce, in un certo senso, la condivide anche il game designer, quando mi dice «sono molto preoccupato per l'avvento delle IA, ma non per lo sviluppo dei videogiochi in sé. Per quello credo di essere già stato esaustivo: ci sono già, ci saranno sempre e saranno usate sempre di più».

La preoccupazione di Sciutteri è quella legata alle IA come forza lavoro. In una società come la nostra, dove a quanto pare devi lavorare per mettere il pane sulla tavola e per non dormire in una caverna, avere sistemi automatizzati che fanno in modo credibile dei lavori che richiedevano abitualmente l'ingegno umano potrebbe portare a una sorta di paralisi.

«Ho un’amica che fa la copywriter e si è sentita dire 'per questo progetto non ci servi… vogliamo usare un’IA per scrivere i prossimi pezzi sul nostro prodotto'» mi racconta. «E il suo commento amaro è stato 'hanno ragione: usare quell’IA costa meno, è più veloce e il risultato ormai è comparabile'».

Sciutteri prosegue, citando altri media come esempio:

«Domani questo ragionamento verrà fatto in tantissimi campi. Ieri ho visto un corto scritto, sceneggiato e diretto da un’IA. Gli umani hanno fatto solo la bassa manovalanza (movimento di camera, luci, ecc) – tutti processi che sono altamente automatizzatili.

Sai quando la gente dice 'ma tutti i film Marvel sembrano scritti su un template sempre uguale!'. Ecco: un’IA ci mette davvero poco a imparare quel template e a scrivere un film Marvel. E Disney ha di sicuro i soldi e i mezzi per automatizzare i processi produttivi più ripetitivi. Vedrai che tra qualche anno ci sarà il primo film fatto interamente da IA e robot».

Secondo Sciutteri, questo percorso che permetterà alle IA di creare perfino i libri partendo da un canovaccio (pensiamo alla popolarità di ChatGPTndr) e ai servizi on demand di creare serie TV su richiesta (quanti episodi? Di che genere? In che stile?), ci spingerà alla nascita dell'homo ludens. Che idealmente non è male – saremo concentrati sulle attività ricreative, di qualsiasi natura esse siano. Ma all'atto pratico, in una società dove senza lavorare non si sussiste, ci possono essere inquietanti criticità.

«I problemi delle epoche precedenti erano simili ai problemi delle epoche che le avevano precedute. Magari su scala maggiore (un villaggio che non ha più cibo -> un'intera nazione che non ha più cibo). E, a parte i primi homo sapiens, abbiamo sempre affrontato i problemi creando soluzioni basate su pattern riconosciuti (e il nostro cervello, infatti, si è evoluto per analizzare i pattern)» mi spiega Sciutteri, dal suo punto di vista.

Il discorso ora, invece, è diverso: non abbiamo punti di riferimento per sapere come affrontare i problemi che verranno e questo non ci consente di controllarli. Così, mentre siamo impegnati a domandarci quanto nella creazione di un videogioco dovrebbe o non dovrebbe essere automatizzato, evoluzioni che pensavamo essere lontane decenni ora distano solo anni. Lo scenario è nuovo. Nel bene o nel male.

«Quando finisci in uno scenario nuovo e ignoto (e che non puoi controllare), non hai un pattern a cui appoggiarti per risolvere gli eventuali problemi che nasceranno» conclude Sciutteri. «È un campo tutto nuovo e per questo sia affascinante che spaventoso».

Ma forse più spaventoso, lo precisa anche lui. Sarà per quel senso di incertezza. Sarà perché forse, in fondo in fondo, quando la clessidra corre, quel tizio seduto sul carretto trainato dall'asinello, che guarda con diffidenza le automobili, lo siamo un po' tutti.


In copertina: Link da The Legend of Zelda: Breath of the Wild, secondo una IA.

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