Qualche giorno fa è giunta la notizia che Sifu ha venduto ben 500 mila copie in sole quarantotto ore. Un risultato eccellente per questo titolo indie che si è rivelato una piccola chicca, come si può leggere nella nostra recensione. Nonostante non sia semplice e abbordabile per tutti, il titolo di Sloclap ha saputo conquistare il pubblico grazie a una sapiente fusione di elementi e alla sua struttura solida. Questo gioco è una lettera d’amore ai film di arti marziali, tanto che sembra davvero di viverne uno interattivo.
Oltre a questo affascinante aspetto, un’altra cosa mi ha molto colpito di Sifu, ossia il fatto che il titolo di Sloclap sia una vera e propria evoluzione dei picchiaduro a scorrimento, una sorta di nuova via creata tramite la fusione di alcune idee tratte da altri titoli e innestate perfettamente all’interno del gioco.
Non è la prima volta che, nel mondo videoludico, per provare a intraprendere una nuova strada, si fondono idee appartenenti a generi diversi e proprio per questo il confine tra un genere e un altro diventa sempre più labile. L’esempio di Sifu può dunque insegnare molto sull’evoluzione dei generi nel mondo videoludico e portare a chiederci se questi abbiano ancora senso di esistere come venivano intesi alle loro origini.
Sifu e l'innovazione dei picchiaduro a scorrimento
Sifu è un grande omaggio al mondo dei film di arti marziali, ma non si limita a essere solo questo. Dentro al titolo di Sloclap c’è un’anima che mi ha ricordato tantissimo la struttura dei classici picchiaduro a scorrimento, onnipresenti nelle vecchie sale giochi. Titoli come Double Dragon, Street of Rage o Cadillac & Dinosaurs sono ancora ben impressi nella mente dei videogiocatori "un po' cresciuti" come (purtroppo) chi vi sta scrivendo e questo genere ha avuto in tutti gli anni '90 un’epoca d’oro.
Sfortunatamente questa tipologia di giochi non è riuscita a rinnovarsi nel tempo, nonostante alcuni tentativi poco brillanti. Il passaggio al 3D con titoli come Fighting Force sulla prima PlayStation o il famoso The Bouncer di Square Enix, uno dei primi titoli disponibili per PlayStation 2, non furono assolutamente all’altezza di una evoluzione di questo genere.
Rinnovare una formula di base molto semplice come quella dei picchiaduro a scorrimento non è affatto facile. Complicarla troppo rischia di snaturare l’intenzione originale, mentre lasciarla intatta con pochi miglioramenti, soprattutto se solo estetici, crea invece il rischio di rendere il titolo troppo banale e poco coraggioso, non apportando nessuna reale innovazione.
Per questo motivo c’è bisogno di una via di mezzo che riesca a bilanciare alla perfezione il coraggio di innovare e una non eccessiva compromissione della formula classica. Sifu riesce a centrare benissimo quest’obiettivo.
Nei cinque livelli di Sifu, ridotto ai minimi termini, si fa quello che si faceva nei vecchi beat'em up: si prendono a botte innumerevoli nemici fino a raggiungere il boss di fine livello. Nel bel mezzo non mancano le armi da raccogliere e usare contro i nemici o le mosse speciali, utilizzabili in questo caso con la barra Focus. Lo scheletro è indubbiamente quello di un classico beat’em up anni ‘90, è tutto il resto che poi va ad abbellirlo e rende il titolo quel piccolo gioiello che si è rivelato essere.
Oltre alla direzione artistica incredibile (il livello del museo è una gioia per gli occhi) e alle influenze dei più iconici film di arti marziali, abbiamo anche delle aggiunte originali, come l’innovativo sistema dell’età: nata per spingere il giocatore a migliorare sempre di più la sua performance, questa meccanica riesce da sola a donare una certa rigiocabilità, sostituendo un po’ le sfide per ottenere l’high score in sala giochi.
Oltre a questo, l’avanzamento dell’età è strettamente legato al gameplay, dato che modifica le statistiche di attacco e salute del nostro personaggio e determina anche l’acquisizione di certe abilità che, dopo una certa età raggiunta, saranno impossibili da ottenere. In più troviamo anche delle meccaniche prese in prestito da altri titoli, che si amalgamano perfettamente nel gameplay di Sifu.
La barra della Struttura ha in pratica la stessa funzione della barra della guardia di Sekiro: una volta riempita permetterà di eliminare i nemici indipendentemente da quanta salute resta loro. L’acquisizione delle abilità, la conseguente perdita delle stesse, se non sbloccate completamente, e la morte definitiva in caso del raggiungimento dell’età massima ricordano molto alcune meccaniche da roguelite (ricordate però che Sifu non è affatto un roguelite: a parte alcune meccaniche ha poco a che spartire con questo genere).
La fusione di tutti questi elementi ha trasformato Sifu in un titolo incredibilmente originale, nonostante le basi della sua struttura siano ancorate nel passato, rendendolo moderno e innovativo. Gli sviluppatori di Sloclap hanno fatto degli innesti mirati presi da altri generi in modo da migliorarne uno che da tempo non vedeva una tale rivoluzione. Per fare un parallelismo, è stato come vedere all’opera un grande chef che, da ingredienti all’apparenza poco affini tra loro, è riuscito a tirare fuori un piatto da ristorante stellato.
Guardando al passato, possiamo vedere come la contaminazione tra generi sia da molto tempo ormai uno degli elementi che più ha contribuito all’innovazione nel mondo videoludico. Ad esempio non avremo molti action moderni senza Devil May Cry, che ha fuso meccaniche da picchiaduro agli action adventure, senza contare quanto le meccaniche da RPG siano integrate in sempre più diverse tipologie di giochi.
Anche i soulslike sono una variante degli action RPG che ormai fa genere a sé e vediamo sempre più titoli che riutilizzano in altri contesti le meccaniche caratterizzanti i titoli di From Software. La contaminazione tra generi, quando fatta bene, è sicuramente una spinta importante all’evoluzione nel mondo videoludico, ma è l’unica via possibile per innovare un genere ed evitare che muoia? Ma soprattutto, ha ancora senso parlare di generi nel senso stretto del termine?
L’evoluzione non è fatta da una sola strada
Ci fu un periodo in cui diverse tipologie di titoli iniziarono a sparire principalmente perché molti sviluppatori erano convinti che non attirassero più il pubblico. Oltre ai picchiaduro a scorrimento, per molti anni non si videro più molte avventure grafiche nello stile Lucasarts o RPG classici alla Baldur’s Gate e uscirono molti meno metroidvania. In realtà questa convinzione venne poi sfatata da alcuni progetti, come ad esempio l’ottimo Thimbleweed Park creato dagli storici Ron Gilbert e Gary Winnick e Pillars of Eternity di Obsidian, che grazie a una campagna Kickstarter di successo riuscirono a dimostrare come la voglia dei fan di alcune tipologie di gioco non era mai svanita.
Questi due esempi dimostrano come la convinzione di dover per forza seguire un’unica via per innovare e rivoluzionare un genere fosse molto lontana dalla realtà e dai desideri dei fan. Spesso in passato si è sentito dire che alcuni generi erano ormai morti e sepolti, ma ogni volta queste voci sono state messe a tacere da rinascite che hanno dimostrato quanto bastasse uscire leggermente fuori dagli schemi per rinnovare una determinata tipologia di giochi.
I picchiaduro a scorrimento erano infatti quasi scomparsi, soprattutto durante il passaggio tra il 2D e il 3D; ormai i vecchi titoli bidimensionali sembravano obsoleti e la convinzione era che il futuro fosse nelle tre dimensioni, ma nessuno riuscì a creare qualcosa di convincente proprio perché alla base non c’era una vera volontà di innovare.
Negli ultimi anni però questa linea di pensiero è per fortuna ormai superata e il merito va agli studi indie, che sono spinti anche e soprattutto dalla passione e non ossessivamente dal pensiero delle copie che venderanno. La dimostrazione è il successo di titoli come Dragon’s Crown, Street of Rage 4, River City Girls e molti altri che hanno proposto un buon compromesso tra le radici storiche del genere e l’innovazione, dimostrandosi degli ottimi titoli 2D con delle meccaniche (anche in questo caso spesso fuse con quelle di altri generi) che hanno portato una ventata di aria fresca.
Se paragonati a Sifu, appaiono sicuramente caratterizzati da una struttura più classica, ma il successo del titolo di Sloclap non deve far pensare che l’evoluzione sia una strada con una sola via.
Fortunatamente viviamo in un’epoca videoludica ricca come mai prima d'ora, che sa offrire libertà uniche agli sviluppatori grazie anche al sostegno di molti fan appassionati, come hanno dimostrato varie campagne di crowdfunding del passato. Per questo motivo in futuro c’è posto sia per titoli ispirati a Sifu che a un più classico Teenage Mutant Ninja Turtles: Shredder’s Revenge, dalle atmosfere classiche e un po’ nostalgiche, ma in grado di essere allo stesso tempo fresco e moderno.
Questo discorso è diventato sempre più comune in qualsiasi tipologia di gioco, tanto che a volte anche i cosiddetti tripla A sono influenzati dalle sperimentazioni fatte dagli studi più piccoli. Ormai anche il concetto di genere come assoluto è sempre meno valido.
Dire che Sifu è un picchiaduro a scorrimento non è sbagliato, ma non suona nemmeno corretto per spiegare la complessità del suo sistema. Ci sono sempre più giochi come il titolo di Sloclap difficili da etichettare nel modo giusto, ma il fatto è che non esiste un modo giusto. Le etichette rinchiudono le idee in una scatola e ne limitano la libertà con delle barriere; titoli come Sifu invece rompono queste barriere e creano da soli una propria strada che poi i giocatori saranno liberi di seguire oppure no, consapevoli che non sarà l’unica esistente e che potranno sempre provarne altre senza rinunciare a nessuna di loro.
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