I battle royale: l’onda anomala dei videogiochi andrà avanti con la next-gen?

I battle royale sono solo una moda passeggera o possono essere una scommessa sulla quale puntare anche con la next-gen?

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a cura di Marino Puntorieri

Redattore

Se dovessimo pensare un attimo alle parole che hanno rappresentato, nel bene e nel male, la generazione videoludica appena conclusa non possiamo non menzionare il termine battle royale. Un’espressione diventata con il tempo quasi tabù e per la quale tutti almeno una volta abbiamo sbuffato davanti all'ennesima proposta su schermo, ma che in un modo o nell’altro è riuscita almeno una volta a destare interesse, fino a rischiare nei casi più estremi di inghiottire il tempo libero di tantissimi videogiocatori.

Una piccola premessa doverosa: il mondo in continua evoluzione dei battle royale ha creato una spaccatura profonda tra estimatori e dissidenti come poche volte nel settore di riferimento, ma al netto di tutto ciò è un fenomeno interessante da analizzare in modo più attento e articolato per carpirne ogni possibile diramazione – per scoprire fino a dove può evolversi e quanti compromessi saranno necessari agli occhi degli utenti per continuare a sopravvivere con la diffusione delle nuove console.

Origini ed evoluzioni di un mito

Il titolo che negli ultimi anni è riuscito a crescere e dare un forte scossone al mondo per quanto concerne i battle royale è per forza di cose Fortnite. La gallina dalle uova d’oro di Epic Games, capace di macinare miliardi di dollari con facilità inaudita, è il titolo che più di tutti rimane ancorato ai vertici del settore. Pubblicato nel 2017 riesce a insediarsi con facilità nei cuori soprattutto dei più giovani a discapito di un concorrente come PlayerUnknown's Battlegrounds, solo sulla carta ben più preparato e con un anno di esperienza in più sulle spalle.

Ciò che già tre anni addietro ha fatto la differenza, e che permette al cartoonesco battle royale di rimanere in vetta costantemente anche al giorno d’oggi sia per numeri di utenti attivi sia per partnership delle più disparate tipologie, è la sua maggior accessibilità. Parliamo di un gameplay capace, soprattutto nel primo anno di vita, di differenziarsi nettamente dal progetto di Krafton, con un’offerta ben più malleabile, frenetica, in grado di regalare qualche ora di spensieratezza ai neofiti senza lasciare in disparte i più competitivi, pronti invece a dedicare una mole spropositata di tempo per un allenamento più intenso.

Quest’ultimo aspetto riguarda principalmente le tempistiche sempre più ristrette per concatenare azioni di gioco quasi simultanee: su tutte, non possiamo non citare le abilità dei più esperti, in grado con disinvoltura di alternare le armi da fuoco con i materiali per costruire barriere o rampe di fortuna, in un connubio tanto bello da vedere quanto soddisfacente da apprendere e applicare sul campo di battaglia. Fortnite ha dimostrato di essere un gioco adatto a tutti e che ha vissuto grazie alla piattaforma streaming di Twitch un rapporto di reciproca influenza e conseguente crescita spropositata; un aspetto tutt’oggi ben consolidato nella strategia di comunicazione di Epic Games.

In merito alla maggiore fruibilità dal punto di vista del puro gameplay, il mercato dei battle royale si espande incredibilmente e negli ultimi due anni  aumenta vertiginosamente il numero dei competitor, influenzando anche il segmento videoludico più generico. Tutte le grandi software house iniziano a trovare anche il minimo escamotage per implementare questa modalità nei rispettivi progetti – tra consensi e malumori generali – con l’obiettivo di ottenere ciò che più di tutto conta nel contesto attuale: share e interazioni sui social volti a tenere sempre alto l’interesse generale verso un determinato prodotto o brand di riferimento, con tutte quelle implicazioni legate al ramo del digital marketing volte a premiare un atteggiamento “aggressivo” e di tendenza sul web.

Proprio nel contesto appena descritto troviamo la maggior raffigurazione del gioco inteso come servizio, ovvero come prodotto costantemente aggiornato per mantenere sui massimi livelli l’interesse di una community da creare e fidelizzare nel tempo; basterebbe citare i pass stagionali e gli esborsi monetari solo per elementi estetici come skin e banner delle più disparate tipologie, senza dimenticare le classifiche per i contesti competitivi; il tutto a supporto di aggiornamenti gratuiti essenziali per rinnovare la mappa di gioco o introdurre alcune dinamiche di gameplay – anche a rotazione solo per periodi limitati –  e agghindare il gioco con qualche novità.

Un mercato mai abbastanza saturo

Non ci stancheremo mai di dirlo: il mondo dei battle royale è uno dei più spietati e competitivi dell’intero settore videoludico. Ci sono tanti, anzi troppi, titoli simili tra loro pronti a lottare per sgranocchiare fette di mercato risicate e agli occhi di un pubblico sempre più esigente.

Avere una buona quantità di risorse dalla quale attingere è ragion necessaria, ma non sufficiente, per garantire la sopravvivenza anche solo nel breve periodo; i casi più eloquenti, sotto questo aspetto e che devono far pensare, nel recente passato riguardano DICE con la modalità Firestorm per Battlefield Vfallimentare nel cercare di adattare queste meccaniche al gameplay titpico della serie – e soprattutto Crucible, realizzato da zero dalla divisione gaming di Amazon, due progetti che parlano da sé.

Discorso diverso per quanto concerne invece EA con Respawn Enterteinment. In Apex Legends, più che la disponibilità di risorse iniziali, sorprende la capacità di distinguersi dalla concorrenza e creare dopo pochi mesi una forte identità, sulla base di un gunplay solido e che ben aveva contraddistinto per qualità le produzioni passate del team californiano.

Meccanica enfatizzata dalla scelta di utilizzare degli eroi ben delineati come personaggi di riferimento, rimarcando ciò che di buono è stato fatto con Overwatch sotto l’aspetto delle diverse abilità possedute, e dare la possibilità agli utenti di scegliere e avere delle preferenze in grado di cambiare anche l’approccio stesso alle partite a seconda delle varie combinazioni che vanno a costituire il party di gioco.

Da un bel po' di mesi cerca di inserirsi nel mondo dei battle royale anche Ubisoft con Hyper Scape, nuova IP che con un lancio a sorpresa durante la scorsa estate ha destato tanto interesse quanta preoccupazione. La pianificazione nell’immediato ha premiato il team con sede a Montreal, astuto nel seguire le orme proprio di Apex Legends in fase di lancio e a distribuire delle chiavi di gioco semplicemente seguendo i match degli amici o streamer più famosi già in possesso di un codice. Terminato questo primo momento l’interesse generale è però crollato con una facilità per certi aspetti disarmante, sinonimo di un contesto fortemente altalenante e, come più volte ribadito, sempre più difficile da prevedere.

Un bellissimo futuro incerto

Considerando gli esempi più recenti, ha ancora senso per le software house gettarsi nel settore menzionato e ottenere a fatica le poche briciole lasciate dai più forti? Quanto potrà ancora avere vita propria il genere battle royale nell’intero panorama videoludico? Sicuramente il panorama competitivo attuale fortemente orientato sulla modalità in questione concede un supporto non indifferente, essenziale soprattutto con una next-gen che dovrebbe promettere un miglioramento sostanziale della qualità, ma non è detto basti a garantire una più importante fidelizzazione del giocatore finale.

Sotto questo aspetto non si può non pensare alle parole del padre di DOOM, John Romero, che in un’intervista criticò fortemente l’importanza data al fenomeno dei battle royale intesi erroneamente come vero e proprio genere a sé stante, piuttosto che una normale branchia derivativa dei deathmatch multiplayer. Effettivamente, i battle royale sono nati con questa prerogativa e magari in un futuro torneranno ad essere tali, ma nel periodo che stiamo attraversando continuano ad essere un’opportunità sulla quale gli studi più astuti (e più agili) stanno creando qualcosa di importante.

Consideriamo i battle royale come un vero e proprio genere perché dimostrano di potersi evolvere per sopravvivere, come nella più pragmatica e contestualizzata Teoria di Darwin, adattandosi ai gusti dei videogiocatori in continuo cambiamento. Fortnite in primis, ad esempio, continua a innovare sotto l’aspetto commerciale, proponendo in esclusività eventi di caratura mondiale durante i suoi round come i concerti di Marshmello o Travis Scott, senza dimenticare l’anteprima mondiale del trailer di Tenet, ovvero l’ultima pellicola cinematografica realizzata da Christopher Nolan. Tutti aspetti che in un modo o nell’altro focalizzano l’attenzione generale.

Call of Duty: Warzone cresce invece nei contenuti nonostante la pubblicazione di Call of Duty: Black Ops Cold War, a scapito degli hard disk dei videogiocatori sempre più sofferenti, sia facendo leva sul fattore nostalgia – proponendo vecchie glorie come Shepard da utilizzare online – sia sfruttando la fama di vere e proprie star del web da impersonare durante i round, come Rovazzi. Una scelta che, unita a un gameplay estremamente familiare, continua a fare la fortuna di Infinity Ward dall’inizio dell’emergenza Coronavirus, trattenendo costantemente gli utenti sui propri server a distanza di mesi e mesi.

Apex Legends, invece, cerca di gettare ulteriori basi per il futuro con una narrazione sempre più evidente e che attinge dall’universo di Titanfall per alimentare una lore che può solo far sognare i numerosi fan sotto l’aspetto del coinvolgimento, mentre Hyper Scape – nonostante uno stato embrionale al quale non si poteva non riconoscere del potenziale – rischia di essere lasciato indietro rispetto alla concorrenza senza aver il tempo di maturare.

In un settore estremamente saturo come quello dei battle royale i pochi studi attualmente capaci di spartirsi il mercato con una certa forza stanno cambiando in modo evidente la propria natura per rimanere tra le prime scelte dei videogiocatori. Se in passato bastava puntare sul mero divertimento generato da una moltitudine di situazioni casuali durante i round online – visto soprattutto agli albori in modo estremamente positivo –, attualmente viene richiesto uno sforzo ulteriore per attirare (e soprattutto mantenere) l'attenzione generale.

Le altre aziende stanno a guardare o premeditano di buttarsi in questo mondo all’ultimo per ritagliarsi un piccolo spazio di nicchia, ma con il passare dei mesi le barriere all’entrata sono sempre più evidenti penalizzando ogni eventuale iniziativa. Ma, dopo quanto vissuto negli ultimi anni, riusciranno i battle royale ad affermarsi tra i generi di riferimento anche nella next-gen? I brand più consolidati stanno già tracciando la strada per muoversi proprio in questa direzione, anche se non si può non notare una certa passività nell'atteggiamento delle software house legata agli sviluppi dell'emergenza sanitaria; una variabile che potenzialmente disincentiva tutti quegli investimenti che, con l'avvento delle console di nuova generazione, migliorerebbero la qualità generale, oltre al mero lato tecnico.

L’obiettivo rimane comunque ambizioso e non vediamo l’ora di scoprire come i repentini cambiamenti influenzeranno l’intero contesto videoludico nei prossimi anni – a partire dai battle royale, per capire se questa onda anomala sarà destinata a cementarsi o no.

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