Gli open world hanno tirato il fiato nel 2021, ed era ora

C'è stato un momento nei videogiochi in cui sembrava che un AAA non avesse più diritto di esistere a meno di non essere open world. È una tendenza che si sta ribilanciando con le ultime e le prossime uscite?

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a cura di Stefania Sperandio

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I videogiochi si sentono molto a loro agio a muoversi lungo tendenze ben definite. Qualche generazione fa, abbiamo vissuto un momento in cui sembrava che potessero esistere solo gli sparatutto. Poi, complice il boom di Vikings, ogni storia doveva avere qualcosa di norreno. Ora siamo in un'epoca in cui ogni cosa deve implementare una battaglia reale, una in cui alcuni sviluppatori si stanno affacciando (spaventosamente?) al mondo di blockchain e NFT. E molti di voi ricorderanno che, solo pochi mesi fa, il nostro Silvio aveva fatto notare che quella appena terminata fosse stata la generazione degli open world. Enormi, affascinanti, ricchi, bellissimi. In molti casi tutti uguali.

Esatto: c'è stato un momento in cui sembrava che un AAA non avesse più diritto alla vita, in caso non fosse pronto a prestare i suoi concetti a un approccio da open world. Si è tradotta una delle possibilità a cui possono aprirsi game design e level design come la naturale evoluzione del videogioco moderno, una sorta di "unico approccio possibile" – e tutto quello che non è open, è obsoleto e fuori dal tempo, probabilmente perché non poteva permettersi di essere più grande.

La rincorsa all'open world è andata sicuramente a braccetto con la concezione dei videogiochi un tanto al chilo che premia la quantità prima della qualità. Intendiamoci: opere come The Legend of Zelda: Breath of the Wild Red Dead Redemption 2 hanno ripagato da sole il prezzo della corsa all'open world.

Ma, all'altra faccia della medaglia di cui rappresentano l'eccellenza, ci sono senz'altro open world che puntavano sulla diluizione e sull'inserimento di contenuti secondari perché sì, perché il gioco costa tanto e ha da durà. Questo, a scapito di quanto significative fossero le mansioni da far svolgere al giocatore – che, è un approccio legittimo per molti, richiedere un certo quantitativo di ore a fronte della spesa fatta per comprare un gioco.

Ecco che così, essendo il paradigma (non possiamo parlare di genere per l'open world, infatti) così apprezzato dal pubblico e divenuto sinonimo di qualità, di gioco di ultima generazione, gli open world sono arrivati come se piovesse, in alcuni casi perfino in contrasto con la natura dei giochi che iteravano: pensate a Metal Gear Solid V: The Phantom Pain e alla straordinaria esperienza di gioco stealth (e gestionale) che offriva, sacrificando però su questo altare la forza e l'equilibrio dello storytelling, che da sempre era stato il fiore all'occhiello del franchise di Konami.

C'è stato però un dato interessante relativo al 2021 che va concludendosi: complice anche un'industria di tantissimi rimandati al 2022, infatti, abbiamo visto il videogioco svestirsi dell'open world per fare un po' quello che gli pareva.

Un momento di respiro per gli open world?

Pensiamo alle più premiate release dell'anno: Halo Infinite accenna a un'anima open world, ma non abbraccia pienamente questa filosofia, piazzandosi nel mezzo tra la linearità e l'apertura estrema. ReturnalRatchet & Clank: Rift Apart, ma anche Deathloop – le maggiori uscite dell'anno su PS5 – non sono open world. Metroid Dread, l'uscita più in vista dell'anno di Nintendo, non ci pensa nemmeno.

La tendenza è confermata anche dalle grandi uscite di altri publisher: Marvel's Guardians of the Galaxy sceglie un approccio perfino troppo lineare, per corridoi. Il GOTY It Takes Two è un cooperativo strutturato per scenari, l'apprezzato Resident Evil Village ha alcune novità per la sua formula che lo rendono più aperto, ma è tutt'altro che un open world. Certo, possiamo invece considerare come open world l'eccellente Forza Horizon 5, e un'altra eccezione è rappresentata anche da Far Cry 6.

Proprio il titolo sopra le righe di casa Ubisoft è però una buona unità di misura per la nostra riflessione sul rallentamento delle uscite degli open world: pensate che, nel 2020, in poche settimane la casa francese diede i natali ad Assassin's Creed ValhallaWatch Dogs LegionImmortals: Fenyx Rising – tre open world di titaniche dimensioni che andavano a riempire la stagione natalizia e i pacchetti sotto l'albero dei videogiocatori.

Ma nel 2020 abbiamo visto anche Ghost of TsushimaMarvel's Spider-Man: Miles Morales. E abbiamo visto Cyberpunk 2077. La linearità nelle grandi uscite era affidata a nomi come Doom Eternal, The Last of Us - Parte II Resident Evil 3, con la via di mezzo rappresentata dalla Midgar di Final Fantasy VII Remake.

L'equazione, insomma, sembra venire da sé: nel 2020 sono usciti più giochi da vetrina e, di conseguenza, sono usciti più open world. Nel 2021, che ha subito il contraccolpo del nuovo stile di vita a cui ci ha costretto la pandemia, la seconda parte dell'anno è stata più faticosa, e sono usciti meno open world da prima pagina. Addirittura, un publisher sempre in vista come Sony ha limitato l'open world alle Director's Cut di Ghost of Tsushima e di Death Stranding, e a nient'altro.

Non è stata una scelta oculata, ma di necessità. L'open world ha respirato, nel 2021, anche e soprattutto per bisogno logistici: basti pensare che il ritorno di Aloy si sarebbe dovuto verificare quest'anno, ad esempio, prima che venisse ricalendarizzato per il prossimo. Ma pensiamo anche a Cyberpunk 2077 su PS5 e Xbox Series X che doveva arrivare nel 2021 ed è slittato, e con lui anche l'immenso open world di The Witcher 3: Wild Hunt, entrambi a firma CD Projekt RED, a sua volta atteso per il prossimo anno su nuove console.

Difficile, quindi, immaginare che la tendenza possa continuare anche nel 2022, dove vedremo vagonate di nuovi open world: solo a febbraio ci attendono open world come Elden RingHorizon: Forbidden West.

Giocheremo Dying Light 2, qualche tempo dopo giocheremo Forspoken, giocheremo Starfield, scopriremo un Kirby e la Terra Perduta più aperto e stiamo aspettando il sequel di The Legend of Zelda: Breath of the Wild, che ha valorizzato l'open world come nessuno.

Non devi renderlo open world per forza

Quello che ci rimane di quest'anno di transizione, allora, in cui anche i grossi publisher hanno dato più spazio a esperienze che puntavano meno sulle titaniche dimensioni, è che l'open world non è l'unico approccio possibile per creare un gioco moderno. Come successo con le tendenze precedenti, anzi, si tratta solo di una carta che è possibile pescare dal mazzo, non necessariamente della migliore per l'esperienza che si vuole regalare.

A volte è difficile legare l'esperienza open world a un'atmosfera ben definita e a una certa gestione dei ritmi, considerando che il prossimo obiettivo da seguire è sempre nelle mani del videogiocatore. Per tenere valido l'esempio di Metal Gear Solid V, pensate ai momenti che finivano in cliffhanger dopo i quali tornavate nel menù delle missioni per affrontare pacificamente una secondaria in cui dovevate recuperare una capra con il pallone Fulton, mentre il boss vi aspettava comodamente.

Considerando che il 2022 rimetterà l'open world sotto i riflettori, allora, la speranza è che il 2021 lasci nell'industria la consapevolezza – anche in virtù di quanto complesso possa essere ottimizzare un'esperienza open world – che più grande non significa più bello. Quando affrontiamo un'esperienza ludica, sentiamo soddisfazione grazie al senso di progressione che proviamo mentre superiamo gli ostacoli virtuali: riempire un gioco di ostacoli minimamente significativi, inseriti per aumentare il computo delle ore, diluisce questa sensazione.

E va bene per chi vuole affrontare i videogiochi con il cronometro in mano per soppesarli rispetto al prezzo. Ma è come se valutassimo il valore di un libro in base al numero delle pagine – ignorando il fatto che magari potesse averne la metà, perché poco significative – o un film sulla base del minutaggio. «Ho pagato dieci euro per il cinema, sarà meglio che questo film duri almeno tre ore». No? No.

Open world è bello, quando è senso di libertà, di scoperta, quando il world building è così coinvolgente da spingere a scorrazzare. Quando è un'etichetta da appiccicare in copertina per inseguire un carrozzone che vende, invece, può essere un problema. Il 2021 ci ha ricordato che non è l'unica via possibile per le grandi firme videoludiche, che non è che «ora i videogiochi si fanno così» a ogni costo.

Non c'è necessariamente bisogno di un bell'open world per fare un grande gioco. Ma bisogna assicurarsi che quello proposto, quando proposto, sia un grande open world, se si mira davvero a dare vita a un bel gioco.

Un'interessante esperienza del 2021 a cui dovreste dare un'occhiata è di sicuro Returnal: lo trovate su Amazon a prezzo ridotto.
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