Ethan Winters è un cretino in un mondo di eroi e mostri, ma gli voglio bene

Non immaginavo che Resident Evil Village mi avrebbe fatto affezionare ad un personaggio così… così.

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a cura di Valentino Cinefra

Staff Writer

L’articolo contiene informazioni importanti e dettagliate, con pesanti spoiler, sulla trama ed i personaggi di Resident Evil 7 e Resident Evil Village. Se non avete completato questi due videogiochi vi sconsigliamo di proseguire con la lettura!

Fin da quando ci è stato presentato in Resident Evil 7, Ethan Winters ha fatto parlare di sé e non poco. Dopo un paio di decenni e mezzo di poliziotti e agenti speciali, la saga di Resident Evil ci mette nei panni dell’Average Joe, l’uomo medio americano senza arte né parte di cui non conosciamo mai il volto.

Neanche oggi, dopo Resident Evil Village, sappiamo come è fatto Ethan se non per il lavoro dei modder che hanno manipolato il titolo per scoprirlo. Di fatto con una breve googlata è facile vedere il volto del protagonista del nuovo corso del franchise di Capcom, ma non c’è mai stato un reveal ufficiale.

Questo, il fatto che Ethan Winters sia sostanzialmente un cretino ed il destino infausto che gli si para davanti nella conclusione dell’ultimo capitolo ufficiale di Resident Evil, rende il personaggio una figura grottesca e poetica allo stesso tempo. È praticamente come il protagonista di qualsiasi film horror, quelle persone che nella loro vita non hanno mai visto un film horror a loro volta e fanno, dicono o vedono accadergli intorno cose totalmente assurde senza che nessuno batta ciglio.

Ethan Winters ed i Baker

Le sfortune di Ethan iniziano in Louisiana, come tutti sappiamo, con la ricerca di una moglie scomparsa da tre anni. Al di là del pretesto per dare il via all’avventura, già l’idea che un uomo possa sperare che una persona scomparsa da tre anni possa essere ancora viva, in una baita dispersa nelle paludi del nulla, ci fa intendere quanto Ethan non sia la lama più affilata del cassetto, per così dire.

E non appena inizia ad addentrarsi a casa Baker, il nostro biondino non si fa una domanda che sia una sulla situazione che sta vivendo, infila le mani dappertutto e cade in ogni trappola possibile ed immaginabile. I primi minuti dell’incontro con Mia, in cui viene più volte malmenato dopo essere stato messo in trappola da lei stessa, sono ancora più emblematici di quanto Ethan sia sostanzialmente un cretino. Prima Mia dice di stare bene, poi lo manda via, poi chiede aiuto e ancora dopo lo accoltella, poi dice di essere posseduta e, mentre Ethan cerca di aiutarla, lei gli taglia la mano con una motosega. E per finire una bella boss fight che si conclude con un “Ti amo” dopo aver crivellato di colpi sua moglie.

Una volta liberato Ethan non fugge per chiamare rinforzi, o lasciare quello che evidentemente è il lontano ricordo di una parvenza di sua moglie al suo destino, ma continua ad aggirarsi per la casa con l’aiuto per telefono della misteriosa Zoe. Altra persona di cui si fida ciecamente, perché costretto, ma ancora una volta senza farsi una domanda.

Per tutto il corso di Resident Evil 7 vediamo e sentiamo Ethan reagire in modo del tutto inappropriato a ciò che gli succede, alternando commenti scemi a reazioni da duro che escono fuori dal nulla. Il tutto mentre continua ad infilarsi in situazioni improbabili, molte delle quali potrebbero essere evitabili (o almeno arginabili) con un minimo ragionamento. Ma questo Ethan non lo sa, e continua a prendere a fucilate qualsiasi cosa gli capiti di fronte, scagliarsi contro bambine/indescrivibili orrori bio-organici senza esitazione – e a vivere la notte di terrore con la stessa nonchalance di un imbecille, fondamentalmente.

Aiuta senz’altro la natura stessa del settimo capitolo della saga, un progetto sperimentale che avrebbe sancito la fine del franchise nel caso di un fallimento o, come è successo, un grande rilancio. Se Resident Evil 7 fosse colato a picco un personaggio come Ethan sarebbe stato facilmente sacrificabile, e anche le scemate come la mano riattaccata con le grappette potevano essere scambiate solo per la classica sospensione dell’incredulità videoludica.

Non sappiamo quanto Capcom avesse in mente dell’intreccio narrativo totale di Resident Evil Village all’epoca – sicuramente qualche piano B nel cassetto ce l’avevano – ma in ogni caso si nota come il tentativo di giustificare le scemate di cui sopra sia frutto di un’acrobazia narrativa ben riuscita.

Un padre ed un eroe, nonostante tutto

E, proprio con l’ultima avventura nel villaggio, Ethan Winters si consacra come l’uomo comune, un cretino che si ritrova in qualcosa di immensamente più grande di lui.

Quando Mia, che poi scopriamo essere Madre Miranda, viene assassinata a sangue freddo da Chris Redfield, suo marito reagisce in maniera del tutto inadatta. Una frase buttata lì, nessuna richiesta di spiegazioni a Chris se non quando il nerboruto agente prende in braccio Rose per rapirla, e l’ennesimo pugno in faccia.

Nelle prime battute di Village rivediamo tutta la sua totale inadeguatezza. Ethan si fida di chiunque: dal Duca, che si rivela essere un buon alleato alla fine, ad Heisenberg che, invece, non fa altro che utilizzarlo per i suoi biechi scopi. C’è una scena che è emblematica per questo e, se non fosse per la chiara volontà di rendere Ethan un idiota, sarebbe una leggerezza di scrittura così enorme che francamente non sarebbe da Capcom.

Alla fabbrica di Heisenberg questi si ritrova a dialogare con Ethan, aprendo una botola nel pavimento nel frattempo e posizionando una sedia di fronte ad essa, invitando il protagonista a sedersi. Una cosa che è chiaramente una trappola per chiunque abbia un paio di occhi collegati al cervello. Ovviamente Ethan si siede e, prima di essere buttato nella botola con un calcione che farebbe impallidire il Leonida di Frank Miller, il nostro se ne esce con un’altra delle sue frasi da smargiasso.

Ethan continua a reagire in modo apatico o assurdamente esagerato, da quando dice “perché muoiono tutti?” durante l’incendio a casa di Luiza fino a quando, di fronte a Chris, pronuncia l’ennesima frase da duro caricando la pistola di fronte ad un tizio che da quindici anni riempie di piombo mostri in giro per il mondo, e prende a pugni i sassi. Il quale, per tutta risposta, gli sorride come si sorride ad un cugino scemo.

Tutti sembrano conoscere lui, Rose e Mia, Lady Dimitrescu gli trancia una mano di netto la quale si riattacca con una spruzzatina di boccetta curativa, ci sono bambole assassine, feti abnormi, licantropi e giganti con le asce, ma Ethan continua imperterrito a non volersi dare nessun tipo di spiegazione. La quale arriva, invece, alla fine – per andare a chiudere quell’acrobazia narrativa e spiegarci alcune delle stranezze che abbiamo visto per il nostro protagonista.

Dal momento in cui sappiamo che Ethan è stato ucciso da Jack Baker e riportato in vita dalla muffa, il personaggio assume una sfumatura tutta nuova.

La persona comune, il semplice padre che cerca di salvare prima sua moglie, e poi sua figlia, che con la sua ingenuità si ritrova in un mondo di eroi e mostri a vivere un’esperienza tragica. La sequenza finale in cui Ethan decide di attivare la bomba e sacrificarsi, perché conscio di stare vivendo i suoi ultimi minuti di vita. Alla fine dello scontro con Madre Miranda si ribalta completamente la percezione verso il personaggio. Proprio alla luce della sua poca brillantezza mentale, e delle volte in cui l’abbiamo odiato fino a questo istante, il momento in cui decide di innescare l’ordigno è quando Ethan Winters diventa un eroe finalmente completo.

E noi giocatori diventiamo Chris Redfield, che osserva Ethan dapprima con ammirazione, e poi tira un pugno contro il muro per la rabbia quando il villaggio esplode portando via con sé il papà di Rosemary.

La regola numero uno della narrazione dice che se non vediamo un personaggio morire significa che potrebbe non essere morto davvero. Magari Ethan Winters si potrebbe rigenerare di nuovo (tra l’altro, a meno che non sia un modello 3D placeholder, parrebbe apparire anche nell’epilogo), potrebbe tornare come alleato o diventare un mostro del tutto, oppure potremmo essere costretti a elaborarne il lutto e basta.

Quello di un personaggio che continua ad essere senza volto, il più odiato dai fan ma che si è saputo riscattare proprio alla fine. Era difficile aspettarsi di potersi affezionare ad un personaggio così “normale”, nello stesso franchise che ci ha regalato momenti di altissimo trash volontario e involontario. Io, di sicuro, non pensavo di potermi commuovere alla fine di un titolo come Resident Evil Village.

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