Sebbene non raggiunga le vette di genialità dei due Dishonored e non arrivi a proporre design complessi e articolati come quelli della stupenda Villa Meccania, Deathloop è riuscito a confermare ancora una volta quanto funzioni alla grande la verve creative di Arkane (ecco la nostra recensione).
A più di un mese di distanza dall'uscita nei negozi fisici e digitali, abbiamo avuto la possibilità di scambiare quattro chiacchiere in privato con Sebastien Mitton, mente creativa dietro ogni aspetto dell'art design che permea la nuova opera del team di Lione.
Diverse questioni su curiosità interne sono state finalmente svelate, assieme a tutte quelle ispirazioni che hanno fatto in modo che Deathloop apparisse ancora una volta come un gioco unico e orgogliosamente diverso dalla massa.
Deathloop - L'estetica degli anni '60
Parlare con Mitton ha significato anche scoprire alcuni dietro le quinte, curiosità ed elementi che ad onor del vero in pochi avrebbero mai pensato potessero essere importanti per le influenze di un autore. Eppure, quell'estetica così ricercata proviene direttamente da precise opere cinematografiche, dalle fotografie di oltre sessant'anni fa e persino dall'approdo sulla Luna.
Per esempio, vi basterà osservare anche con poca attenzione le illustrazioni di Saul Bass per fare subito un'associazione diretta con alcune immagini e ricorrenze che troverete in Deathloop. Mitton ci ha spiegato che quell'artista ha rappresentato molto per dare forma alle idee visive del gioco. E se non avete idea di cosa Bass abbia fatto durante la sua vita, sappiate solo che il modo di interpretare il coinvolgimento dell'utente fin dai titoli di testa di un film è stato sfruttato da maestri indiscussi come Hitchcock e Kubrick.
C'è un filo conduttore piuttosto importante tra Saul Bass e i vecchi film di 007: non si tratta solo dei suoi lavori dedicati all'agente segreto più famoso al mondo, ma soprattutto a quello specifico immaginario che è presente in modo preponderante in Deathloop. Già delle prima fasi di gioco, e poi avanzando lungo l'avventura, il racconto e la progressione risultano molto affini alle spy story.
Mitton ci ha spiegato che "Era fondamentale per me avere quel tipo idea di base all'interno del gioco. Quando Dinga Bakaba è venuto da me e mi ha spiegato il concept di gioco legato al loop, in qualche modo l'associazione è diventata subito immediata".
L'artista ha poi aggiunto che Bakaba aveva in mente qualcosa di molto complesso per come doveva essere gestito il loop:
"Io gli dissi che andava bene far ricominciare il giocatore tutte le volte che la partita non andava per il verso giusto, ma lui non voleva questo. Aveva in mente una struttura decisamente più articolata, piena zeppa di incastri che dovevano funzionare perfettamente. Mi girava la testa. Devo dirti che è stato abbastanza complicato ricreare nel gioco quella specifica visione, perché dovevamo fare in modo che ogni ingranaggio andasse nel posto giusto per essere davvero credibile e funzionare fino alla fine".
Mitton ha continuato dicendo che "A quel punto, non ho potuto fare a meno di pensare a come dipingere i diversi ambienti dell'isola di Blackreef, che mutavano tra notte e giorno". Questo modo di riproporre le ambientazioni mutando routine nemiche, estetica e facendo in modo che delle zone si aprissero maggiormente non ha potuto far altro che stuzzicare la nostra curiosità.
In sostanza, è venuto spontaneo chiedere se in qualche modo fosse cambiato l'approccio al design. Mitton ha però detto di no, perché di fatto Deathloop deve molto a Dishonored e a quella precisa impronta, che doveva essere immediatamente riconoscibile. Quando un'altra domanda più personale è finita per stuzzicarlo su cosa volesse fare dopo Deathloop, ossia se continuare su questa falsariga o provare qualcosa di completamente nuovo, Mitton è parso titubante.
Senza sbilanciarsi troppo ha abbracciato pienamente l'idea di sperimentare, perché è parte del suo DNA da artista "Prendere da tante fonti senza copiare nulla e proporre sempre qualcosa di personale". Allo stesso modo, si sente molto affezionato a quello che la software house ha fatto finora, e anche molto orgoglioso. Che possa essere troppo rischioso allontanarsi dalla strada più sicura?
Cosa c'entra la NASA con l'art design di Deathloop?
Diversa dal solito è stata invece l'idea per creare l'isola di Blackreef. Abbiamo fatto notare a Mitton che l'obiettivo per Dunwall era di farla apparire fredda e cupa, mentre con Deathloop si è voluto creare un netto contrasto grazie ai colori e alla vivacità tipica dell'epoca. Abbiamo inoltre aggiunto che a nostro avviso anche Blackreef, nonostante tutto, continuasse ad apparire a suo modo molto oscura e misteriosa, e che questo potesse dipendere dalle inclinazioni e dai gusti dell'autore.
Mitton non ci ha affatto smentiti, e anzi ha aggiunto:
"L'intenzione, in alcuni momenti specifici, era quella di far sentire i giocatori abbandonati, talvolta anche soli. Negli ambienti notturni e innevati questo diventa subito palese, e il modo migliore per riuscirci era avere dei colori freddi. C'è anche qui un contrasto con le fasi diurne o quando si visitano gli interni. Questo doveva essere un aspetto netto e immediatamente chiaro, che aiuta anche la narrazione e fa calare meglio il giocatore nel mondo che abbiamo plasmato".
Karnaca era ispirata alla città di Genova, alla Grecia e in generale a tutte le più belle aree del Mediterraneo. L'isola di Blackreef, proprio per includere al suo interno questa diversità cromatica e questa freddezza necessaria, ha invece molto in comune con le Isole Faroe.
"A differenza dei Paesi mediterranei, che ho in gran parte visitato, posso dirti che in quei posti non ci sono mai stato di persona; quando sono andato a cercarli online sono stato immediatamente colpito e ho capito che erano perfetti per Deathloop. Sono ancora una volta isole e zone costiere, certo, tuttavia è una forma di continuità che ha delle importanti variabili asservite a ciò che il gioco deve fare per dare una forma riconoscibile alle idee che avevamo".
Quando abbiamo toccato i temi legati al vestiario, ai contrasti tra tecnologia e ambienti, e persino alle maschere dei nemici che presidiano le aree di gioco, è d'improvviso emerso un dettaglio assai particolare e per nulla trascurabile. Avevamo spiegato di aver letto alcune dichiarazioni di Mitton che parlavano chiaramente di ispirazioni legate a ciò che la NASA ha fatto per simulare l'approdo sulla Luna, prima di arrivarci davvero. A quel punto, Mitton ci ha mostrato un libro fotografico di Vincent Fornier, spiegandoci un curioso aneddoto.
"Se guardi quelle foto, ti rendi subito conto del grande contrasto che c'è tra l'ambiente e le persone. Si tratta di qualcosa che mi ha sempre incuriosito. Le vedi con questi grandi caschi, queste tute pesanti e poi attorno a loro il grande nulla. Richiama subito alla mente la fantascienza, pur restando qualcosa di dannatamente reale. In molti momenti di Deathloop ti rendi conti di avere lo stesso stacco, ma con un taglio più retro-futuristico. Mi preme dire, però, che non è nulla di simile rispetto a ciò che abbiamo fatto con Prey. Quel gioco, benché fosse assai vicino ai temi spaziali, si basa proprio su altro. In Deathloop per me era importante riuscire a unire tutti questi grandi contrasti e dargli una coesione".
Il risultato è uno dei giochi più sorprendenti degli ultimi mesi, capace di lasciare ancora una volta grande libertà interpretativa al giocatore. Pur rimanendo un progetto di scala più ridotta rispetto ai titoli di maggior richiamo, Arkane Lione ha dimostrato che la progettazione attenta, l'unione d'intenti e un concept accattivante possono fare davvero la differenza.
In versione PC, Deathloop ha dei requisiti davvero importanti: per giocare al meglio il nuovo titolo Arkane, vi consigliamo dunque questo ottimo portatile da gaming.