A volte gli anni passano davvero troppo in fretta. Nell’autunno 2011 (e, precisamente, il 22 settembre 2011) usciva Dark Souls, videogioco che ben prima di evolversi in trilogia si è imposto come una delle più grandi e innovative opere videoludiche sia della sua generazione (la settima, per chi ama la precisione) che in assoluto.
Un dark fantasy eccezionale, ancora giocato e interpretato nella maniera più disparata, oltreché in pieno spregio del fatto che al suo interno tutto lo scopribile è stato scoperto. Una schiera di fan cui ci siamo uniti ancora una volta dopo un decennio. Un ennesimo ritorno a Lordran… o la constatazione che in realtà non ce ne siamo mai andati da lì? Continuate a leggere per capirlo.
L’amorevole inganno di Dark Souls
Dark Souls risolve le basi della sua trama appena selezionate “Nuova Partita”. In un mondo stanco e decadente in cui non resta altro che cullarsi nel ricordo di una prosperità ormai lontana, impersoniamo un Non-Morto che, per destino o per determinazione, diverrà l’ago della bilancia di una situazione drammatica e millenaria. Per farlo, come molti prima di lui si avventurerà nella piccola ma densa Lordran, dimora di quegli dèi (o presunti tali) che all’inizio di tutto trovarono le Anime dei Lord nel Fuoco primordiale e con esso vinsero i Draghi dando inizio all’Era del Fuoco.
Il nostro personaggio vive e sopravvive in un’ambientazione dark fantasy ostile ma pregna di significati, sottostando a una progressione severa in cui ogni errore costa caro e dove, specialmente all’inizio, si sbaglia moltissimo. Una struttura che però lo inganna amorevolmente, in quanto grazie al suo bilanciamento diventa malleabile come argilla e incoraggia l’esplorazione sotto il velo della forte enfasi sui combattimenti.
Dark Souls si rivela quindi come una scoperta continua, dalle zone agli oggetti ma soprattutto dei suoi misteri sempre più oscuri, mai spiegati ma affascinanti in quanto parte di una costruzione contestuale dove ogni cosa è legata alle altre e soprattutto ha una sua coerenza e un suo scopo.
Dark Souls, ovvero le anime accademiche
Dark Souls, ormai si sa, è un videogioco costruito sulla semiotica delle contrapposizioni e della ricorsività contestuale e narrativa. Un confronto che, obbedendo alla sua natura di dark fantasy, ramazza via il conflitto tra bene contro male (fascinoso ma anche puerile) per evidenziare quella tra l’intonso e il contaminato, tra il bianco e il corrotto.
L’umano di Dark Souls trova la sua natura nel Segno Oscuro, vincolo opposto a un’esistenza definibile come biologica. Il Segno Oscuro è una maledizione che contamina la vita con la morte, un circolo vizioso dove gli umani brancolano in una notte resa eterna da un flusso del tempo che è distorto (o “stagnante”, traducendo più alla lettera il giapponese).
La ricorsività dell’iter enunciativo di affrontare i nemici, esplorare gli ambienti e raccogliere gli oggetti (e doverlo di fatto ripetere a ogni morte o riposo) è sia accademica che metavideoludica. È accademica in quanto affonda con prepotenza le radici in tutte le fiabe e i poemi cavallereschi, che utilizzavano questi passi per costruire intrecci ricchissimi di personaggi e imprese.
È invece metavideoludica perché parla al giocatore, elevando a meccanica quella sua abitudine un po’ neotenica di ripetere le cose non per ossessione ma per auto-miglioramento. Un mondo che una volta conosciuto diventa quasi una strana “casa”, un “parco giochi” dove sviluppare ogni volta un personaggio differente, unico e irripetibile.
Dark Souls: nulla si crea e nulla si distrugge
Ma come diceva Lucrezio (e prima di lui Democrito) nulla viene dal nulla, e Dark Souls non fa eccezione. Nella sua straordinaria ispirazione e atmosfera, l’universo partorito da Hidetaka Miyazaki e dai suoi collaboratori trae origine e ispirazione da numerose fonti della letteratura fantasy sia occidentale che orientale. Una delle maggiori è senza dubbio Berserk, il celeberrimo manga dark fantasy di Kentaro Miura. Ne abbiamo parlato poco tempo fa, nello speciale dedicato al mangaka e alla sua prematura scomparsa avvenuta a maggio di quest’anno. Eppure Dark Souls non è solo quello: vale quindi la pena di riportare qualche altro suo riferimento meno ovvio.
Si potrebbe pensare che l’impulso iniziale di FromSoftware verso il fantasy provenga dall’onnipresente Dungeons & Dragons, ma in realtà l’ispirazione di Miyazaki proviene da Sorcery!, serie di librigame scritti da Steve Jackson negli anni Ottanta e noti qui in Italia grazie a Edizioni EL, casa editrice triestina (sono gli stessi di Lupo Solitario/Lone Wolf di Joe Dever) che li pubblicò nel medesimo decennio con il titolo Sortilegio!.
A livello videoludico Miyazaki ha però sempre ammesso che la sua rivelazione è stata ICO: il capolavoro d’esordio di Fumito Ueda gli ha fatto comprendere le possibilità narrative del medium.
Fammi sognare, viverna! (cit)
La laurea in scienze sociali di Miyazaki lo ha poi portato a essere un attento osservatore della realtà, dentro e fuori dal mondo dell’intrattenimento, e questa cosa era piuttosto ovvia ancor prima di Dark Souls. Da Lovecraft (ispirazione per Bloodborne) a George R. R. Martin (creatore de Il Trono di Spade e con cui sta attualmente co-sceneggiando Elden Ring), è stato recentemente rivelato che il regista si è documentato anche con le opere di Umberto Eco, scelta volendo anche prevedibile dato l’approccio molto semiotico delle sue opere videoludiche.
Altri riferimenti già scoperti sono la serie-antenata King’s Field e molti giochi da tavolo; tra questi ultimi c’è Dragon Pass (1980), nominato da Miyazaki stesso come influenza nell’intervista presente nel libro Dark Souls Design Works.
A livello più cinematografico invece possiamo trovare almeno due citazioni di rilievo: i Serpenti Primordiali Frampt e Kaathe hanno un dualismo che ricorda molto i due draghi speculari Falkor e Fùcur de La Storia Infinita di Michael Ende; la loro estetica, sotto l’aspetto rettile, è invece basata sull’omonima trasposizione cinematografica del libro, diretta da Wolfgang Petersen e distribuita nel 1984. Più sul moderno, le rampe di scale semoventi negli Archivi del Duca di Dark Souls sono ispirate alle scale della Hogwarts di Harry Potter, così come il volto di Sieglinde di Catarina è una ricostruzione digitale di quello di Emma Watson quando interpretava Hermione Granger nei film del maghetto.
Il rintocco di una campana lontana
Ma Dark Souls è un videogioco che parla anche di umanità, tanto con la maiuscola quanto con la minuscola. Il concetto di quella “fatina nera”, introdotto volutamente di sfuggita con l’accenno al Nano Furtivo nel filmato iniziale, nasconde idee tanto a livello di racconto silenzioso quanto nella dinamica stessa del gioco. Dopo contesto e costruzione narrativa, il multigiocatore è probabilmente la terza componente che ha fatto guadagnare a Dark Souls il salvacondotto della storia videoludica.
Che siano gesta onorevoli o malvagie, piccole o grandiose, assennate oppure folli, Dark Souls dà continuamente la possibilità di vedere cosa accade nel suo mondo, così come dà la possibilità di aiutarsi contro quella o quell’altra minaccia troppo grande per uno solo.
Ai tempi ci fu chi descrisse questo sistema come una sorta di “cameratismo virtuale”, ma il passare degli anni e dei videogiochi ci ha insegnato che prima di tutto è un reciproco tendersi la mano, non solo per (banale?) condivisione di un’esperienza ma perché è giusto aiutare per essere aiutati. Il poter sia collaborare che combattere, i messaggi a terra e i fantasmi di giocatori impegnati nel vostro stesso viaggio evidenziano il furbesco paradosso di un videogioco che si dice solitario ma in realtà cerca la compagnia.
Conclusione: il canto silente del Fuoco
Tra settembre e ottobre di quest’anno (dipende da che parte del mondo vi trovate) Dark Souls compirà dieci anni. In maniera simile a quanto successo con Assassin’s Creed II, è passato abbastanza tempo da permetterci di iniziare a capire l’importanza di questo videogioco ma troppo poco affinché se ne possa comprendere a fondo l’impatto. Un videogioco impegnativo e “speziato”, talmente ben costruito che a ogni nuova partita si ha sempre l’impressione di poter scoprire qualcosa di nuovo, anche quando si sa benissimo che non c’è.
Quello che il tempo ci ha fatto finora comprendere, al di là delle “formule magiche” di game design, è che Dark Souls vince la prova del tempo perché ha tentato ed è riuscito nella propria via verso l’evoluzione del medium videoludico. Una fusione intima tra narrazione e gameplay, nata nel fuoco e che sfrutta la coerenza di un ambiente topograficamente corretto per inscenare una sfida collettiva che diventa racconto corale, nonché un grande monito su quanto sia folle il potere illimitato.
E quindi, come sempre… ci vediamo a Lordran.
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