Già era stato accennato un po’ di tempo fa, ma di recente CD Projekt Red lo ha confermato di nuovo: Cyberpunk 2077 avrà una longevità minore di The Witcher 3, e punterà molto di più sulla rigiocabilità.
Patrick K. Mills, senior quest designer dello studio polacco, ha specificato che la storia principale di Cyberpunk 2077 durerà di meno dell’equivalente storyline dell’ultima avventura di Geralt. La decisione arriva ovviamente non a caso, ma come conseguenza di un dato ben preciso: i videogiocatori si sono lamentati dell’eccessiva longevità di The Witcher 3.
Un trend, quello di non portare a termine i videogiochi, che ormai da anni è sempre più diffuso nell’industria. Lo testimoniava già GameIndustryBiz in un report di due anni fa, a sua volta redatto da un’analisi del sito TrueAchievements. Lo studio nasceva dalla volontà di scoprire quanto le campagne single player dei videogiochi multiplayer, principalmente shooter, venissero giocati a favore delle modalità multigiocatore. Il risultato è che meno del 40% dei giocatori portava a termine le campagne dei vari Call of Duty o Battlefield che fossero.
E se questo dato è tutto sommato comprensibile e poco sorprendente, perché la qualità di queste campagne single player sono spesso discutibili, è molto più interessante il dato per quelle produzioni incentrate più sulla narrazione. Il 36% dei videogiocatori non portò a termine Gears of War 4, e addirittura meno del 50% dei giocatori hanno completato Mass Effect, dividendo il dato tra tutti gli episodi della saga. Una notizia sconfortante, considerato che ci sarebbe addirittura una trilogia rimasterizzata in arrivo. E i dati più recenti di completamento su PS4 sono interessanti, a tal proposito.
Tornando a noi, Cyberpunk 2077 lavorerà su un tipo di longevità diversa perché un quantitativo “tremendo” – per citare l’aggettivo usato da Mills – di persone ha giocato The Witcher 3 anche per parecchio tempo, ma senza portarlo a termine. Il senior quest designer ne ha parlato durante una live su Twitch qualche settimana fa, che potete recuperare su ResetEra. Ma, per riassumere: in qualità di gioco di ruolo open world ci saranno molte attività da affrontare per Night City, ma per portare a termine la storia principale ci vorrà molto meno tempo che per l’altro blockbuster videoludico polacco.
E finalmente, aggiungiamo noi.
Quando il tempo è letteralmente denaro
Di recente, nel giugno del 2020, l’ex-boss di PlayStation Shawn Layden si è espresso riguardo la durata dei videogiochi tripla A:
Gradirei un ritorno ai videogiochi tripla A da 12-15 ore. Finirei più giochi, prima di tutto, e come un bel prodotto di letteratura o un film, vedrei la disciplina nel complesso con contenuti più densi, più avvincenti. È qualcosa che vorrei vedere tornare in questa industria.
E non possiamo che essere d’accordo con Layden, che nello stesso contesto dichiarò anche come l’attuale modello di produzione dei videogiochi non sia più sostenibile. I costi lievitano, ma gli incassi non lo fanno con la stessa velocità, sebbene quello videoludico sia stato uno dei settori che ha retto meglio dalla famigerata crisi del 2008 ad oggi e che, ora, rappresenta uno dei pochi elementi di intrattenimento che non soffrono eccessivamente per via del Covid-19.
Per aggiungere altri elementi all’analisi, sempre dalle parole di Shawn Layden:
È difficile per qualsiasi videogioco adventure puntare all’obiettivo delle 50-60 ore di gameplay, perché è un risultato molto più dispendioso da ottenere. E alla fine potresti chiudere qualche creatore interessante e le sue storie fuori dal mercato se questo è il tipo di soglia che devono raggiungere… dobbiamo ripensare tutto questo.
Il discorso è infatti prettamente matematico. Più il gioco è longevo e più richiede mappe, personaggi, cutscene con motion capture e, complessivamente, lavoro. Non è un caso, e questo lo sanno anche i sassi ormai, che i videogiochi più redditizi siano le produzioni multiplayer, gli universi condivisi e le piattaforme in divenire. Al di là della questione microtransazioni che merita un discorso a parte, un videogioco come Rainbow Six Siege richiede molto meno lavoro a monte e più in seguito, dove nel frattempo continua a generare ricavi e riesce a mantenersi nel tempo.
Videogiochi un tanto al chilo
Proprio le esperienze multiplayer sono, ormai possiamo dirlo, il fulcro del mercato videoludico attuale. Minecraft, Fortnite, Valorant, i Call of Duty e le new entry come Fall Guys e Among Us, sono al centro della scena, ingombrano con la comunicazione nei siti e rubano il tempo ai videogiocatori. Produrre un videogioco single player da svariate decine di ore significa dover entrare in competizione con prodotti che già sono ben radicati nelle routine quotidiane dei videogiocatori.
Questo non significa che le grandi produzioni single player non vanno più fatte, tutt’altro, ma vanno decisamente riviste nelle dimensioni e nell’ottica. Continuare a produrre videogiochi-mammut da 60 ore che costano cifre esorbitanti, e per cui la gente soprattutto si lamenta in termini di longevità, è qualcosa che bisogna lasciarsi indietro. Purtroppo c’è un problema, molto comprensibile, a cui i produttori si trovano di fronte quando lavorano ad un videogioco in fase di progettazione: i videogiochi un tanto al chilo.
Quell’idea, solo in parte comprensibile ma allo stato attuale distorta e troppo diffusa, per cui il prezzo di un videogioco debba essere calcolato in rapporto alla sua durata. Un taglio di carne da un chilo che costa venti euro contro uno da cinque è chiaramente più oneroso, perché lo stesso quantitativo di carne da ingerire nello stomaco costa meno nel secondo caso. Ma bisogna vedere che tipo di carne è.
Ci sono videogiochi da meno di dieci ore che regalano molto più in termini di coinvolgimento e divertimento dell’ennesimo open world da ottanta. Ma provate a chiedere a due spendere di spendere cinquanta euro per No Straight Roads dicendogli che dopo sei ore finisce, oppure di spenderne altrettanti per un Marvel’s Avengers che è game as a service potenzialmente infinito. Che siano due videogiochi oggettivamente più o meno validi dell’altro, la percezione sarà sempre distorta a favore di quello che “dura di più”.
In parte anche noi critici siamo costretti a far notare la longevità di un videogioco in favore o a sfavore del suo prezzo di vendita, un po’ perché è giusto nel caso l’esperienza non sia neanche troppo gradevole, ma soprattutto perché ormai questa è una stortura così coesa nel meccanismo della ricezione videoludica che si è costretti a metterla nel computo finale. Sono gli stessi lettori a chiederlo, e sono sempre gli stessi che si lamentano quando un videogioco costa troppo e dura poco.
Il che è sacrosanto, ma il potere e la volontà d’acquisto devono essere appannaggio solo dei clienti. Ed è questa diffusione così globalizzante del concetto dei videogiochi un tanto al chilo che ha visto aziende come Ubisoft, tra le tante, far diventare degli open world tutte le sue IP con l’obiettivo di creare ogni anno un nuovo videogioco-mammut. Il risultato di questa corsa al videogioco più grosso di quello precedente ha dato risultati tristemente noti per il publisher francofono: un totale annacquamento della visione creativa, flop delle uscite, e conseguente presa di coscienza atta a rivedere i propri piani.
Cyberpunk 2077 e la longevità del futuro
Non è questo che deve succedere. E proprio per questo motivo l’idea che Cyberpunk 2077 sia “corto” (parliamo probabilmente di una longevità di almeno 20-30 ore abbondanti, in ogni caso) è ciò che volevamo sentire da un grande produttore di videogiochi come CD Projekt Red. E se il titolo venderà con la proverbiale pala, la speranza è che sia una presa di coscienza per l’intera industria: i videogiochi non devono essere per forza pensati in relazione alla loro durata.
Gradiremmo avere il tempo di giocare – e quindi comprare, lo sottolineiamo – più prodotti nello stesso arco di tempo, che ritrovarci dopo mesi e mesi a giocare sempre la stessa avventura, magari annoiandoci e nel frattempo lasciandolo per strada come con il citato The Witcher 3.
Vi lasciamo con una piccola curiosità riguardo questo tema, che sicuramente andrà approfondito anche in relazione alla crescente importanza di contenitori come Xbox Game Pass che ridefiniscono totalmente il concetto di videogiochi un tanto al chilo: avete mai provato a fare un semplice ragionamento sulle vendite di un blockbuster come The Last of Us Parte 2 in rapporto al numero di PlayStation 4 nel mondo?
L’ultima fatica di Naughty Dog ha infranto record su record di vendite, battendo in velocità e lunghezza God of War e Marvel’s Spider-Man, sorprendendo tutti. Non ci sono dati totali e definitivi al momento ma, sommando quello che Naughty Dog e il PlayStation Blog ci hanno comunicato nei mesi scorsi, possiamo stimare un qualcosa come poco meno di dieci milioni di copie piazzate, a stare larghi? Dati impressionanti per una delle esclusive PlayStation, ma anche dei single player della generazione, più venduti di sempre.
Bene – ma di PlayStation 4 ce ne sono oltre 100 milioni nel mondo (dati del dicembre 2019). Che queste spannometriche 90 milioni di console potessero essere riempite ulteriormente con un videogioco più “denso”, per citare Shawn Layden?
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