Fino a tre anni fa, Crash Bandicoot pareva un morto vivente. I fasti delle origini erano lontani, e il povero peramele arancione si trascinava tra stanche rievocazioni e reboot improbabili. Questo finché non è arrivata la N. Sane Trilogy, il remake dei Vicarious Visions che ha portato su ottava generazione la prima, indimenticabile trilogia. E proprio da lì si è deciso di ripartire: oggi è infatti il day-one di Crash Bandicoot 4 It’s About Time, il ritorno alle origini per Crash.
Su SpazioGames abbiamo estensivamente parlato di questo ritorno, tra la videoanteprima di Stefania e la vera e propria recensione (sia scritta che video) del nostro Domenico. La domanda che vogliamo porci oggi è però un’altra: come mai si insiste tanto nel recuperare le “radici” di Crash Bandicoot? Cosa aveva in più questo debutto su PlayStation degli affamatissimi Naughty Dog? Per rispondere a questa domanda siamo tornati proprio lì, alle tre Isole Wumpa. Con l’aiuto sia della N. Sane Trilogy che dell’originale del 1996, ripercorriamo il primo storico Crash Bandicoot alla scoperta della narrazione silenziosa che tutti vedono e nessuno ha notato.
Il pretesto dello scienziato pazzo
L’incipit di Crash Bandicoot ce lo ricordiamo tutti. Il maligno scienziato Neo Cortex sta progettando di dominare il mondo con i Cortex Commandos, la sua squadra di animali mutanti. Queste altro non sono che perverse “umanizzazioni”, ottenuti sfruttando come cavie i vari animali delle Isole Wumpa (arcipelago fittizio nel sud dell’Australia). Quello che avrebbe dovuto esserne il comandante però, un Bandicoot di nome Crash, non viene assoggettato al volere dello scienziato e riesce a scappare. Trascinato dal mare all’isola più lontana, si muoverà per salvare dalle grinfie di Cortex la sua compagna Tawna, anche lei “evoluta”.
Messa così più che trama è un pretesto, ed effettivamente lo è. Infatti la forza del primo Crash Bandicoot (e che hanno voluto recuperare in It’s About Time) sta proprio nell’azione. Qualcosa di celebre, con i livelli “a tunnel” che trovano compimento nelle casse da rompere e nei frutti, vite e maschere che proteggono da un colpo o contatto nemico. Una struttura smaccatamente semplice ma che trova il suo compimento nella ribellione alla cultura del “platform buonista”. Il mondo proponeva atmosfere sognanti, personaggi allegri e antagonisti tutto sommato più bonari che maligni; Crash si è tenuto i colori ma li ha frullati con una follia confinante con il cinismo.
Neo Cortex è scienziato pazzo ispirato a Prof di Mignolo e Prof, un genio del male ricco e isolato, alla ricerca di una vendetta contro quello stesso mondo da cui ha scelto di esiliarsi. Uno che cattura e sevizia animali selvatici dicendo di “evolverli” quando in realtà trasmette loro solo le parti peggiori dell’umano essere, dalla forza bruta (Koala Kong) al crimine (Pinstripe), fino alla follia così profonda che fa perdere l’uso della parola (Ripper Roo).
In questo senso Crash Bandicoot è il doppio e contrasto perfetto: dove Cortex è macchinoso e arzigogolato, Crash è quasi “ferale” ma mentalmente misterioso. La sua volontà di salvare l’avvenente Tawna è sì istintiva, ma nasconde anche una concezione di libertà e irrequietezza del tutto umane. Ha capito il piano malvagio di Cortex e per questo non esita a fermarlo con ogni mezzo. Tutte caratteristiche solo accennate nel gioco, perché dovevano essere chiarite con i due spezzoni animati a mano che avrebbero dovuto introdurre e concludere la vicenda, poi non inclusi nel gioco finito.
Crash Bandicoot e le tre isole
Fin qui, sono tutte informazioni note – persino gli spezzoni animati sono rintracciabili su YouTube. Quello che non è noto è come Crash Bandicoot riesca attraverso il gameplay a costruire una narrazione ben precisa e soprattutto nascosta in piena vista. Lo fa attraverso tre elementi: il contesto dei livelli, il modo in cui li si affronta e il loro ordine nella mappa di gioco.
Partiamo dalle basi: Crash si muove in una serie di 30 livelli (più due segreti) disposti linearmente in una mappa del mondo che collega le tre isole. Ciascun livello è “stagno”, ovvero può essere rigiocato e completato quante volte si vuole. Tuttavia al soddisfacimento di determinate condizioni si possono sbloccare percorsi extra e raccogliere le gemme, manufatti che indicano il completamento totale del livello e che permetteranno di visionare un finale alternativo.
Ciascuna isola ruota intorno a un tema ben preciso: la prima è dominata dalla natura, dove si affaccia un piccolo villaggio di indigeni. La seconda è di tipo vulcanico, con antiche rovine abitate da rettili e sciami di pipistrelli. Infine l’ultima è la modernità, con il castello di Cortex che l’ha occupata con i suoi eccessi e ora vi svetta come una sorta di “parassita tecnologico”.
Basta distogliere un momento lo sguardo da casse, nemici e ostacoli per vedere l’incredibile coerenza con cui i livelli sono stati non solo progettati, ma ordinati. Prendiamo la prima isola: dopo il filmato introduttivo Crash si ritrova sulla N. Sanity Beach. Comincia la sua attraversata dalla spiaggia superando la foresta (Jungle Rollers). Attraversa le palizzate del villaggio (The Great Gate) e il fiume, ritrovandosi poi ad affrontare il capo indigeno Papu Papu. Dopo averlo fatto svenire è costretto a scappare dagli indigeni infuriati (Hog Wild), e abbandona il villaggio scavalcando nuovamente la palizzata (Native Fortress).
Uscito dal villaggio, Crash Bandicoot risale la corrente del fiume (Up The Creek) e arriva alla seconda isola. In cima alla cascata affronta e sconfigge Ripper Roo; affronta quindi le rovine perdute di una città (The Lost City e Sunset Vista) intervallate da una breve e pericolosa attraversata sui ponti sospesi nella nebbia (The High Road). Affrontato Koala Kong nelle miniere di un vulcano, da lì passa sottoterra all’ultima isola.
Qui comincia a fare i conti con le macchine e le invenzioni infernali di Neo Cortex. La centrale elettrica che dà energia al castello produce rifiuti tossici (Cortex Power e Toxic Waste) e lo scontro di Crash con Pinstripe la manda fuori servizio. Per un paio di livelli (Lights Out e il segreto Fumbling in the Dark) Crash è costretto ad arrampicarsi all’esterno sotto la pioggia battente (Slippery Climb) e a muoversi al buio nel castello di Cortex.
Sbarazzatosi anche di Nitrus Brio arriva nello studio di Cortex, dove tutto era iniziato (The Lab). L’attraversamento tumultuoso di Crash nel claustrofobico laboratorio di Cortex peggiora il guasto in guaio e tutto il castello finisce con l’andare a fuoco. Cortex salva se stesso e Tawna (l’unica cavia ormai rimastagli) sul suo dirigibile, in cima al quale si consuma il confronto finale tra lui e il marsupiale arancione.
Crash Bandicoot, ovvero i giorni non detti
Quindi, Crash Bandicoot si compie attraverso una collocazione ben precisa dei livelli. Qualcosa che non è più stato replicato, in quanto l’introduzione della Warp Room nei capitoli successivi ha permesso la varietà di livelli, ma sacrificandone l’organicità. Se sia meglio la via del primo o dei successivi dipende solo dai gusti, ma c’è anche un’altra caratteristica del primo Crash Bandicoot che non è stata più replicata: il tempo.
Se si osserva il cielo dei vari livelli, ci vuole poco a capire come la progressione temporale sia accurata. Il filmato introduttivo del gioco si svolge di sera o di notte; Crash si risveglia sulla N. Sanity Beach il mattino dopo. Arriva alla seconda isola al tramonto, come ben testimoniato dal colore del cielo nel livello Sunset Vista. Nel tardissimo pomeriggio arriva alla centrale elettrica del Castello di Cortex. Durante la notte attraversa i ponti pericolanti e la parte bassa del castello di Cortex, rimasti al buio a seguito del blackout.
Si deduce quindi che il tempo narrativo del primo Crash Bandicoot oscilli tra i due e i tre giorni. Il punto “della discordia” è il finale, in quanto non si capisce quanto tempo passi dall’arrivo di Crash sulla terza isola alla battaglia finale con Cortex. Ci sono livelli chiaramente ambientati di notte, ma non è chiaro quanto Crash ci metta ad attraversare il laboratorio (The Lab, terzultimo livello) e se il cielo durante la battaglia finale con Cortex sia il tramonto o l’alba. A giudicare dal fatto che The Great Hall (il penultimo livello) sia ambientato di notte, si può protendere per la seconda ipotesi.
Questo piccolo “pasticcio temporale” probabilmente deriva da uno strano paradosso occorso durante lo sviluppo. I Naughty Dog infatti impiegarono molto tempo per definire la tecnologia, arrivando alla creazione dei livelli solo molto più avanti. I primi che crearono (tra cui Heavy Machinery e Cortex Power) vennero fuori come molto difficili. Solo dopo aver appurato che la tecnologia poteva supportare costruzioni complesse, il team di Andy Gavin e Jason Rubin si concentrò su quelli più semplici, acquisendo maggior consapevolezza anche su che atmosfera e momento temporale dare a ciascuno. Non vollero comunque perdere il lavoro iniziale, pertanto fu naturale spostarlo tutto in fondo.
Uno dei primissimi livelli, il celeberrimo Stormy Ascent, fu scartato apposta perché troppo difficile. Prima si cercò di “giustificarlo” inserendolo immediatamente prima della battaglia finale: Crash avrebbe affrontato una difficilissima scalata verso la cima per salvare l’amata. Anche così però era comunque troppo difficile, e quindi fu rimpiazzato con il livello del laboratorio. Al posto di Stormy Ascent venne inserito Slippery Climb, sullo stesso stile e giustificato come l’entrata di Crash al castello di Cortex. Anche così però, Slippery Climb è ancora adesso ricordato come il livello più difficile di Crash Bandicoot.
Conclusione: Crash per famiglie? Be’ sì, ma in realtà no
Pure dopo ventiquattro anni, Crash Bandicoot continua a regalarci qualche sorpresa. La sua narrazione silenziosa era forse molto “figlia del suo tempo”, in quanto non pochi negli anni 1990 stavano sperimentando con il “raccontare tramite l’ambientazione”. Non era solamente il dare organicità a una serie di livelli stagni, ma anche suggerire un senso del passare del tempo.
Si tratta di qualcosa che per i Naughty Dog diventava ambizione, in quanto volevano raccontare una storia con meno dialoghi possibile. E allo stesso tempo creare qualcosa che fosse “per bambini” solo all’osservatore superficiale. Una coerenza temporale e contestuale che è mancata a molti videogiocatori negli anni, e che non a caso Crash Bandicoot 4 ha cercato di recuperare.
Il tutto con un cinismo e una bonaria “cattiveria” poi sfumata dal 1997 in poi. Forse un’occasione mancata, ma è piuttosto palese che, almeno alle origini, Crash Bandicoot fosse molto meno “per famiglie” rispetto a quanto non sia diventato a partire dal secondo capitolo. Dal personaggio di Tawna, bionda longilinea e sensuale (è stato ammesso che è ispirata a Pamela Anderson) fino al percorso di Crash stesso per raggiungerla, un vortice di follia contro scienziati pazzi e animali mutanti.
Allegro, scanzonato e assolutamente folle, il primo Crash Bandicoot è un percorso da cui possono scaturire i significati più disparati. Dal classico “salva la principessa” che sfocia nella parodia alla ribellione della natura alla tecnologia selvaggia, fino agli effetti lesivi della solitudine e della scienza che si dimentica l’etica. Tutti temi uniti da un marsupiale irrequieto e incontrollabile, eppure dotato di un indecifrabile buon cuore. Ma del resto, ogni buona azione è intrinsecamente irrazionale, e la sua forza sta tutta qui.
Se volete recuperare la saga "moderna" di Crash Bandicoot, qui potete trovare facilmente sia la N. Sane Trilogy che il celeberrimo CTR: Nitro-Fueled. Se invece volete essere al passo coi tempi, qui c'è Crash Bandicoot 4: It's About Time!