«Scusate, ma il gioco è in italiano?».
Senza timore di smentita, questa è una delle domande che ci porgete di più, sotto le nostre recensioni. La localizzazione e traduzione di un gioco in italiano è ancora un fattore molto importante per un numero consistente di appassionati, che determinano se tuffarsi o meno in un'avventura anche in base alla possibilità di giocarla nella propria lingua madre.
Purtroppo, come sappiamo non sempre è facile vedere produzioni interessanti, ma non di appeal universale, venire tradotte anche per il mercato italiano. Secondo i dati più recenti di Newzoo, l'Italia rappresenta a oggi il nono mercato al mondo per l'industria videoludica, dietro a Cina, USA, Giappone, Corea, Germania, Regno Unito, Francia e Canada.
I dati di Steam ci suggeriscono anche che, purtroppo, la fetta di parlanti italiani nella sua community non è consistente come si potrebbe pensare: il report più recente suggerisce che solo lo 0,45% degli utenti usa Steam in italiano, con anche un calo dello 0,24% rispetto alle rilevazioni precedenti.
Insomma, per noi la traduzione è importante, ma non sempre noi siamo importanti per la traduzione. Localizzare un videogioco e adattarlo al mercato a cui è destinato è un lavoro sopraffino, di grande impegno e dedizione, che in alcuni momenti sembra quasi magico. In questo periodo, e dopo aver già spolpato anche Triangle Strategy, mi sto godendo Octopath Traveler II (lo trovate su Amazon, se volete tuffarvi anche voi) e sono rimasta affascinata dall'enorme quantità di testi così accuratamente tradotti – proprio perché non è mai una cosa da dare per scontata.
Allora ho deciso di indagare: come si compie quella "magia"? Cosa c'è dietro il lavoro di localizzazione di un videogioco, a maggior ragione quando quel videogioco arriva dal lontano Giappone e deve parlare, invece, ai giocatori italiani?
Per scoprirlo ho potuto parlarne con nientemeno che Virginia Petrarca, traduttore di videogiochi specializzato proprio nei titoli giapponesi, che nel suo curriculum ha lavori come la responsabilità della traduzione di Triangle Strategy, ma anche altri nomi di enorme fascino come Octopath Traveler II, Bravely Default II, Nier Automata, Ni No Kuni II e i tre Voice of Cards – solo per citarne qualcuno.
«Sono un traduttore di videogiochi dal giapponese (e inglese) all’italiano e, in quanto tale, mi occupo principalmente di tradurre i testi dei videogiochi; ultimamente ho fatto anche il lead, che implica, oltre alla traduzione propriamente detta, organizzare la mole di lavoro dividendolo tra i vari componenti della squadra e avere l’ultima parola sulle modifiche proposte da chi esegue il check» mi spiega Virginia, presentandomi il suo lavoro in vista della nostra chiacchierata (potete approfondire sul suo sito ufficiale, su Twitter e LinkedIn).
«Di recente ho deciso di specializzarmi nella traduzione di giochi di ruolo giapponesi e di altri titoli in cui la trama riveste una certa importanza (anche se mi capita comunque di occuparmi di altri generi)».
E, sì, in questo caso possiamo dire che i traduttori sono anche amanti dei videogame – per rispondere a chi si domanda se invece non siano a volte delle figure specializzate che però non hanno un background videoludico.
Petrarca, infatti, per presentarsi ai nostri lettori aggiunge che «non è un caso che tra i miei giochi preferiti ci siano vari titoli story-driven: oltre a Zelda A Link to the Past e Ocarina of Time, adoro i primi tre Ace Attorney, Ghost Trick, Xenogears, Skies of Arcadia e l’ultimo arrivato in ordine cronologico, Final Fantasy XIV Online».
Fatte le dovute presentazioni, allora, mi sfrego le mani: voglio scoprire di più su come un videogioco in giapponese arriva sui nostri scaffali in italiano, e voglio raccontarlo ai nostri lettori su SpazioGames.it.
La vita del traduttore di videogiochi
Mi domando subito com'è che questa magia si compie: come succede che arriva un incarico, con un intero gioco da tradurre, e un po' quale sia la "routine" (ammesso che ce ne sia una) per affrontare un lavoro di questo tipo.
Petrarca, che lavora come freelancer, me lo spiega nel dettaglio:
«Il procedimento può cambiare non solo da cliente a cliente, ma da progetto a progetto: a volte, per titoli importanti, ricevo una richiesta di disponibilità per un dato periodo nell’eventualità che ci si accaparri il tale progetto.In altri casi, il progetto è già una realtà e mi viene chiesto se voglio partecipare. In altri ancora, ci sono state agenzie in passato che mi sono semplicemente piombate nella casella di posta con un tot di file e una deadline, stile 'traducimi questo ché ho fretta!'».
Al di là, quindi, della difficile prevedibilità della cosa, quando il progetto va in porto ci sono poi gli step successivi, che Petrarca mi spiega nel dettaglio:
«In tutti i casi, ammesso (e non concesso) che il progetto sia poi confermato, io ricevo i file a me assegnati, o se si lavora su un tool in cloud un link al mio account con già i file presenti e apribili, li apro e scrivo direttamente dentro la traduzione (che siano Excel o appunto importati in un tool di traduzione assistita), usando il materiale di riferimento che auspicabilmente mi è stato fornito (immagini, copioni con le indicazioni di scena, documenti con le caratterizzazioni dei personaggi e il worldbuilding ecc.) per crearmi un contesto».
Proprio la creazione di un contesto è ovviamente molto importante per riuscire a "entrare" pienamente in quello che si sta traducendo.
«I miei progetti preferiti partono in realtà sempre con una fase di 'familiarizzazione' in cui leggo tutti i documenti di lore, i dialoghi da tradurre, possibilmente anche quelli non assegnati a me, magari gioco a una build molto primitiva se disponibile e comincio a buttare giù idee per la traduzione dei termini ricorrenti, sempre insieme» mi spiega Petrarca, che quindi affronta una prima fase "conoscitiva" del progetto.
«Quando ho fatto queste operazioni preliminari ed è il momento di tradurre, semplicemente apro il file e scrivo le traduzioni corrispondenti a ogni stringa. Personalmente, il mio metodo consiste nel fare una prima stesura 'sporca', però già ragionando sulle varie frasi, specie quelle idiomatiche, e su come sarebbe una frase in italiano 'naturale' detta nello stesso contesto. La lascio decantare per un giorno e poi ci torno a mente fresca per sistemare tutto quello che non va» aggiunge.
«Infine, lascio passare ancora un po’ di tempo e faccio un’ultima rilettura per controllare che il discorso fili e che non abbia lasciato errori 'dell’ultimo minuto' e consegno una volta finita questa seconda rilettura».
Certo, ci sono anche casi dove purtroppo questa fase "conoscitiva" del progetto deve accorciarsi, per motivi di consegne. Come mi spiega Virginia, «purtroppo, non sempre ho il tempo di fare tutti questi passaggi perché la deadline incombe, quindi in quel caso consegno l’'handoff' (ovvero le mie assegnazioni per quella settimana o quel mese) con una sola rilettura».
In un lavoro che si muove così, nel modo più agile possibile tra diverse lingue e date di consegna, mi domande se i localizzatori abbiano mai davvero modo di vedere un gioco in azione, in qualche modo di testarlo – per aiutarsi quando lo traducono.
Petrarca mi spiega che non c'è una risposta assoluta:
«Dipende. Ci sono progetti in cui è possibile e altri in cui non è possibile.Di solito ovviamente spingiamo per avere la possibilità di farlo, ma non sempre ci viene permesso e in quel caso ci dobbiamo basare sui testi, cercare di capire il contesto e, quando questo non è possibile, fare delle domande agli scrittori e aspettare che rispondano».
Se non si può giocare, insomma, si cerca di ovviare alla cosa mettendosi direttamente in contatto con gli scrittori del gioco – magari per chiedere dettagli su cosa intendessero o meno con una determinata battuta.
Avevamo già detto che localizzare un videogioco non è qualcosa che si fa con uno schiocco di dita, vero?
Settimane, mesi, anni di lavoro
Mi sono sempre domandata, consapevole anche del fatto che le etichette giapponesi siano in qualche modo molto "gelose" delle loro opere e dell'unicità di ciascuna di esse, quanto i publisher siano controllanti, quando si tratta di vedere tradotti e localizzati i loro videogiochi.
Petrarca, in realtà, mi spiega che non c'è un controllo così serrato come si potrebbe pensare – non immaginatevi, insomma, un publisher che in prima persona ha qualcuno preposto a verificare una traduzione battuta per battuta.
«I publisher in sé si preoccupano solo che le traduzioni non infrangano il rating d’età (il famigerato PEGI) usando un linguaggio poco consono» mi spiega Petrarca, evidenziando quanto effettivamente siano importanti i rating per l'età consiglia, per i publisher.
Una traduzione che in qualche lingua si prende delle licenze, rispetto a quanto già evidenziato dal rating (magari in termini di linguaggio scurrile o esplicito), potrebbe essere problematica. E sappiamo che in certi mercati (pensiamo a quello australiano) le indicazioni sull'età sono molto stringenti per la messa sul mercato di un titolo.
Ma che i publisher vogliano essere zelanti in prima persona o no, con la traduzione parliamo comunque di un lavoro che dura davvero tanto tempo – soprattutto se consideriamo giochi con tanti testi, come quelli a cui Virginia Petrarca ha lavorato.
Quando chiedo quante settimane o mesi siano necessari per condurre in porto una traduzione come quella di giochi di ruolo simili, Petrarca mi spiega:
«Nel caso di un gioco di ruolo bello succoso come quelli che ci sono adesso, parliamo anche di anni!Nel caso di qualcosa di più vecchio (che quindi ha meno testo a schermo a causa di limiti di spazio, per esempio) o di meno ambizioso, minimo sei mesi. E solo per la traduzione, quindi tenendo fuori editing, Localization Quality Check eccetera».
Quando, insomma, vi domandate quali siano i fattori che un publisher considera, quando opta o meno per far tradurre il suo gioco in più lingue possibili, di sicuro il fatto che si tratta di un lavoro esteso anche nel tempo è da tenere a mente. I videogiochi, come dicevamo, non si traducono affatto per magia e le etichette rapportano ovviamente i tempi e le risorse necessari per un'ottima localizzazione alla capillarità che il pubblico italiano ha sul mercato.
In merito al lavoro di revisione e a come si svolge, una volta ultimata la traduzione dei testi, Petrarca mi spiega che non sempre questa viene eseguita direttamente da chi ha tradotto:
«Anche qui dipende dal progetto e dall’agenzia. Spesso i revisori sono esterni e non ho alcun rapporto con loro (non mi inviano nemmeno la loro revisione per feedback).In altri casi siamo tutti in una squadra e c’è un editor preposto che si interfaccia continuamente con i traduttori per chiedere magari chiarimenti, o per avere l’approvazione di una modifica».
Anche qui, insomma, ci sono differenze che vanno da progetto a progetto e non c'è una regola universale – a evidenziare come quello dei traduttori sia anche un lavoro di grande flessibilità, a seconda dei bisogni dell’opera e di chi la commissiona.
Dal Giappone all'Italia
Se frequentate un po' i salotti online dei videogiochi, ricorderete sicuramente che al momento dell'uscita di Triangle Strategy, nel 2022, ci furono delle chiacchierate dove i giocatori che si ponevano delle domande su un interessante aspetto della sua localizzazione: giocando con le voci in inglese e i testi in italiano, infatti, era possibile notare come le due lingue avessero deciso di adattare in modo diverso i testi originali giapponesi, al punto che in alcuni casi il doppiaggio diceva una cosa e i sottotitoli avevano una battuta differente.
Approfittando della disponibilità di Petrarca, ho quindi deciso di domandare come funzionino questo tipo di procedure, chiedendo se, ad esempio, sia vero che di solito il testo inglese si prende più "licenze" per adattare anche il doppiaggio, mentre quelli italiani rimangono più fedeli alla controparte originale giapponese.
A tal proposito, mi spiega:
«Penso ci siano diversi fattori. Anzitutto, mettiamo in chiaro una cosa: la traduzione non è una scienza esatta. Ripeto, la traduzione non è una scienza esatta.Non esiste una traduzione 'giusta' di un qualsivoglia testo che avrà sempre le stesse parole, nello stesso ordine, a qualunque traduttore si dia l’originale. Molti sembrano pensarla così, ma non lo è assolutamente».
Fatta questa dovuta precisazione, Petrarca mi spiega che le traduzioni si svolgono di solito in parallelo tra le differenti lingue:
«Sgomberato il campo da questo grave equivoco, direi che il fattore principale è che il testo originale (giapponese) è lo stesso, ma le varie lingue lo traducono in parallelo.Se è vero che i traduttori inglesi tendono a essere molto più liberi e a sviare anche parecchio dal giapponese, è anche vero che diversi traduttori possono decidere, in base alle caratteristiche della lingua in cui traducono, di essere più liberi o più aderenti in punti diversi rispetto all’inglese.
Rispettare i tempi per le battute nel doppiaggio, in realtà, dipende molto da progetto a progetto e da quanto spazio di manovra viene concesso ai traduttori inglesi. In genere devono durare uguale fra giapponese, inglese ed eventuali altre lingue del doppiaggio, ma non è detto, anche perché viene dato per scontato che la lingua selezionata per il doppiaggio dal giocatore sia anche quella selezionata per i testi, quindi ogni eventuale differenza di durata non dovrebbe essere percettibile. Tranne quando, appunto, le voci sono solo in giapponese e inglese, mentre i testi sono tradotti in molte più lingue: in quel caso la dissonanza è inevitabile».
Ci sono quindi diversi fattori che vanno a influenzare come un testo viene tradotto da una lingua all'altra, ma un dettaglio da non trascurare è smettere di considerarne una più "corretta" di un'altra.
Ma come si diventa traduttori di videogiochi?
A questo punto mi domando se esista un videogioco che è riuscito a mettere davvero in difficoltà le sue competenze e la sua esperienza, perché difficile e impegnativo da tradurre, e la risposta di Virginia Petrarca è secca: «direi Octopath Traveler II e Chrono Cross: The Radical Dreamers Edition a parimerito» mi confida, anche se non può entrare in ulteriori dettagli per motivi di riservatezza legati al lavoro.
E Petrarca mi ribadisce che sì, i traduttori di videogiochi spesso sono amanti di videogiochi. Meglio ancora se sono bei videogiochi. Quando chiedo quale sia stato, allora, il suo progetto preferito da giocare, tra i tanti tradotti, la risposta è pronta:
«Triangle Strategy, sia da tradurre che da giocare, decisamente».
Arrivata qui, la domanda si pone praticamente da sola: Petrarca mi parla di traduzioni di opere che ho amato ed è spontaneo chiedersi come si arrivi a diventare traduttori di videogiochi di professione.
Quando gli domando quali consigli possa dare ai nostri lettori che vogliono provare a seguire le sue orme, il traduttore mi spiega:
«Per quanto riguarda lo studiare, direi imparare non solo benissimo la lingua di partenza da cui si vuol tradurre, e conoscere molto bene la cultura in cui viene parlata, ma anche e soprattutto imparare a scrivere perfettamente in italiano e saper scrivere dei dialoghi pregnanti, quindi se possibile un corso di scrittura creativa più che di traduzione tout court.Anche deontologia e teoria della traduzione, certamente, sebbene siano già più fattibili da autodidatti acquistando dei testi autorevoli (anche se penso siano quasi tutti in inglese)».
E poi c'è una regola universale, che vale anche per gli aspiranti traduttori: «per migliorarsi non c’è niente di più valido dell’esercizio continuo, ovviamente, dello sfidare se stess* e di fare magari delle traduzioni di prova di giochi che piacciono, anche semplicemente accendendo il gioco e traducendo con carta e penna le righe di dialogo!» suggerisce Petrarca.
Una volta acquisite abbastanza competenze e quella fiducia in se stessi che basta a buttarsi e provare a farne un lavoro, però, come muoversi per trovare delle assegnazioni? Ogni esperienza, come sempre, è un caso a sé, ma Virginia mi sottolinea l'importanza di inserirsi negli ambienti lavorativi dedicati, un passetto alla volta:
«Quanto al proporsi, per me ha fatto tantissimo uscire e conoscere persone già inserite nell’ambiente in occasioni legate sì al nostro lavoro, ma in cui fosse possibile chiacchierare del più e del meno. Fare networking, insomma.C’è da dire però che quando l’ho fatto mi trovavo in Giappone, che è una scena decisamente più popolata e ricettiva anche dal punto di vista degli incontri di persona rispetto all’Italia. Penso però che proporsi online in spazi simili possa essere altrettanto efficace».
Attenzione anche al sottovalutare quello che si sta facendo, a declassarlo a passatempo: un approccio che rischia di fare male a tutti, oltre che a se stessi.
«E in tutte le occasioni essere umili e pront* a imparare, non solo agli inizi, ma sempre» rimarca Petrarca. E aggiunge: «oh, e per finire, consiglierei di perseverare e di non scoraggiarsi se, una volta iniziate le attività, non arriva abbastanza lavoro: bisogna sbattere la testa per un sacco di tempo prima di cominciare a riceverne a sufficienza se si vuol farne la propria attività a tempo pieno (e se volete tradurre, vi prego, non fatene 'un passatempo a cui dedicarsi quando vi stufate del vostro lavoro principale': ne abbiamo anche troppe di persone così nell’industria e hanno fatto solo male a chi invece conta di sostentarsi con le sue traduzioni!)».
È fondamentale avere sempre voglia di imparare – un consiglio prezioso, che va anche al di là del solo ambito del tradurre videogiochi.
E se il lavoro di Virginia Petrarca è sempre stato, in qualche modo, anche il vostro sogno, ora sapete cosa fare.