Yakuza è più un’intuizione che un progetto studiato a tavolino. Un’intuizione firmata da Toshihiro Nagoshi, il cui timbro si ritrova su Super Monkey Ball, F-Zero e Scud Race, titoli che mai sarebbero sfociate nella realizzazione di un free roaming come il protagonista di questa nostra retrospettiva. Erano gli anni successivi al successo di Shenmue, creato dal tean AM2 di Yu Suzuki, col quale Nagoshi aveva collaborato nei primi anni della sua attività: la sua crescita professionale passa dalla necessità di creare un intrattenimento più adulto, più maturo, che possa sfociare in un perfetto connubio con Hase Seishu. Reduce dalla trasposizione cinematografica di Sleepless Town e The City of Lost Souls, Seishu con il suo scenario permise ad Arthur Wong di portare a casa premi che decisero di valutare positivamente la storia di Kenichi, un martire della lotta contro il mondo della malavita di Kabukicho, il quartiere di Shinjuku, a Tokyo, che più iconicamente viene assegnato alla yakuza. Dopo aver raccontato la lotta all’organizzazione criminale, per Seishu si aprì la breccia all’interno del mondo della yakuza, che Nagoshi decise di raccontare partendo proprio da una versione fittizia di Kabukicho. Nasce così, pronto alla release fissata per il 2005, Yakuza, il primo titolo di una longeva saga firmata da Toshihiro Nagoshi, che in Giappone viene distribuito col nome di Ryu ga Gotoku: un beat’em up con qualche elemento da RPG, abbondantemente story driven, per raccontare al meglio le vicende che videro coinvolto Kazuma Kiryu. Il successo in territorio nipponico, però, non trovò altrettanto successo in Occidente.
Yakuza aveva una grande storia da raccontare, una vicenda che partiva innanzitutto dal forte concetto dell’onore, cardine della cultura giapponese. Ancor prima di infilarci, però, nelle strade di Tokyo per vivere quella che divenne la presa d’aria definitiva per Kazuma, reduce da dieci anni di carcere per il sospetto omicidio di Dojima, Yakuza impattava pesantemente su quella che era l’ideologia giapponese: un prodotto creato per una cultura specifica, che comprende l’importanza dell’organizzazione criminale del Giappone, che riesce a sviscerare il perché della possibilità, per i componenti del clan, di camminare a piede libero, di poter essere riconosciuti quotidianamente tra le strade di Kabukicho, con il loro dragone tatuato sulla schiena, vestiti in maniera elegante e sovente scortati da piacevoli presenze femminili. Loro procedono, come Kazuma a Kamurocho, assicurandosi che tutto sia in ordine e in regola, guadagnandosi il rispetto non solo della popolazione, ma anche di uno dei governi più selettivi e regolamentati del nostro pianeta. Nagoshi , nel suo tentativo di raccontare questa realtà a un pubblico occidentale, probabilmente aveva ben chiaro che la missione sarebbe stata ostica: d’altronde se non vivi il Giappone, se non vivi l’incontro con un membro della yakuza, sentendone il suo peso che ti sfiora mentre cammini nel quartiere iconico di Shinjuku, non cogli il valore che trasmette questo aspetto della cultura giapponese. Yakuza in ogni caso arrivò in Occidente, nonostante Nagoshi fosse ben consapevole di quello che sarebbe stato il risultato di tale operazione: con tutti i crismi del caso, però, Sega volle provare e riprovarci con Yakuza 2. L’uccisione di Yukio Terada, uno dei fondamentali capi del Tojo Clan, rischiava di far scoppiare una guerra tra clan all’interno della criminalità organizzata: Kazuma, quindi, è chiamato a mantenere la calma, con il suo aplomb quasi da samurai, e prevenire qualsiasi problematica, conducendo Daigo, il figlio di Sohei Dojima, alla leadership del clan. Hase Seishu scrive uno scenario ancora più dettagliato, più corredato di interlinee politiche, di vicende inerenti l’intreccio delle famiglie che tessono la fitta metropoli di spostamenti della criminalità organizzata, un sottobosco che a Tokyo si fa più fitto della stessa metropolitana che collega la città da Nakano a Odaiba. Chiaramente l’impegno viene premiato in Giappone, e lo sforzo si tramuta nel risultato di diventare il terzo gioco più venduto per PlayStation 2 nel 2006, con quasi un milione di copie. L’Occidente, invece, lo accoglie diversamente e in Nord America totalizza appena 40mila copie, confermando la difficoltà che negli occhi e nelle idee di Nagoshi si era già palesata. Sega non demorde, però, e con Yakuza 3 tenta un’altra carta: diminuisce l’attesa tra la release asiatica e quella occidentale per mantenersi al passo con i tempi e contrastare l’invecchiamento precoce del suo prodotto, ma la corsa e la fretta per tentare l’ennesimo assalto ad America ed Europa porta la produzione a rendere il terzo capitolo un prodotto monco, privo di molti elementi, tra cui le attività secondarie e annesse. Yakuza 4, quindi, rappresenta l’inversione di marcia, ma allo stesso tempo l’ultimo tentativo, annunciato, di Sega.
Passa un anno esatto e la mossa a sorpresa di Sega è quella di portare in Occidente Dead Souls, l’ironico spin-off che Nagoshi aveva pensato per poter realizzare una semplice operazione di teasing per Yakuza 5, il suo capitolo da summa, il suo temporaneo capolavoro, in attesa di un nuovo grande capitolo. La particolarità dello spin-off, il primo a uscire dal Giappone, è facilmente comprensibile sin dal suo nome, perché il titolo che debutta su PlayStation 3 nel 2011 e un anno dopo in Occidente, ha per protagonista le armi da fuoco e gli zombie. Una soluzione talmente banale da convincere la produzione a portare il titolo anche in Europa, dove, a loro idea, ci sarebbe stata una nuova possibilità per saga. D’altronde gli zombie, si sa, hanno sempre avuto il loro fascino e la loro grande capacità di impatto sul mondo dell’intrattenimento; fatto sta che anche Dead Souls, se non più dei precedenti, realizzò un clamoroso flop di vendite. In Giappone le vendite non andarono oltre il mezzo milione, diminuendo di molto il totale dei primi capitoli, e in Europa il non classificato fu micidiale. Per recuperare le sorti di una saga che sarebbe altrimenti rimasta ancorata in casa propria bisogna aspettare il colpo di testa di Sony, che nel 2013 inaugura la sua nuova divisione, la Third Party Production. Era l’agosto del 2013 quando Sony decise di annunciare tale iniziativa: un ponte che avrebbe permesso a molte IP di terze parti di approdare su console PlayStation in maniera più alacre, più rapida. Fu la sorte che toccò, piacevolmente, a Borderlands 2 su PlayStation Vita e che poi portò alla pubblicazione in Europa di Final Fantasy Type-0, noto originariamente come Agito XIII, e successivamente anche Yakuza 5. Acclamato dai fan che pretendevano il perorare da parte di Sega in un’attività oramai distruttiva, per un investimento che non era mai riuscito a produrre alcun risultato nel nostro continente e in quello americano, fu lo stesso director di Third Party Production ad annunciare che la spinta dei fan aveva convinto Sony a supportare la distribuzione occidentale del nuovo lavoro di Nagoshi. Capitanati, così, da Gio Corsi, reduce da un’esperienza quadriennale alla LucasArts, i membri del nuovo team Sony si adoperano per far sì che i fan possano essere accontentati e tre anni dopo la release in Giappone, Yakuza 5 è realtà occidentale, che risale al 2015, un anno dopo l’annuncio al PlayStation Experience del dicembre precedente. Kazuma è chiamato all’ennesima opera di controllo nella sfida tra clan, che stavolta vede opporsi il Tojo Clan e l’Omi Alliance, una sfida che condurrà le vicende di Yakuza fino a Fukuoka. Da lì in avanti Corsi fa la felicità dei fan, perché sempre nel dicembre, ma del 2015, annuncia che Yakuza 0 sarebbe stato localizzato e portato anche in Europa. Da lì in avanti la storia si fa recente e arriviamo ai giorni nostri, in attesa del prossimo 24 gennaio per il prequel che ci riporta a Kamurocho, nei panni di un giovane Kazuma, e che poi condurrà a Yakuza Kiwami, il remake del primo capitolo, a raggiungerci nel corso dell’estate e infine Yakuza 6, il capolavoro di Nigoshi, che in Giappone, nel mese di dicembre, ha già spopolato, con quasi 300.000 copie in tre settimane. Tutto questo, però, appartiene al futuro e ne parleremo in un’altra sede.
Yakuza ha avuto una storia travagliata in Europa, ma anche in America: la saga di Nagoshi, che in Giappone ha colpito l’intero mercato videoludico tanto da arrivare alla produzione di sei capitoli più spin-off e remake e collector in HD, in Occidente non ha sfondato come si sperava. Eppure il continuare a insistere da parte di Sega è la dimostrazione di un grande affetto da parte di una nicchia di affezionati, che continua ad attendere la release di un titolo che, come dimostrato da Yakuza 0 nelle sue prime ore di gioco, ha un dettaglio talmente profondo da non far sentire minimamente la sua vecchiaia. Yakuza resta una saga che nella sua narrazione, nella sua profondità, riesce a colpire la maggior parte delle corde che l’intrattenimento suona col suo strumento. Il suo dramma e il modo in cui racconta la politica criminale, di come ci fionda nell’universo della malavita organizzata giapponese: innamorarsi di Kamurocho è il primo passo per sentirsi a Tokyo, in quello spettacolo di luci e di emozioni che è Kabukichoo, uno dei quartieri più impregnati del profumo della yakuza. Il capitolo Zero, adesso, è il momento giusto: Kazuma Kiryu aspetta voi, e a voi toccherà condurlo a diventare il Drago di Dojima.