Il 30 giugno 2017 è uscito Crash Bandicoot N Sane Trilogy su PlayStation 4, lo sappiamo tutti. Per molti dei nati nel corso degli anni Novanta il marsupiale arancione ha infatti rappresentato un compagno inseparabile delle vacanze estive. C’era solo un’altra cosa che lo affiancava: Giochi Senza Frontiere in televisione. Una manifestazione inventata da Charles De Gaulle dove atleti principalmente franco-italiani si sfidavano amichevolmente in prove a metà tra il didattico e il demenziale. Un parallelo potentissimo: il pomeriggio si spaccavano casse in isole australiane coloratissime, la sera si guardavano atleti competere in set ugualmente sgargianti. Ma oggi non parleremo di Crash. Piuttosto rimarremo nell’argomento “Giochi senza Frontiere” per proporvi una interessante variazione. Per ogni puntata prenderemo una delle tante prove che la trasmissione ha proposto in una delle sue edizioni e la assoceremo a un gioco uscito più o meno nello stesso periodo. Benvenuti alla prima puntata di Videogiochi Senza Frontiere!
Il Saladino che rotea (e commercia)
L’edizione 1993 di Giochi Senza Frontiere viene ospitata a Venezia. Una delle primissime sfide consiste nel raggiungere (tramite una “nave” composta da due atleti) un manichino a forma di saraceno. Fatto questo un terzo atleta (sopra la nave) deve srotolare una veste dalla vita del pupazzo, evitando al contempo i “colpi” che il saraceno assesta girando su se stesso. La metafora era abbastanza semplice: la Repubblica di Venezia comprava merci pregiate dall’oriente e si scontrava con i Mori per preservare i propri scambi.
Adesso, pensiamoci un momento: ogni giocatore degli anni Novanta ha virtualmente fatto una cosa simile, almeno una volta. Magari non con il manichino che ruota, ma per ogni stratega da PC il controllo e la difesa delle rotte commerciali è sempre stato un punto importante. E molti l’avranno imparato grazie ad Age of Empires II: The Age of Kings. Un gioco dove il comprendere (prima) e controllare (poi) le rotte commerciali di ciascuno scenario era impresa degna di un’estate.
Comunità prima, impero poi
Age of Empires II: The Age of Kings esce nel 1999, sviluppato da Ensemble Studios e pubblicato da Microsoft. È il seguito di quello che per i tempi era stata una sorpresa inaspettata: il primo Age of Empires aveva riscosso unanimi consensi, rendendo popolare la strategia in tempo reale. Age of Kings raccoglie ancor più successo, e si merita a sua volta un’espansione: The Conquerors, che viene pubblicata l’anno successivo e include la conquista delle Americhe. Il titolo Ensemble è rimasto popolare ancora oggi, tanto da invogliare Microsoft a sviluppare altre tre espansioni inedite dopo che nel 2013 il gioco venne ripubblicato su Steam in HD.
Se il primo ricopre il mondo classico (con la Grecia nel gioco base e Roma nella successiva espansione), per il sequel si prosegue banalmente (ma efficacemente) nella storia: dal mondo antico si passa al medioevo. Gli sviluppatori ne approfittano per portare in scena le vicende di grandi personalità dell’epoca, dalla campagna tutorial di William Wallace al Saladino, passando ovviamente per Barbarossa e Giovanna d’Arco.
Iniziava tutto dalla scelta di una civiltà tra le tredici disponibili. Una decisione che è come il personaggio di un picchiaduro: ci si affeziona, si comincia a conoscerla e a familiarizzare con il disegno degli edifici e delle sue “miniature” (unità). Dalla creazione dei lavoratori e la costruzione delle strutture, fino all’accumulo di risorse e alla creazione dell’esercito, il miglioramento rispetto al precedente è netto e preciso. Ecco quindi che ben presto la cittadina si popolava di abitanti, subito assegnati al cibo, alla legna, alla pietra. Age of Empires II era costruito per lavorare in progressione: a fronte di un inizio lento, la produzione sarebbe andata crescendo progressivamente. Un’idea che da bambini spesso si traduceva nell’accumulo a oltranza delle risorse, nella soddisfazione di vedere gli zeri crescere sui contatori dell’interfaccia.
Più di un Nano di Tolkien
Ovviamente, non c’è risorsa più invitante dell’oro. Nel gioco si poteva ottenere in svariati modi: il più banale era quello di mandare un abitante del villaggio (lavoratore) a estrarlo dalle miniere. Il metodo intermedio era quello del Monastero: si creava un monaco, lo si mandava a prendere una reliquia e gliela si faceva portare a “casa”. Fintantoché il prezioso oggetto sarebbe rimasto lì, avrebbe garantito un flusso costante di metallo giallo. Non rimaneva che andare a cercarne altre, in modo da incrementare le entrate.
E infine, c’era il metodo “da pro”; da quello che da bambino a momenti neanche bastava il 10 e lode in matematica: la compravendita. Non sappiamo che farcene di tutta la pietra, il legno e il cibo che si sta accumulando? Vendiamola e riceveremo oro in cambio. Un atto che il gioco dipingeva come scontato e semplice come costruire il mercato apriva alla nostra mente di infanti esteso come una galassia. Il tasso di cambio si aggiornava dopo ogni transazione, diminuiva se ne vendevi tanta e si manteneva stabile se eri regolare nei commerci.
Tutto bellissimo, ma poteva diventarlo ancora di più. Il modo per farlo era la creazione del Carro da Carico e della Nave da Carico. Queste piccole unità erano un altro modo per accumulare moneta: bastava selezionarla e ordinargli di andare a un mercato (o un porto) di un altro giocatore. Il veicolo avrebbe fatto la propria strada e avrebbe riportato oro, in quantità variabile a seconda della distanza. Qualcosa che sfiduciava, dato che i soldi virtuali accumulati sembravano sempre troppo pochi. Era in quel momento che arrivava l’intuizione di bambino: farne tanti. Un flusso in continuo movimento che non si fermava mai. Oltre a commerciare con ogni mercato che avesse un colore diverso dal nostro, era anche uno dei primi indizi che il manuale di gioco (un tomo ancor oggi notevole) poteva dire qualcosa di utile a riguardo. Ed ecco qui, di nuovo, la svolta: il commercio via carro o nave non impiega nessuna “vera” risorsa virtuale faticosamente accumulata. Ecco qui la scintilla per tutto l’oro del mondo (virtuale).
La galleria commerciale
Ma se si può commerciare con tutti, è anche vero che in Age of Empires II non si può essere alleati di tutti. E quindi le rotte
commerciali con i nemici non solo divenivano presto impraticabili, ma gli avversari andavano a cercare anche quelle con i nostri alleati. Tanto che il gioco incentrava un’intera missione single player (della storia di Saladino) su questo compito. Ecco qua il passo successivo: l’esercito. Un procedimento che passava per gli alloggiamenti per creare e migliorare le truppe. Ci si organizzava, si voleva l’unità più forte subito. Tanto che, se si riusciva a farlo, rendeva possibile anche il commerciare coi nemici. Il rischio che i carri venissero attaccati e distrutti veniva aggirato costruendo dei veri e propri “corridoi” di fortificazioni e posti di guardia. In questo modo si raggiungeva agevolmente il più lontano dei mercati “avversari”. E se questo funzionava, faceva lievitare ancora di più le già notevoli durate delle partite. Tanto che nonostante tutto, alla fine sconfiggere il nemico quasi non conveniva più.
Costruire imperi estivi è stata l’attività videoludica parimenti potente a quella dello spaccare casse o di un grande JRPG. Age of Empires II ed espansioni facevano parte di questo tipo di giochi. Anche se ai tempi dell’infanzia non potevamo saperlo, stavamo imparando a gestire una comunità virtuale e a organizzarne la vita. Il commercio era il passo superiore, l’universo di conti che si apriva costruendo un mercato. Non solo divertimento, ma edutainment: il ricordo di infanzia che ci insegnava cose anche quando le scuole erano chiuse. Il tutto alternandolo ai sempreverdi (per gli anni Novanta) Giochi Senza Frontiere. Rimanete con noi per altri Videogiochi senza Frontiere!