Uncharted 3: L'Inganno di Drake

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a cura di Fatum92

“Tutti sognano, ma non allo stesso modo. Coloro che di notte viaggiano nei polverosi recessi della loro mente, si svegliano scoprendo che i sogni sono illusione. Coloro che sognano di giorno sono uomini pericolosi, perché possono vivere i loro sogni a occhi aperti, e realizzarli. Io sono uno di questi”

Si apre così la terza avventura del simpatico Nathan Drake, ancora una volta deciso a farci sognare grazie alle sue straordinarie gesta. Con lui abbiamo esplorato alcuni dei luoghi più inospitali del pianeta, alla ricerca di qualche tesoro perduto e antichi misteri. Alla fine però non è tanto la meta l’importante, quanto il viaggio e soprattutto chi ci accompagna, coloro al nostro fianco, perché in fondo il vero tesoro sono le persone a noi più care, quelle che ci seguirebbero ovunque, che farebbero qualsiasi cosa per noi. Persone come il buon vecchio Victor Sullivan, che di Uncharted 3: L’inganno di Drake sembra quasi esserne il protagonista. Un capitolo più maturo, sotto alcuni aspetti anche più profondo, con un finale che sembra quasi un addio, dal sapore dolce certo, ma un addio che lascia spazio persino a una sottile sensazione di tristezza, come fosse giunta la fine di un’epoca, come se si voglia chiudere i conti con il passato e si sia finalmente pronti ad abbracciare nuovi orizzonti e altre entusiasmanti esperienze. In attesa che il futuro ce le riveli, godiamoci questa.Da umili origini verso grandi impreseQuando le prime immagini iniziano a scorrere velocemente davanti ai nostri occhi, cinema e videogioco si uniscono in un unico telo, come tante pezze, inutili se prese singolarmente, ma che, se cucite insieme, distruggono la barriera che le separa per andare a creare un ibrido eccezionale. Non esiste confine tra cut-scenes e gameplay, quasi a incutere timore allo spettatore/giocatore, indeciso su quando effettivamente prendere parte all’azione, per poi scoprirsi partecipe anche dei momenti più improbabili. In questo, l’inizio della storia riesce alla grande, seguendo una linea precisissima e ferrea, senza però dimenticarsi di lasciarci un po’ di libertà, per quanto illusoria. Un’illusione, come le tante del gioco, creata alla perfezione. Dopo una scarica di adrenalina, l’emozione si placa, e Uncharted 3 decide di mettere in mostra un altro aspetto importante: i personaggi. La crescita si nota da subito, con uno sviluppo caratteriale che si permette di scavare più a fondo nell’anima dei protagonisti, fino a trasportarci nel loro lontano passato. I richiami si sprecano e la trama prosegue dritta per la sua strada. Tuttavia a un certo punto vi è come un punto di rottura, un bivio, un inaspettato progresso narrativo, e gli avvenimenti si fermano a uno stop per poi proseguire in un’altra direzione, scindendo in due tempi l’avventura.

Come un granello di sabbia nel desertoA quel punto entra in scena un altro dei indiscussi protagonista della storia: il deserto. Magnifico: infinite dune di sabbia si perdono all’orizzonte come onde del mare in una soleggiata e cocente giornata estiva. Mentre accompagniamo Nate, disperso in un immenso paesaggio, restiamo rapiti dall’impatto scenico e artistico della situazione. Visivamente una delle cose più stupefacenti mai apparse sui nostri schermi, per una delle sequenze più memorabili di tutta l’avventura. Spettacolare: nel senso scenografico del termine, semplicemente incantevole, e la indimenticabile colonna sonora non fa altro che accentuare tutto questo, seguendoci sempre fedelmente nell’azione. Il prezzo da pagare per cotanto splendore è la sensazione che in questo caso l’illusione non regga, rendendo la scena (mai termine più corretto) estremamente penalizzante a livello di interazione. Davanti a tanta bellezza rimane però difficile lamentarsi. Nonostante il realismo che qualifica l’ambientazione desertica come l’apice della avanguardia tecnica dell’intera generazione di console, molti altri panorami e vedute mozzafiato costellano il viaggio, armati di una carica di dettagli, colori e vita, da lasciare letteralmente a bocca aperta. Ed è in questi scenari perfettamente realizzati che si assiste all’evolversi di situazioni portate al limite tra cinema/videogioco. Quello a cui prendiamo parte non è però un film, gli elementi classici non vengono quasi mai sacrificati, la storia non va avanti da sé. Si è guidati nell’azione, ma sono molti i combattimenti di libera interpretazione, almeno quelli che seguono e precedono i momenti più spettacolari. Anch’essi comunque impegnativi, seppur sempre pronti a tenerci per mano, ma evitando di trascinarci banalmente a una scontata conclusione. Proprio come i luoghi, veri e propri set cinematografici, la varietà dei fattori che costituiscono l’opera non consente alla noia di prendere il sopravvento, rendendo piacevoli e scorrevoli le poche ore trascorse in compagnia di Drake e compagni.

Com’è in alto, così è in basso L’azione più ragionata del primo tempo della storia cattura con enigmi semplici, ma ben più interessanti di quelli passati, non mancando di divertire e soddisfare al momento della risoluzione. E la medesima cosa la si può dire per i frangenti platform, resi più funzionali e adeguati alle circostanze. Visto come la narrazione segue di pari passo il gameplay, e viceversa, tali elementi vengono in parte stravolti dal cambio di regia del secondo tempo dell’avventura. Le arrampicate, le rocambolesche fughe a perdifiato e l’aspetto avventuroso di indizi da decifrare, subiscono una brusca frenata. Abbandonando tali caratteristiche il filo narrativo raggiunge un momento di stallo, dove quasi ogni cosa è ormai stata svelata. Ritorniamo così alla spettacolare scenografia del deserto, il punto di congiunzione tra i due tempi. Le fasi finali abbondano di violenti combattimenti a base di armi da fuoco, spesso poco rispettosi nei confronti del povero Nate, sommerso da una quantità di avversari decisi a tutto pur di mettere fine alla sua vita. Come le scorse imprese ci hanno insegnato, lo spavaldo cacciatore di tesori non è certo un tipo di cui sbarazzarsi facilmente. Oltre alla grande abilità con pistole, fucili, granate e quant’altro, le novità più rilevanti risiedono nei cinematografici combattimenti corpo a corpo, enfatizzati enormemente in questa loro terza apparizione. La parola complessità risulterebbe ancora inappropriata, ma alcune idee intelligenti mettono in campo nuovi interessanti approcci, pur rimanendo tuttora ancorati ai difetti del passato, soprattutto quello di una ripetitività di fondo eccessiva. Maggior vigore è stato dato anche alle sessioni stealth, attuabili a piacimento in svariate occasioni, con nuovi metodi da sfruttare per liberarsi silenziosamente dei nemici sfruttando l’ambiente circostante.

L’inganno di DrakeQuando poi sopraggiunge la fine, amareggiati, consci che pochi minuti ci separano dai mai così odiati titoli di coda, si percepisce in parte la delusione lasciata dall’incompiutezza di alcuni fattori. Il primo pensiero va alla trama, inizialmente promettente, ma che via via perde inevitabilmente la sua lucentezza, obbligando le location dell’immenso deserto ad adempiere all’oneroso compito di focalizzare su di loro tutta l’attenzione. Fortunatamente però il finale osa meno che in passato, e se in prima battuta si rimane spiazzati dall’evolversi degli avvenimenti, l’esperienza arriva alla conclusione in maniera più concreta degli episodi precedenti, dimenticandosi tuttavia di fare luce su alcuni aspetti e personaggi che sarebbero potuti essere approfonditi meglio, in modo da chiudere impeccabilmente quanto appena vissuto. Inoltre l’avventura giunge al termine fin troppo velocemente, ad un ritmo tutto suo particolare. Picchi di assoluta eccellenza si alternano a fasi solamente riuscite: si parte col botto per poi proseguire a velocità non sempre costante, soprattutto in vista degli ultimi capitoli, appesantiti dalle lunghe sparatorie, ma subito alleggeriti dalla intensa sezione finale. Nel giro di circa 7-8 ore è possibile visionare l’ultimo filmato, non senza la voglia di rivivere almeno una seconda volta i momenti più salienti. L’emozione della campagna principale viene poi trasferita in una modalità Multigiocatore Online e in una Cooperativa, entrambe ben realizzate e in linea con lo spirito cinematografico della serie, che permettono di assaporare ancora l’atmosfera di Uncharted.

La nuova generazioneL’impressione finale è che si sia voluto mettere troppa carne al fuoco, non riuscendo in tutti i casi a dare la giusta importanza ad alcune delle sequenze più memorabili, talune apprezzabili meglio al secondo giro. Se Uncharted 2: Il Covo dei Ladri si ricorda per la maestosità messa in mostra con la scena del treno, punto focale su cui ruotava l’intera vicenda, in questo episodio non si assiste a una fase di eguale caratura, soprattutto per estensione. I momenti da tenere in considerazione sono tanti, ma spesso fin troppo brevi. Se tra tutti dovremmo scegliere, in verità, finiremmo ovviamente e, ancora una volta, ad incoronare il passaggio (e l’arrivo) nell’inospitale distesa sabbiosa come il punto migliore, che più si distacca dai capitoli antecedenti, che più lascia il segno. Uncharted 3: L’Inganno di Drake è però puro e divertente spettacolo. Ogni cosa è volta a creare stupore nello spettatore. Sebbene in alcuni casi la produzione “fallisca” per colpa di inezie, sia ludicamente che tecnicamente parlando, in tutti quelli restanti riesce sapientemente a sfruttare ogni minima risorsa a sua disposizione per restituire un impatto generale fuori parametro, perché è proprio l’incredibile coesione di ogni singolo elemento a rendere il risultato finale un vero e proprio successo. La tecnica non sarebbe comunque in grado di ammaliare se non fosse guidata da un’incredibile ispirazione artistica, tale da rendere giocabilità, cinema, musica e tecnica, parti indissolubili di un’unica pietra preziosa di grande valore. Come alle prese con un miraggio, si rimane stregati dalla cura riposta in alcuni dettagli. Ciò nonostante a svelare l’illusione, purtroppo, sono delle piccolezze: briciole, granellini, frammenti, che a un occhio esperto risultano visibili, sporcando inevitabilmente lo schermo con minuscole (ma non trascurabili) macchie che ci riportano alla realtà. Eppure, incredibilmente, a volte la finzione riesce a superare questa cosiddetta realtà: Nate è vivo, reagisce all’ambiente circostante, i suoi movimenti appaiono umani, la sua voce naturale (presa in prestito da Matteo Zanotti, uno dei tanti illustri doppiatori italiani, come anche Claudio Moneta, presenti nel gioco), ma anche qui l’entusiasmo svanisce spesso, quando alcune imprecisioni o incertezze ci fanno capire che seppur si sia raggiunta probabilmente la massima vetta dello splendore grafico moderno, il lavoro da fare è ancora tanto…

– Spettacolare

– Trama più profonda

– Varietà di situazioni alta

– I combattimenti corpo a corpo assumono maggior importanza

– Prima parte dell’avventura condita di enigmi interessanti

– Tecnicamente il top!

– Parziale disequilibrio tra puzzle ambientali e gli altri elementi

– Alcune parti della storia non sempre convincenti

– Poco innovativo

– In alcune circostanze si nota una limitata interattività

– Longevità nella media

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Uncharted 3: L’Inganno di Drake è come il deserto: splendido, calmo, silenzioso, ma imprevedibile, rumoroso, immenso. I granelli di sabbia rappresentano l’anima dell’opera: uniti creano un qualcosa di spettacolare, senza arrischiarsi nel voler stravolgere le esperienze passate: le umili origini. Ogni cosa è invece saggiamente limata, avvalorata da piccole novità. Un mix di combattimenti, a loro volta suddivisi in ottimi e impegnativi scontri a suon di proiettili e lunghe e divertenti scazzottate, affiancano sequenze platform semplici, ma inerenti al contesto dell’azione. Una quantità maggiore di piacevoli enigmi, completa, insieme alla trama, un lavoro di altissimo livello, reso unico proprio dalla naturale unione di questi elementi. Non meno importante la caratterizzazione grafica, altro tassello fondamentale. Alla fine tutto si incastra quasi alla perfezione, andando a creare un mosaico di eccezionale qualità. Quasi, perché alcune cose non convincono ancora fino in fondo; quasi, perché la narrazione appare contraddistinta da un ritmo un po’ particolare, tagliato di netto, e che si concede persino di instillare qualche dubbio; quasi, perché lo spazio per migliorare c’è, e talvolta si vede; quasi, perché si avverte come un’indecisione, una linea sospesa tra la voglia di innovare e andare avanti, che mostra le sue debolezze quando poi continua a voltarsi indietro, richiamando troppe volte il passato, e dimostrando così un po’ di insicurezza. Tuttavia è impossibile non rimanere incantati dalla bellezza di alcune situazioni, non propriamente solo visive, quanto è possibile lasciarsi coinvolgere dalla simpatia dei personaggi, vivi e psicologicamente ormai maturi. Impossibile non lasciarsi travolgere dall’emozione di alcuni epici momenti. Impossibile non lasciarsi condurre in un’altra sorprendente avventura, come un granello di sabbia trasportato dal vento caldo nel deserto…

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