Il mercato vuole che tra la fine dell’anno e l’inizio di quello nuovo non esca praticamente nessun titolo e, circondati dal nulla cosmico, ai noi che piace tanto parlare e discutere di videogiochi, non resta altro da fare che prevedere quello che ci aspetta nei prossimi dodici mesi o, al contrario, analizzare quello che è stato, quali argomenti hanno surriscaldato i 365 giorni appena conclusi. L’analisi che vi proponiamo appartiene proprio a quest’ultima categoria e va a prendere in considerazione qualcosa che ci tocca da vicino, qualcosa che, se guardato di sfuggita e senza ricercarne le cause prime, non fa altro che strapparci un sorriso a trentadue denti, ma che se sviscerato e studiato senza fermarsi alle apparenze, rivela un retroscena piuttosto inquietante: vi siete accorti del continuo calo di prezzo dei tripla A? E se sì, vi siete chiesti il perché?
Si sta come gli sceicchi
Come tutte le storie, anche la nostra ha un inizio, esattamente nel nostro portafoglio che, se anche gonfiato dalle piene delle festività sotto forma di mance o tredicesime per chi lavora, tende inesorabilmente a svuotarsi davanti alla noia e alla necessità di riempire i tempi morti delle vacanze. Per chi come noi ama gettarsi sul divano pad alla mano o stare seduto davanti ad una scrivania con mouse e tastiera, l’investimento dei tanto sudati risparmi finisce tutto in videogiochi e affini. Ma qualcosa è andato diversamente questa volta e se negli anni passati, tralasciando gli sconti di Steam o i corrispettivi per Xbox e PlayStation, si riusciva a malapena ad inserire nella propria libreria uno o al massimo due titoli di primissima fascia, basta fare un giro virtuale per i vari store o recarsi in un negozio fisico per rendersi conto che anche i cosiddetti tripla A ti vengono in questi giorni quasi gettati addosso, i prezzi sono tagliati da continui sconti o, addirittura, decurtati definitivamente, abbassando pesantemente la fatidica soglia dei 60 euro e rotti. Giusto per fare qualche nome ed osservare ciò che accade nel momento in cui battiamo sulla tastiera: su Amazon, Titanfall 2 costa poco meno di 30 euro, Unieuro svende Call of Duty: Infinite Warfare a 30€, mentre Doom su Steam ha raggiunto nelle ore passate un prezzo decisamente inferiore a quello di lancio, così come Deus Ex: Mankind Divided spesso e volentieri viene alleggerito di oltre il 60%. Stiamo parlando di alcuni dei titoli di punta di questo 2016, alcuni dei quali inseriti recentemente nei goty da molte testate online e cartacee e se allargassimo lo sguardo anche su produzioni leggermente meno recenti o più di seconda fascia, la scelta esploderebbe letteralmente e la lista degli acquisti a prezzi stracciati si allargherebbe a dismisura. Insomma, sembra di trovarci tutto d’un tratto nel paese del Bengodi e che le lamentele sui costi eccessivi non siano altro che un brutto ricordo: per noi normali consumatori è un momento d’oro, fino a pochi mesi fa, mai ci saremmo potuti immaginare questa abbondanza di offerte e di tagli, forse il backlog accumulerà proprio come noi qualche chilo sui fianchi, ma in fin dei conti chi se ne frega, bisogna approfittarne finché si è in tempo. Per citare Dickens viste le recenti festività, potremmo pensare che il fantasma dei Natali precedenti sia passato negli studi di Activision o che abbia tormentato i sogni di Electronic Arts solo per fare qualche nome e che i publisher, colti da un improvviso attacco di buon animo, abbiano capito il momento difficile per la nostra economia e si siano messi la mano sul cuore e pentiti delle loro – presunte – malefatte del passato. Decisamente no, la situazione è molto meno poetica e, non ce ne voglia l’autore inglese, nessuno è mai stato toccato da visioni oniriche edificanti, la bontà è quanto mai lontana dalle reali motivazioni dei tagli e tutto si riduce ad una vera e propria rat race, una corsa verso il basso con tendenze autodistruttive.
Rosso profondo
Torniamo indietro di qualche settimana per scorgere i primi segni dell’apocalisse, perché davvero mancava giusto il drago dalle sette teste ad accompagnare alcuni titoli scritti a caratteri cubitali che sbattevano in faccia al lettore la scarsa salute di alcune IP. Le ricerche di NPD hanno ad esempio sottolineato come le vendite – almeno delle copie fisiche – di Call of Duty: Infine Warfare siano state nel primo mese dopo il lancio inferiori del 50% circa rispetto a quelle di Call of Duty: Black Ops III. Questi numeri vanno presi con le pinze, non riguardano le copie digitali, un mercato in continua crescita, ed inoltre il nuovo Call Of Duty è stato il primo ad escludere le vecchie PlayStation 3 ed Xbox 360. Rimane comunque chiaro il segnale che qualcosa si sia inceppato. Altro titolo, situazione simile. Stiamo parlando di Dishonored 2, un titolo capace di migliorare il suo già ottimo predecessore, ma che a discapito della propria innegabile qualità, non è riuscito a bissare le vendite del capitolo precedente, scese circa del 40% se si prende in considerazione per entrambi i titoli la finestra di lancio. Il terzo caso è forse il più esplicativo della situazione attuale e dei preoccupanti scricchiolii che provengono dal mercato. Il primo Watch_Dogs fu a detta di tutti un mezzo fiasco, anticipato da roboanti proclami e da trailer entusiasmanti, non riuscì poi a mantenere la gran parte delle sue promesse. Con Watch_Dogs 2 Ubisoft ha preferito mantenere un profilo più basso, ha imbastito una campagna di marketing funzionale al lancio e alla reale promozione del titolo, che si è rivelato poi una delle produzioni più riuscite dell’anno appena terminato. Se mettessimo sulla bilancia la qualità del primo e del secondo capitolo, il peso sarebbe decisamente sbilanciato verso quest’ultimo, eppure le vendite ci danno un’indicazione totalmente differente: almeno in ambito retail, le vendite di Watch_Dogs 2 sono state inferiori dell’80% rispetto a quelle di Watch_Dogs nella settima post-lancio. Un ultimo esempio lampante viene da Titanfall 2, lo shooter di Respawn Interactive capace di convincere critica e pubblico, grazie alle innovazioni apportate in materia di FPS, innovazioni che a quanto pare non sono state sufficienti a garantire al gioco vendite degne della sua qualità, dato che – ancora una volta – le copie vendute sono state circa la metà rispetto al suo predecessore. Basta fare due più due e subito si capisce come i due argomenti siano direttamente correlati, come il continuo taglio dei prezzi derivi non da un gesto di magnanimità di publisher&Co, ma come esso sia figlio di un momento ben preciso del mercato. In un’economia di mercato dove solo piazzando una copia in più rispetto al passato si riesce a sopravvivere e dove il profitto è l’unico modo di mantenere salda la baracca, è evidente come le scarse vendite suonino come un preoccupante campanello d’allarme, ancora di più quando non si vede la luce infondo al tunnel. Ecco quindi che per recuperare il gap si inizia una corsa al ribasso, allo sconto più conveniente per tirare acqua al proprio mulino, con la speranza che sventolando sotto il naso degli utenti cifre a tutti gli effetti vantaggiose si possano raggiungere le stime di vendita precedentemente stabilite. In effetti, almeno per chi scrive in questo momento, ha funzionato, visto che ho passato le mie vacanze in compagnia di BT-7274 e di Adam Jensen.
Come è la storia del cammello e della cruna dell’ago?
Le motivazioni dietro al taglio dei prezzi sono piuttosto chiare per chiunque si informi un minimo sui portali dedicati, basta scorrere qualche sito per accorgersi di come molti dei presunti bestseller siano rimasti tali solo sulla carta e quali siano stati per l’appunto i rattoppi piazzati per fermare la falla. Quello che forse è meno chiaro sono le motivazioni dietro alle mancate vendite, il come mai quello che tirava fino ad un biennio addietro ora non vada più così di moda. I detrattori di ciò che sono i videogiochi odierni hanno già il dito puntato contro la presunta scarsa qualità, perché è ovvio che i titoli sono tutti uguali, non c’è innovazione ed è quindi giusto che vendano meno. Falso, al contrario di quanto ci dice la pancia, il cervello ci porta a riflettere e a far vedere l’effettivo valore di molte delle produzioni attuali: Titanfall 2 è più ricco di contenuti e più rifinito rispetto al primo capitolo, così come Watch_Dogs 2, pur con toni più scanzonati e senza prendersi troppo sul serio, è riuscito a mettere molte pezze al precedente episodio, eppure entrambe le seconde iterazioni non hanno mantenuto le promesse in termini di vendite. I titoli di punta non hanno avuto rendite sotto le aspettative per loro demeriti intrinsechi, le motivazioni del minor successo economico vanno ricercate altrove e forse, dando un’occhiata alle finestre di lancio, già si intravede una delle reali cause: Watch_Dogs 2 è stato pubblicato il 14 novembre, Call of Duty: Infinite Warfare il 4 novembre, Titanfall 2 il 28 ottobre e Battlefield 1 il 21 ottobre. Nel giro di un paio di settimane l’industria videoludica ha sparato alcune delle sue cartucce più pesanti dell’anno, creando così un sovraffollamento di titoli meritevoli che, nel nome della tanto cara spendig review, difficilmente trovano tutti quanto spazio e risorse provenienti dalle tasche degli utenti. Allargando lo zoom, la situazione si fa ancora più critica, con innumerevoli produzioni che lottano spalla a spalla cercando di emergere in quello che è un panorama sempre più colmo, dove al fianco della qualità del gioco che il publisher lancerà sul mercato, contano sempre di più il marketing, con campagne pubblicitarie che inghiottono larghe fette dei budget che ruotano attorno al titolo in questione. Il mercato è saturo, questo è il vero perno del discorso, i giocatori sono dei punchball continuamente colpiti da nuove uscite e stare al passo con tutto non è difficile, è impossibile. Sperare che l’utenza riesca ad assorbire tutte le pubblicazioni è oramai una effimera chimera. Una statistica vale più di mille parole: quasi il 40% dei titoli presenti su Steam è stato rilasciato nel corso del 2016. In termini assoluti, se nel 2013 sono stati rilasciati sulla piattaforma 565 titoli , lo scorso anno ne sono arrivati ben 4207, senza contare quelli giunti negli ultimissimi giorni. Una mole non sostenibile dal mercato stando ai dati di SteamSpy, una fonte decisamente attendibile su quello che gira attorno allo store di Valve e per cui dobbiamo ringraziare Sergey Galyonik. Anche per l’assenza di validi filtri sui contenuti, si potrebbero spendere fiumi di parole sulla qualità di questi ultimi, ma anche togliendo di mezzo Early Access che usciranno nel duemilaecredici e produzioni utili solo ad accumulare carte da rivedere, il materiale degno d’esser giocato mantiene un peso che le spalle degli utenti non riescono a reggere. Su PC il sovraffollamento ha raggiunto picchi che non si vedono nemmeno sulla tangenziale est di Milano nelle ore di punta, ma anche nel solo mercato console la lotta è sempre più dura e gli spazi più ristretti. Aggiungiamo l’ultimo tassello: personalmente, uno dei giochi che ho più consumato nel 2016 è stato Rainbow Six: Siege, un titolo non recentissimo, ma che come Overwatch, Destiniy, The Division o Diablo III è potenzialmente infinito, garantisce da solo centinaia e centinaia di ore, annullando nell’utente la necessità di rivolgere il suo sguardo altrove, di cercare contenuti inediti e quindi di metter mani al portafoglio. La catena ha ora il suo ultimo anello, anzi, il suo primo anello, quello da cui scaturiscono le varie problematiche sviscerate nell’articolo, come le mancate vendite ed il conseguente taglio dei prezzi, fattori che aprono a loro volta un grosso punto di interrogativo sul futuro: ora che gli utenti si sono abituati bene, che si sono portati a casa giochi di punta a prezzi budget a pochi giorni dalla release, come si comporteranno nel futuro prossimo, saranno ancora disposti a sborsare 60 o 70 euro attorno al day one, oppure, ricordandosi il recente passato, aspetteranno un paio di settimane in attesa dei prevedibili ritocchi? Il vaso di Pandora è stato aperto, sono venute a galla le difficoltà di industria mai tanto forte quanto allo stesso tempo fragile: il 2017 o il 2018 saranno il nuovo 1983?
A caldo direi che va benissimo così: io, da normale utente, sono riuscito a portare a casa titoli appena usciti a prezzi stracciati e a riempire tutti i tempi morti delle mie meritate ferie. Ragionando a freddo, nascono dei forti dubbi sulla futura tenuta di un mercato sempre più simile ad un gigante con i piedi d’argilla, tanto più imponente e quanto più fragile. Gioire per dei risparmi nel breve periodo rischia di essere un tremendo autogol, una visione miope di chi non si accorge che la buca sotto i propri piedi sta diventando sempre più profonda, con un’industria lanciata a folle velocità in una corsa dove il vincitore rischia di non esserci affatto e dove sicuramente a spuntarla non saremo nemmeno noi consumatori abituali di videogiochi. Le incognite sono molteplici e questo 2016 rischia di essere uno spartiacque tra il prima e il dopo, ma solo nei prossimi mesi capiremo se l’organismo ha sviluppato degli anticorpi efficaci oppure se il trend verso il basso non è che appena iniziato.