Il giorno 9 maggio si è conclusa la prima giornata dello Svilupparty. L’evento, che vede come protagonisti sviluppatori, designer e grandi appassionati del mondo videoludico, è finalmente giunto e si articola in tre giornate. Questo venerdì si è tenuto lo Svilupparty BETA, un’interessante giornata densa di discorsi e dibattiti. L’organizzazione prevedeva un orario abbastanza rigido, con una serie di interventi da parte di alcuni sviluppatori e giornalisti già ben inseriti nell’ambito dell’industria videoludica. Questi hanno portato sul palco la propria esperienza, discutendo tra loro in maniera costruttiva e analizzando moltissimi aspetti della creazione di un videogioco, dagli strumenti tecnici utilizzati ai vari modelli di business. Gli interventi erano organizzati in maniera tale da mettere a confronto due realtà e pensieri diversi su uno stesso argomento, sempre accompagnati da un moderatore che guidava il dibattito. Procediamo, dunque, vedendo quali sono stati gli incontri di questa prima giornata e quali tematiche sono state affrontate.
Dopo un breve discorso introduttivo da parte di Ivan Venturi di Ticonblu (http://www.ticonblu.it/) e Luca Marchetti di Studio Evil (http://www.studioevil.com/), ha avuto inizio l’inteso scambio di opinioni.
UDK vs Unity
Ad aprire le danze sono stati Fabrizio Zagaglia di Ticonblu e Federico Mussetola di Indomitus Games (http://www.indomitusgames.com/index.php/it/), moderati da Ludovico Cellentani di Just Funny Games (http://www.justfunnygames.com/it/). Il tema proposto era un confronto tra i due motori più diffusi al momento sulla piazza: UDK e Unity. Dal dibattito è emerso di comune accordo che gli shader e la qualità grafica finale a cui si può arrivare con Unity non sono ai livelli di quelli ottenibili con UDK. D’altro canto UDK, spiegava Mussetola, ha l’enorme difetto di utilizzare un linguaggio di programmazione proprio, l’Unreal Script, il quale presenta alcuni problemi davvero fastidiosi (bug nel compilatore ecc..). Entrambi all’unisono sembravano guardare verso l’Unreal Engine 4 con uno sguardo di profondo interesse, sostenendo però di non essere ancora decisi nel volersi spostare in un altro ambiente di sviluppo.
Oculus Rift e VR
Con Matteo Sosso e Fabio Casale di Untold Games (http://www.untoldgames.com/) insieme a Luca Dalcò di LKA (http://www.lka.it/) ci siamo spostati nell’elettrizzante atmosfera della realtà virtuale parlando di Oculus Rift e del suo utilizzo. LKA presentava Town of light, un gioco ambientato in un manicomio che fa molto affidamento sulla realizzazione ottimale degli ambienti e su un buon utilizzo del sonoro. Dalcò spiegava come il progetto non fosse nato su Oculus e per Oculus, ma ci fosse stato un adattamento. In seguito a questo ci ha raccontato alcuni problemi che ne sono derivati: primo fra tutti la qualità grafica, ancora troppo bassa a causa della tecnologia del dispositivo. Questo problema si riscontrava specialmente nella situazione in cui il giocatore avesse dovuto leggere testi e scritte in game, spesso con font che richiamavano la scrittura a mano. Risultava dunque un progetto molto interessante per la potenza espressiva del mezzo, ma su di un dispositivo forse non ancora pronto. Un altro elemento su cui Dalcò si è focalizzato durante il suo discorso è stato quello delle cutscene, manifestando un certo fastidio verso quelle tradizionali ma apprezzando ed elogiando quelle con Oculus, dove l’immersione non viene interrotta nonostante i comandi siano strappati al giocatore.
Dall’altra parte Untold Games ha presentato Loading Human, un gioco che nasce invece interamente su Oculus. Il titolo è parso davvero innovativo e impressionante. Il gameplay prevedeva anche l’utilizzo di un doppio controller che simulasse le mani del giocatore. Il concept è quello di creare un ambiente realistico, lento e tranquillo, che non infastidisca il giocatore; ricordiamo infatti che uno dei problemi legati a questa nuova tecnologia è il senso di nausea che si prova dopo alcune ore di gioco. A quanto pare avrebbero anche avviato una prima fase di accordi con Sony per portare il progetto su Morpheus, visore che sembra poter ridurre ulteriormente i problemi di nausea a discapito di uno schermo di qualità leggermente inferiore. Un’ultima parte del dibattito ha ripreso gli argomenti del primo intervento e, stando alle esperienze degli sviluppatori, su Unity sembra essere più complesso programmare per Oculus, mentre si lavora meglio con l’Unreal Engine 4.
Grafica 3D
Passando poi alla modellazione 3D, Biagio Iannuzzi da Code this Lab (http://www.codethislab.com/) e Filippo Vela di Sylphe Labs (http://www.sylphelabs.com/), moderati da Marco di Timoteo (Studio Evil), ci hanno parlato della loro esperienza, e non solo di quali programmi è meglio usare a discapito di altri ma anche di come funziona effettivamente un team di grafica e modellazione. Code this Lab si occupa da un lato di grafica fotorealistica per giochi sportivi e dall’altro di modelli più artistici e fantasiosi, come zombie e mostri. I programmi che prediligono per questo genere di attività sono 3DStudioMax, ZBrush e Photoshop per le texture. Sylphe invece preferisce utilizzare software più semplici e comodi come Blender e Lightware per i render. Entrambi i team sono stati d’accordo riguardo a come una squadra dovrebbe essere costituita: tutti sono generalisti, ma hanno una piccola area specifica. Il team deve essere composto in maniera tale che ogni figura sia specializzata, ma nessuna sia insostituibile, tutti devono avere un livello comune di competenze. Questa sembra la chiave per un buon gruppo di lavoro in una piccola realtà indipendente.
Il ruolo dell’audio nei videogiochi
Dopo aver parlato di motori grafici, realtà virtuale e modellazione si passa ad un aspetto altrettanto importante del videogioco: l’audio. Davide Pensato di DPStudios (http://www.dpstudios.it/) e Marco Pivato di 93 Steps (http://93steps.com/) ci hanno raccontato le principali funzioni e problematiche di questo comparto durante lo sviluppo, con Max Di Fraia di Ticonblu come moderatore della discussione. Il discorso si è brevemente articolato sull’uso della musica nel gioco per amplificare il pathos della scena e inoltre del comparto audio come vero e proprio elemento di gameplay. Davide Pensato faceva l’esempio di SplinterCell: Double Agent, in cui il sentire i passi dei nemici attraverso i condotti dell’aria era un elemento di gameplay fondamentale. Successivamente i due team hanno esposto un particolare e comune punto dolente del mestiere: il rapporto con il cliente. Essendo la musica in particolare un elemento abbastanza lontano dalla comprensione dell’immaginario comune, soprattutto per quanto riguarda sound design e vera e propria composizione del pezzo, spesso il cliente si ritrova a richiedere brani che una volta prodotti potrebbero rivelarsi poco efficaci, oppure, durante le stesse fasi di produzione, chiede di modificare elementi su cui il team deve ancora lavorare, non avendo ben chiaro il processo di creazione del settore audio nei videogiochi.
Il panorama italiano
Come ultimo intervento della mattinata, Vincenzo Lettera, redattore di Indievault (http://www.indievault.it/), ed Emilio Cozzi del Sole 24 ore ci hanno presentato lo scenario attuale italiano che si presenta nel campo dell’industria videoludica italiana, ponendo particolare attenzione sullo scenario di quella indipendente. Nel corso del dibattito, guidato da Piero di Domenico, Cozzi ha paragonato l’industria indipendente italiana ad un iceberg: per ora si vede solo la punta, apparentemente innocua, ma ci sono grandi potenzialità sicuramente più che competitive nel mercato internazionale. Il settore indipendente deve mostrare tutta la sua potenza, perché può permettersi di rischiare essendo perlopiù composto e portato avanti da figure giovani svincolate da eventuali obiettivi di produzione, come invece accade nelle grandi aziende. La chiave, secondo Cozzi, consiste anche nel capire bene le esigenze del target di riferimento, dove sta andando il mercato e quindi chi è oggi il consumatore medio. Vincenzo Lettera sembrava essere molto d’accordo e non ha esitato a rimarcare il potenziale dell’industria indipendente, che negli eventi come la Global Game Jam è riuscita a produrre esperimenti innovativi e interessanti in tempi assolutamente da record e soprattutto a costo zero. Un ruolo molto importante viene quindi, a questo punto, svolto dalla stampa, la quale si occupa di recensire e quindi di attuare un’operazione di scrematura dei vari titoli di tutto il vastissimo mercato indipendente.
Serious Games
Subito dopo la pausa pranzo gli argomenti trattati si sono fatti più impegnati, abbiamo, infatti, affrontato l’argomento dei Serious Games con Luca Marchetti di Studio Evil, Dario Maggiorini e Laura Ripamonti dell’Università degli Studi di Milano, con Ivan Venturi come moderatore. Maggiorini ha presentato Pong, un laboratorio di ricerca che vuole sperimentare e innovare il settore spostandosi anche nel campo nuovo e poco esplorato dei Serious games, ossia giochi la cui componente ludica viene ridotta al minimo e che hanno invece una funzione educativa, riabilitativa o semplicemente divulgativa. Marchetti ha invece spiegato come queste iniziative siano molto utili anche se un po’ lontane dall’immaginario comune e siano riconosciute come tali perfino dall’Unione Europea, che fornisce finanziamenti davvero ingenti per tale genere di applicazioni. Marchetti faceva l’esempio di un’app che attraverso una breve narrazione e sfruttando la tecnologia del Kinect, istruiva il giocatore, in circa 4 ore, a compiere un massaggio cardiaco. Questo impiego del videogioco è davvero ancora molto giovane ma, visti già questi pochi esempi, sembra avere davvero ottime potenzialità.
Videogames e Università
Dopo tutti questi discorsi su come sviluppare bene e con criterio un gioco, dopo vari dibattiti sulla situazione italiana attuale e dopo aver perfino affrontato temi importanti come l’applicazione del videogioco in campo medico, era il momento di parlare di come si arriva a certi livelli. Abbiamo discusso con Pier Luca Lanzi, professore del Politecnico di Milano, e con Umberto Castellani, professore dell’Università di Verona, pronti a offrire rispettivamente un corso di 50 ore sullo sviluppo dei videogiochi e un master in computer grafica di 320 ore. Il dibattito è stato abbastanza intenso, ma moderato da Andrea Dresseno e Matteo Lollini dell’Archivio Videoludico. La conversazione verteva sostanzialmente sulla scelta tra due metodi di formazione: una formazione orizzontale e quindi capace di preparare a tutto tondo sullo sviluppo di un videogioco, sebbene in maniera non troppo approfondita, oppure una verticale su un aspetto come la grafica 3D, specifico e professionale. Il dibattito è stato abbastanza dinamico ed è risultato molto interessante vedere come entrambi, nonostante metodi diversi, concordassero sul fatto che anche una formazione umanistica fosse assolutamente necessaria ai fini del ruolo dello sviluppatore.
Free to play
Da speaker a moderatore Emilio Cozzi ha guidato la conversazione tra Jacopo Musso di Bad Seeed (http://www.badseedentertainment.com/) e Andrea Postiglione di Mangatar (http://www.mangatar.net/) riguardo ai giochi free to play e ai tanto odiati pay to win. Queste due realtà indipendenti hanno espresso due stili radicalmente opposti. Mangatar ha dichiarato di essere più a favore dei free to play, con elementi acquistabili all’interno del gioco e tutte le meccaniche che ne conseguono. Questa scelta comporta davvero un grande lavoro di ricerca di dati riguardanti il mercato e la sua direzione, al fine chiaramente di creare un gioco il più popolare possibile. Bad Seed invece si è allontanata dai giochi free to play poiché non si adattavano al meglio alla loro scelta di business: volendo produrre titoli molto innovativi, sempre diversi e dall’esperienza di gioco approfondita, un campo del genere sarebbe stato sicuramente inadatto e fallimentare poiché non avrebbero seguito le tendenze del mercato. Stando alle esperienze di queste due compagnie risulta dunque evidente che alla base della creazione del gioco c’è anche una riflessione a livello di compromessi tra ciò che vuole il mercato e ciò che si intende sviluppare, tenendo sempre conto che ogni mezzo (giochi free, a pagamento, ad abbonamento ecc..) ha i suoi pregi e difetti.
Audio Games
Sempre posti davanti alle domande di Cozzi, Luca Contato di Rising Pixel (http://www.risingpixel.com/) e Marco Agricola di Nebula hanno parlato degli audio games, una tipologia di gioco davvero poco diffusa, pensata per giocatori non vedenti. Rising Pixel aveva sviluppato alla Global Game Jam del 2013 “I Am Fear” un titolo basato sul tema del cuore che batte. Il giocatore impersonava un demone della paura e il sistema di gioco era basato interamente su vibrazioni e suoni utilizzati per far orientare il personaggio all’interno di una mappa a scacchiera e fargli trovare la sua vittima, percependone solo il battito del cuore. Da qui è nato e si è sviluppato Inquisitor-Heartbeat, un gioco stealth che sfrutta circa le stesse meccaniche, solo che saremo noi a fuggire. Questo titolo, come I Am Fear, non necessita di un supporto visivo per giocare e dunque può essere apprezzato anche dai non vedenti. Un audio game è proprio questo: una tipologia di gioco adatta anche a videogiocatori non vedenti. Nebula spiega molto bene in che cosa consiste la creazione di un audio game, avviene chiaramente tramite il dialogo con la persona non vedente, che esprime le problematiche e le potenzialità che ogni elemento può avere e nel caso di Nebula fa anche parte del team di sviluppo. Nebula, in collaborazione con TiconBlu, con Nicholas Emmerich è riuscita a creare uno dei primi audio games veramente apprezzabili, un vero e proprio videogioco completo, appassionante e avvincente per giocatori non vedenti. Il mercato di questa tipologia di videogiochi è ancora praticamente inesplorato, i titoli si contano sulle dita di una mano e gli stessi sviluppatori hanno incoraggiato parecchio a provare a buttarsi in quest’ambito ancora tutto nuovo e da scoprire. L’idea generale e condivisa da entrambi i team sarebbe comunque quella di creare qualcosa di fruibile dalla totalità del pubblico, vedenti e non, per creare un prodotto di qualità e riuscire al contempo a portare a casa un buon pezzo di pane.
Infine hanno chiuso l’evento la premiazione per le migliori tesi di laurea sul videogioco e il premio “Tuggurt Verdolino”. Le tesi affrontavano vari temi, tra cui l’accostamento cinema e videogioco e saranno presenti sul sito dell’Archivio Videoludico, sempre che i laureati accettino. Subito dopo, il premio “Tuggurt Verdolino” ha chiuso in bellezza la giornata tra allegria e risate, presentando una sorta di contest con giochi sviluppati in pochissimo tempo, dal gameplay a volte assente, assolutamente demenziali ed esilaranti. Vincitore del premio è Snake Simulator, un gioco che richiama il vecchissimo Snake per Nokia 3310, fatto in 3d e con una canzone ridicola in sottofondo, decisamente d’atmosfera.
Questa prima giornata dello Svilupparty 2014 sembra essere andata a gonfie vele, alternando discorsi seri e molte risate, ed è stato sicuramente un evento di ottima qualità. Detto questo, non ci si può aspettare di meno da questi due giorni successivi! A breve verranno presentati molti titoli indipendenti, alcuni ancora in sviluppo, e i più importanti avranno un posto sul palco, mentre gli altri occuperanno uno spazio minore e potranno essere comunque apprezzati nelle 40 postazioni computer disponibili.