Silent Hill è una delle saghe horror più famose di tutti i tempi: chiunque abbia conosciuto da vicino la quinta e la sesta generazione di console, difficilmente non avrà sentito parlare della serie di Konami.
I primi quattro episodi, diretti dal cosiddetto Team Silent (insieme di membri di Konami che hanno preso questo nome dopo aver lavorato sul primo capitolo della serie) sono ritenuti dei cult videoludici, conosciuti da ogni appassionato di horror psicologico. Certo, molti ritengono che ci sia un calo di qualità con il terzo e soprattutto con il quarto episodio, ma anche questi ultimi hanno la loro fetta di fan. Per questo, non è sulla prima parte della storia di Silent Hill che ci soffermeremo: oggi siamo qui per gettare luce sul periodo più oscuro della serie, quello che seguì all’abbandono della serie da parte del Team Silent.
Scopriremo se l’oscurità che aleggia intorno ai capitoli post-team Silent è meritata o se qualche gioco meriti invece di essere riportato alla luce.
Piccola premessa: saranno esclusi da questa retrospettiva gli spin-off, compreso Book of Memories.
Le origini del male
Dieci anni or sono, all’E3 2006, Konami annunciò un nuovo capitolo nella sua famosa saga horror, Silent Hill: Origins (conosciuto in Giappone come Silent Hill Zero). Due le novità che saltavano subito all’occhio: non solo si trattava del primo episodio della serie per console portatile (se si esclude la visual novel uscita esclusivamente in Giappone per Game Boy Advance), ma anche del primo episodio sviluppato da un team esterno a Konami, i Climax Studios.
I Climax erano (e sono) uno studio occidentale: ed è bene tenere questo dettaglio a mente perché, dal 2006 in poi, gli orientali non metteranno più mano sulla serie, con dispiacere di alcuni appassionati.
Come si può intuire dal titolo, il gioco è un prequel della serie: nonostante la maggior parte dei titoli non abbia collegamenti diretti a livello di trama, questo episodio si pone come l’antecedente diretto dei fatti narrati nel primo Silent Hill. Già da qui, si capisce la natura di questo spin-off: un richiamo agli inizi della serie indirizzato a tutti i fan che quell’inizio avevano amato ma che si erano allontanati con il passare del tempo.
Il richiamo al passato è evidente anche nel gameplay: seppure ci siano delle modifiche qua e là, il titolo si gioca proprio come i suoi predecessori, proponendo quel mix di combattimento, esplorazione e puzzle-solving che aveva reso famosa la serie.
La storia si rivela interessante, ma quasi esclusivamente per chi conosce gli eventi del primo capitolo: la natura di prequel si sente pesantemente durante tutto l’arco narrativo, e si è inevitabilmente più interessati alle vicende che riguardano i personaggi già conosciuti nel primo Silent Hill piuttosto che alle vicende dello sfortunato Travis, protagonista del titolo in questione.
Tirando le somme, Silent Hill: Origins è un titolo senza infamia e senza lode, che farà la felicità dei fan che chiedevano più spiegazioni sui retroscena dei fatti del primo episodio; fallisce però nel tentativo di ridare linfa vitale alla serie, rivelandosi quasi più un omaggio al passato che un tentativo di intraprendere una nuova strada.
Ritorno a casa
Mentre Climax si occupava dello sviluppo di Origins, un altro team era al lavoro su quello che sarebbe diventato il quinto capitolo della serie principale: Silent Hill Homecoming. In sviluppo presso Double Helix Studios almeno fin dal 2007, uscì sul mercato europeo a Febbraio 2009 (in America arrivò in anticipo nel Settembre 2008), mentre l’uscita giapponese sarebbe stata poi cancellata, altro segno evidente di quello che Konami voleva fare con l’abbandono del team Silent: puntare sul mercato occidentale piuttosto che sul territorio nativo della serie.
Il gioco si presenta, a livello di storia, come un grande richiamo al secondo capitolo della serie. Un richiamo forse troppo grande, in quanto in certi punti sembra voler scimmiottare persino i colpi di scena di quel capolavoro indiscusso. Sono presenti, per la prima volta nella serie, scelte multiple all’interno dei dialoghi: feature sulla carta interessante, se non fosse che, qualunque scelta si faccia, a cambiare sono solamente poche righe di testo.
La storia, tuttavia, rimane molto godibile e, sebbene non sia la migliore della serie, riesce ad interessare il giocatore fino alla fine.
I veri problemi sono altrove.
Il gameplay si presenta molto simile a quello dei capitoli precedenti, ma stavolta, approfittando anche della backstory del protagonista (un soldato in congedo), viene data maggiore enfasi al combattimento.
Questo potrebbe già far storcere il naso ai puristi della serie: il numero di mostri e combattimenti è aumentato esponenzialmente, rendendo di fatto gli scontri più un disturbo a cui ci si abitua in fretta piuttosto che incontri carichi di tensione. Non solo, il metodo di combattimento risulta anche inefficace: se gli sviluppatori volevano donare un aspetto dinamico alla serie, sono riusciti nel loro intento solo a metà. Il gioco presenta un sistema di difesa/schivata simile a dei quick time event: e fin qui niente di sbagliato, se non fosse che spesso e volentieri la schivata non parte, facendoci inevitabilmente ghermire dal mostro di turno.
Imparare a gestire le tempistiche del combattimento è quindi impresa non da poco, e questo pesa ancora di più in un gioco in cui già stona l’eccessivo numero di combattimenti.
Il problema più grave, però, risiede nell’aspetto tecnico: non si tratta solamente di una grafica non al passo coi tempi, si tratta di vere e proprie magagne che affliggono il gioco, sia dal punto di vista grafico che dal punto di vista della quantità di bug che infestano l’avventura.
In particolare, un livello di gioco presenta un bug che rende impossibile continuare l’avventura: è un problema che colpisce in maniera casuale; l’unico modo per ridurne i danni è avere salvataggi risalenti a prima di entrare nel livello in questione, pena dover ricominciare da capo il gioco. Considerando che si tratta di uno dei livelli finali, ricominciare da capo significa aver buttato via molte, troppe ore.
Non possiamo attribuire con certezza la responsabilità di questi problemi: al team, che era per la prima volta alle prese con un titolo tripla A; oppure a Konami, che non ha voluto aspettare che il gioco fosse davvero pronto. Probabilmente, entrambi i fattori hanno giocato a sfavore di Homecoming.
Per concludere, il primo passo di Silent Hill sulle console ad alta definizione è un mezzo passo falso: Homecoming è una creatura amorfa, che non sa quello che vuole essere, che vive nell’ombra di un passato glorioso (quello di Silent Hill 2) e che fatica a staccarsene.
Non tutto è da buttare, ma sicuramente è l’ultimo capitolo che vale la pena recuperare all’interno della saga.
Una mente frammentata
Dopo molti rumor proseguiti nel corso degli anni successivi all’uscita del film dedicato alla serie, nel 2009 viene annunciato un remake del primo, storico capitolo, ad opera degli stessi Climax Studios di Origins.
Silent Hill: Shattered Memories, uscito su Wii, PS2 e PSP a Dicembre 2009 in America e a Febbraio 2010 in Europa (e stavolta giunto fino in Giappone) si rivelerà infine essere molto più di un remake: del primo Silent Hill vengono riprese solo le premesse, qualche personaggio ed ambientazione, ma tutto viene reinterpretato per narrare una storia completamente nuova e slegata da quella del Culto (presente in molti capitoli della serie).
Un padre (Harry Mason) è in viaggio con la figlia Cheryl, quando una brusca sterzata gli fa perdere il controllo dell’auto. A seguito dell’impatto, il conducente sviene, e quando si risveglia, la figlia è sparita: vicino a lui, solo la lugubre città di Silent Hill.
Qui finiscono gli elementi di trama in comune col capitolo originale: il gioco prende una piega completamente diversa, concentrandosi più sulla psicologia del suo protagonista che non su culti esoterici e mostri infernali.
E ‘psicologico’ è un termine più adatto che mai per questo capitolo: il gioco si modella, per quanto possibile, sulla psiche del giocatore. Dovremo affrontare infatti sessioni di terapia con un misterioso psicologo, che ci porrà delle domande sulla nostra vita e sui nostri ideali: a seconda delle risposte, certi elementi del gioco cambieranno, come l’abbigliamento ed il comportamento di alcuni personaggi, ed anche il finale dipende da queste scelte.
Non solo, il gioco si analizza anche in modo più subdolo: un esempio su tutti, se ci fermeremo ad osservare a lungo i poster di ballerine provocanti all’interno di un locale notturno, i personaggi femminili del gioco compariranno in abiti più succinti ed avranno comportamenti ambigui con il nostro protagonista.
Il vero colpo di genio, però, sta nella trama, che si rivela interessante e ricca di colpi di scena, capace di tenere col fiato sospeso fino alla fine.
La nota dolente di Shattered Memories viene dal gameplay: a differenza dei precedenti capitoli, che univano combattimento, esplorazione e puzzle solving, qui combattimento ed esplorazione sono completamente separati, costituendo due fasi di gioco distinte. A sezioni in cui si può esplorare liberamente la città, si alternano brevi livelli di inseguimento, in cui Harry deve fuggire da mostri umanoidi senza potersi difendere. La fuga avviene all’interno di labirinti di ghiaccio, in cui è facile perdersi: fortunatamente, però, queste sessioni sono brevi, e ritrovare la strada non è mai troppo difficile, grazie anche alla presenza di una mappa.
Sebbene le due fasi, prese singolarmente, funzionino, è proprio l’averle distinte così nettamente a far storcere il naso: durante le fasi di esplorazione non c’è alcuna tensione perché si sa che, qualunque cosa possiamo sentire o vedere, non ci sarà niente ad attaccarci. Si fa quindi strada una sensazione di sicurezza per la maggior parte del gioco, elemento che in quello che dovrebbe essere un survival horror (ma che, di fatto, non lo è) stona parecchio.
In definitiva, Shattered Memories non è solo un ottimo Silent Hill, ma un ottimo gioco, una perla rimasta purtroppo offuscata sia per la perdita di lustro del nome della serie, sia per non essere uscita sulle console in alta definizione.
Consigliamo a chiunque possa farlo di recuperare il gioco, se possibile in versione Wii, in cui i controlli sono nella loro forma migliore. Indipendentemente dalla versione, però, si tratta di un gioco da avere assolutamente, che ci farà passare giornate a rimuginare su quanto abbiamo visto e vissuto durante la nostra avventura.
Provare per credere.
Condanna ed espiazione
Pochi mesi dopo, nell’Aprile 2010, Konami annuncia che è già in lavorazione un nuovo capitolo del franchise, stavolta destinato alle console ad alta definizione.
Il gioco, che riceverà poi il nome di Silent Hill: Downpour, non uscirà se non quasi due anni dopo, nel Marzo 2012, ad opera di un altro team esterno, Vatra Games, studio situato nella Repubblica Ceca.
La storia del gioco cerca di proporre finalmente qualcosa di nuovo, slegandosi dal suo passato, pur ricorrendo temi familiari alla saga come l’espiazione. Non ci soffermeremo sui dettagli della storia: basti dire che si tratta di una trama certamente migliore di quella di Homecoming ed Origins, che terrà incollato allo schermo chiunque vorrà dare fiducia a questo titolo.
Tornano inoltre le scelte multiple nei dialoghi introdotte da Homecoming, che stavolta avranno però ripercussioni più importanti ed interessanti sulla storia, obbligandoci quindi a scegliere con cura le nostre risposte.
Dal punto di vista del gameplay, viene abbandonata la svolta action di Homecoming: nonostante l’arsenale di armi venga aumentato – quasi ogni oggetto nelle location di gioco può essere usato come arma – l’enfasi sui combattimenti è decisamente diminuita.
Una novità per la serie sta nell’introduzione di vere e proprie side-quest: all’interno della città potremo portare a termini compiti totalmente opzionali, che ci metteranno a conoscenza di storie legate a Silent Hill e ai suoi abitanti, storie slegate dalla trama principale. Un’aggiunta molto gradita e decisamente ben fatta, dato che alcune side-quest riescono ad essere davvero inquietanti e coinvolgenti.
L’atmosfera, però, non riguarda solo le side-quest: quell’atmosfera di lugubre tensione, di decadimento, che in Homecoming era riuscita solo a metà, torna in Downpour a tutta forza, dimostrando come i giovani Vatra Games abbiano colto lo spirito della serie.
È proprio parlando dello studio di sviluppo, però, che cominciano i problemi. Si tratta di uno studio relativamente inesperto, con un solo gioco alle spalle: Silent Hill è il primo progetto importante (situazione simile a quella dei Double Helix Studios ai tempi di Homecoming). Una software house sfortunata, peraltro, che chiuderà i battenti poco dopo la pubblicazione del titolo.
Il perché è presto detto: nonostante numerosi rinvii, il gioco è uscito sul mercato senza essere stato rifinito dal punto di vista tecnico. Per tutta l’avventura, saremo accompagnati da un fastidioso effetto tearing, rallentamenti continui, e chi più ne ha, più ne metta: un completo tecnico, che in certi momenti rende snervante continuare a giocare.
Di nuovo, la colpa ricade a metà tra il team e Konami: se la poca esperienza del team ha sicuramente influito sul risultato, viene da chiedersi perché Konami abbia voluto pubblicare il titolo in queste condizioni, o ancora perché abbia voluto affidare, per la seconda volta, uno dei suoi franchise più importanti ad uno studio che, per forza di cose, non era in grado di gestirlo.
Quali che siano le motivazioni, i problemi tecnici, numerosi e gravi, hanno affossato questo capitolo sia presso la stampa di settore che presso il pubblico: se Homecoming aveva scavato la fossa per la serie, i problemi di Downpour hanno ricoperto la bara di Silent Hill con metri di terra.
Altro problema del gioco sono i nemici: finora non abbiamo parlato della qualità del design dei mostri all’interno dei singoli giochi, in quanto si tratta di un aspetto molto soggettivo da giudicare. Qui, però, abbiamo poca varietà: vengono riproposte continuamente le stesse tipologie di nemico, ciascuna da affrontare a suo modo. Non c’è la varietà degli altri capitoli, ed è un peccato, perché rende il gioco – ed i combattimenti – meno interessante.
Tirando le somme, Silent Hill: Downpour è una gemma grezza, che sotto ad una superficie fatta di pesanti problemi tecnici nasconde quello che avrebbe potuto essere l’inizio della rinascita della serie. Un titolo che ogni fan dovrebbe giocare e che vale una prova anche da chi non è appassionato della serie, a patto di sopportare le sue lacune tecniche.
Musicalmente parlando
La colonna sonora di tutti gli episodi, ad eccezione di Downpour, è composta dallo storico Akira Yamaoka, artefice delle tracce anche dei quattro episodi originali. Si tratta di colonne sonore splendide, specialmente nelle musiche in cui alla genialità del compositore nipponico si affianca la poderosa voce della talentuosa Mary Elizabeth McGlynn.
Le musiche di Downpour sono composte invece da Daniel Licht, che pur non raggiungendo, a nostro modesto parere, la grandezza delle colonne sonore dei capitoli precedenti, ha svolto un lavoro egregio e rispettoso dei canoni della serie.
Dormono sulla collina
Pochi conoscono i titoli di Silent Hill cancellati durante lo sviluppo in epoche ormai lontane (si parla di un capitolo DS ed un capitolo su Wii), ma tutti hanno ancora fresca nella memoria la recente cancellazione di Silent Hills.
Se non per il nome della serie – ormai infangato presso la general audience – il progetto aveva attratto l’attenzione di milioni di giocatori per i nomi coinvolti: Hideo Kojima e Guillermo del Toro su tutti.
Impossibile dire cosa ci saremmo potuti aspettare da questo episodio, di cui non si è mai visto nulla di concreto. Quello che rimane è il rammarico per un’occasione sprecata, l’occasione di rilanciare al meglio una serie che è stata troppo bistrattata sia dalla sua casa madre che dal pubblico.
Allo stesso modo, è difficile prevedere quale sarà il futuro della serie, sempre che ve ne sia uno: Konami sembra decisa ad allontanarsi dal gaming su console, e sicuramente non è Silent Hill la serie su cui vuole puntare come ultimo asso nella manica.
Quel che ci resta, però, è l’eredità di questa serie storica, che tanto ha dato e tanto potrebbe ancora dare al mondo del gaming.
Se vi mancano alcuni dei titoli coperti in questo speciale, recuperateli; se vi mancano capitoli della tetralogia originale, pentitevi nel profondo della vostra anima prima di procedere ad un recupero immediato.
Silent Hill è un nome pesante da portare, e non tutti i giochi presenti in questa lista lo portano con onore. Diradando però la foschia che alleggia intorno a questi titoli, abbiamo scoperto però che più di uno vale la pena di essere giocato.
Se leggendo queste parole vi è tornata la voglia di visitare la città avvolta dalla nebbia, non rimandate il vostro prossimo viaggio: Silent Hill ed i suoi abitanti hanno ancora molte storie da raccontarci, storie che ci accompagneranno in notti insonni e sogni agitati.