Le frustrazioni personali non dovrebbero mai andare a influire sul proprio lavoro. Bisognerebbe avere sempre molto autocontrollo, fare attenzione alle provocazioni, sapersi gestire e mantenere la calma, anche quando diventi il bersaglio preferito di mezza internet. Phil Fish non è una di quelle persone con queste capacità. Non le manda a dire e parla senza troppi filtri, si lascia sopraffare dal suo flusso di coscienza quando deve insultare o esprimere un parere tutt’altro che edulcorato e allo stesso tempo ha persino l’assurda pretesa (inconscia) che la stessa cosa non venga fatta a lui. E se poi qualcuno gli risponde per le rime o lo provoca pesantemente, si comporta come un ragazzino poco cresciuto e manda al diavolo tutto e tutti, distruggendo il suo lavoro e ritirandosi dallo sviluppo videoludico (dice). Se questo sia un atteggiamento costruito o completamente sincero, giudicatelo voi. La cosa che più vi deve importare è che dopo una litigata in diretta Twitter, Fish ha annunciato la cancellazione di Fez 2 e la sua dipartita dall’industria dei videogiochi. Abile operazione di rafforzamento d’immagine per montare ancora di più un personaggio eccentrico? Può darsi, ma i fatti al momento dicono questo e non abbiamo basi reali per poter provare il contrario. Ma ecco cosa è accaduto.
Breaking Bad
L’ufficialità è arrivata attraverso un tweet di Polytron, la software house dello stesso Fish: “It’s with a heavy heart that we announce that FEZ II has been cancelled and is no longer in development. We apologize for the disappointment”. Gioco cancellato, dunque, senza dare nessuna spiegazione. Sull’account di Fish – adesso reso privato e non più apertamente consultabile – si capiva bene come le cose fossero molto più instabili e movimentate. Ecco i suoi ultimi tweet:
– “I’m done Fez II is cancelled. Goodbye”, e subito dopo:
– “To be clear, I’m not cancelling Fez II because some boorish fuck said something stupid, I’m doing to get out of games”, seguito da un ultimo tweet che recitava:
– “And I’m getting out of games because I choose not to put up with this abuse anymore.”
Phil Fish usa parole forti verso qualcuno, parla di abuso, punta il dito verso chi ha detto qualcosa di stupido; ma con chi ce l’ha? E cosa è effettivamente successo per far esplodere le sue ire? La colpa è di Marcus Beer, giornalista protagonista della rubrica video Annoyed Gamer sul sito GameTrailers, che durante un suo intervento si è scagliato senza troppi indugi contro Fish – e Jonathan Blow, creatore di quella perla che porta il titolo di Braid – apostrofandoli in modo poco lusinghiero come degli “hipster segaioli”, rei di snobbare quella stessa stampa che li ha messi sotto i riflettori e ha contribuito al loro successo e all’esplosione definitiva della scena indie. Pare che GameInformer abbia chiesto un parere ai due sulla possibilità di pubblicare autonomamente i propri giochi su Xbox One e che coloro che vengono tutt’oggi considerati due dei pionieri del movimento indipendente abbiano rifiutato di dire la loro. Legittimo, per carità: nessuno è obbligato a rilasciare dichiarazioni, ma secondo Marcus Beer quest’atteggiamento da rockstar è semplicemente patetico, specialmente da parte di Fish, che ha fatto del suo carattere intrattabile la sua bandiera multicolore che attira l’attenzione anche da dietro un’imponente montagna. Beer, dopo la caustica invettiva, ci ha tenuto inoltre a ricordare che questo modo di fare è segno di profonda ingratitudine, e che costoro devono considerarsi fortunati se la stampa di settore dedica loro tutta questa attenzione. Naturalmente era assurdo anche solo pensare che Phil Fish sarebbe rimasto con le mani in mano, pertanto ha pensato bene di difendersi e rispondere a tono al giornalista, con questi tre tweet che vi riportiamo integralmente:
– “@AnnoyedGamer hey fuckface. the thing with us “tosspots” “hipsters” is that we’re not beholden to media leeches like you.”
– “@AnnoyedGamer and you’re right. we’re VERY successful. and we’re not going anywhere. get used to it you middle-aged parasite.”
– “@AnnoyedGamer compare your life to mine and then kill yourself.”
Parole pesantissime, che definiscono Marcus Beer una sanguisuga, un parassita di mezza età, risposte che vogliono dimostrare come la filosofia di Fish sia realmente da indipendente, da persona che sa di avere successo e se ne vanta, che ha la boria di chi è consapevole di non aver bisogno di un publisher che risponde con comunicati stampa freddi, costruiti, con quella professionalità altezzosa che è sinonimo di distacco e aria di superiorità. Quando Phil Fish nell’ultimo tweet dice a Beer di paragonare la vita con la sua e poi uccidersi, capiamo bene quanto la sua persona (o il suo personaggio) sia esplosivo e senza vie di mezzo. L’atteggiamento è quello di una persona che ostenta la propria supposta grandezza, che mette avanti con prepotenza lo scudo e innalza la lama verso quel cielo sconfinato che è internet. Ma poi, il cavaliere valoroso deve fare i conti con le sue fragilità, si rende conto che l’esercito che vuole fronteggiare è troppo grande e gli tremano le gambe; si abbatte, abbassa la spada e getta la spugna; cancella Fez II e si ritira dalla scena.
You’re drunk, go home
Va ricordato che il creatore di Fez è la stessa persona che tempo fa dichiarò “I giochi giapponesi fanno tutti schifo”, sputando una sentenza infuocata davanti a una folla allibita di appassionati e traviando clamorosamente da quella che è la storia di questo medium. Ma badate bene, Fish ama fare videogiochi, non riesce a fare a meno; però, odia in egual misura l’industria e tutto ciò che ci gira attorno. È un rapporto conflittuale da cui probabilmente non riesce a venirne fuori, e in Indie Game – The Movie (che vi consigliamo caldamente di recuperare e vedere) questo secondo aspetto si manifesta in modo piuttosto evidente. I troll, coloro che rimangono in totale anonimato, lo hanno sempre trattato male, e Fish ne soffre, lo si vede già nella prima scena del documentario in cui appare col volto contrito e gli occhi lucidi. È un uomo tormentato, Phil Fish, uno di quelli che perde troppo spesso il controllo, e non tanto per il massiccio uso di cannabis di cui hanno parlato i soliti ben informati dalle retrovie, quanto più per autentica ira; ma Fish è anche una persona sensibile che si abbatte facilmente, che sente il dolore degli affondi che internet gli riserva puntualmente, è un animale che graffia per paura di essere sbranato, un cuore solitario che non vuole essere assistito da nessuno ma che in realtà sente di averne il disperato bisogno. “Se non avessi finito il gioco, mi sarei ucciso”, dice in quel film quando spiega l’importanza della sua carriera e di quel lavoro, che per lui è forse l’unico motivo valido per andare avanti dopo un’esistenza tribolata. Il dramma non è tanto la cancellazione di Fez II – per qualcuno forse sì – ma più che altro la possibilità di aver perso davvero una di quelle figure che in questa industria che tracima ipocrisia è necessaria. Abbiamo bisogno di meno presunzione, è vero, ma di più addetti ai lavori come Phil Fish, di gente che sa imporsi e che non passa attraverso il sistema di filtraggio da lobotomia dei PR. Questo lo sa anche Cliff Bleszinski, che con un accorato appello ha voluto invitare il celebre autore a ripensarci e a rivalutare la sua decisione. Rivolgendosi direttamente a Fish, Il creatore di Gears of War ha detto nel suo blog “Non devi niente a nessun giornalista, a gente che fa video o podcast mettendo il dito in una ferita aperta solo perché fa gola alla comunità videoludica”, poi ha proseguito dicendo: “Ma DEVI un grande prodotto ai tuoi fan, e spero che nel prossimo futuro continuerai ciò che hai lasciato. Sono stanco di giochi che sembrano essere sviluppati da gruppetti organizzati o commissionati da dirigenti che se ne escono con cose del tipo ‘Hey, grandioso quel Call of Duty, abbiamo bisogno di uno di quelli!’. Ritorna, Phil. Ci manchi già. Forse sarò proprio dietro di te, ritornando anch’io finalmente con una pelle adamantina”. E se due sviluppatori così importanti dovessero tornare davvero, più agguerriti che mai, con una grande voglia di zittire tutti con dei titoli magnifici, non possiamo fare altro che accoglierli a braccia aperte. Anche se talvolta perdono la connessione con la realtà e rimangono intrappolati dentro quel dedalo da incubo che il loro smisurato ego.
Quella di Phil Fish è una brutta storia finita male, con la rete che ancora una volta ha dimostrato come sia facilissimo tirare fuori il peggio dalle persone. In mezzo a un teatro pubblico frequentato spesso da chi adora trastullarsi dietro a un monitor senza preoccuparsi troppo delle conseguenze delle proprie parole, spesso si possono contare più vittime di quanto avremmo potuto immaginare. Non sembra esserci nessun lieto fine, qui. E non sembra nemmeno essere una messinscena ben orchestrata. La verità, naturalmente, la sapremo solo in futuro, quando un giorno forse potremo dire con un mezzo sorriso sulle labbra: “A volte ritornano”.